sabato 30 ottobre 2010

Il regionalismo centrifugo


Siamo sicuri che i motivi che nel 1861 portarono ad un ordinamento territoriale dello Stato su due livelli (comuni e province, senza regioni) non siano validi pure oggi? Analizzando la storia costituzionale dell’Italia, è facilmente constatabile la giovane età dell’istituto regionale: di fatto, appena quarant’anni di vita. A fronte di una tradizione storica caratterizzata da una ricorrente diffidenza nei confronti delle regioni e dalla predilezione per un ordinamento territoriale basato su comuni e province. Già al momento dell’annessione della Lombardia al Piemonte sabaudo (seconda guerra d’indipendenza), questo orientamento si dimostrò prevalente, con la legge Rattazzi del 1859, di seguito estesa agli Stati dell’Italia centrale. Le voci discordanti diedero però vita ad un vivace dibattito sulle ipotesi “discentatrici” che portò ai progetti regionalistici di Farini e Minghetti, subito stoppati dalla “scoperta” del Sud e dall’esplodere della questione meridionale. La coincidenza territoriale di eventuali regioni con gli antichi Stati preunitari metteva infatti parecchia apprensione alla Destra storica, alle prese con la difesa dello Stato unitario dalle tante spinte disgregatrici, per cui il centralismo si rivelò una scelta obbligata, confermata definitivamente dalla legge 20 marzo 1865 sull’unificazione giuridica e amministrativa dello Stato.  A quasi novant’anni dalla legge Rattazzi, la Costituzione repubblicana si sarebbe incaricata di introdurre le regioni. Così come avvenne per altri istituti (Corte costituzionale, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, Consiglio superiore della magistratura, Referendum) la loro attuazione fu tutt’altro che immediata. Soprattutto i partiti al governo si mostrarono diffidenti, mentre le sinistre all’opposizione spingevano per il rispetto del dettato costituzionale. Il contesto storico era quello della guerra fredda, dei blocchi contrapposti, della conventio ad excludendum che impediva al Partito Comunista di diventare forza di governo nazionale. Proprio il timore di consegnare ai “rossi” il potere su vaste aree dell’Italia centrale induceva la Democrazia Cristiana ad opporsi all’istituzione delle regioni, che avvenne infine a vent’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, con la legge del 17 febbraio 1968 sulle norme per le elezioni dei consigli regionali delle regioni a statuto ordinario, tenute poi a maggio 1970.
Quarant’anni di regionalismo hanno minato la tenuta dello Stato? Non c’è dubbio che i partiti nazionali siano in affanno. A parte il caso della Lega Nord, non si può non rilevare che la connotazione regionale di molte leadership offusca la dimensione nazionale dei partiti. Basti vedere quello che sta succedendo in Sicilia, con Lombardo e l’MPA capaci di mettere all’angolo il PDL, con Micciché e la sua Forza del Sud in fuga dal partito del premier, così come la pattuglia sempre più numerosa di Futuro e Libertà. Io Sud di Adriana Poli Bortone in Puglia, il gruppo di Beppe Pisanu in Sardegna, la situazione campana che ha registrato lo scontro all’ultimo sangue tra Cosentino e Caldoro e tutte le altre controverse realtà regionali sono l’esempio palmare di come anche una leadership fortissima come quella di Berlusconi arranchi quando gli interessi territoriali riescono a coalizzarsi attorno ad una proposta unitaria, ancor più se essa riesce a superare la tradizionale contrapposizione destra/sinistra. Analoghe considerazioni valgono per la sinistra: Chiamparino in Piemonte e Cacciari in Veneto sono gli esempi più scontati, tanto per restare dentro il PD. Se poi si mette un piede fuori, balza agli occhi il caso Vendola, ostacolato dalla nomenclatura di sinistra ma capace di battere l’apparato del partito sceso da Roma per appoggiare il suo rivale nelle primarie per l’elezione a governatore. O Loiero, che non si sa se è dentro o fuori, ma che è in grado di controllare ben due gruppi regionali, quello del PD e quello della sua lista personale (Autonomia e diritti), con nascosta nella manica la carta da giocare come extrema ratio, il Partito democratico meridionale.
Di fronte ad una situazione talmente parcellizzata, sarebbe forse il caso di riconsiderare i motivi per cui 150 anni fa si scartò l’ipotesi regionale. In un’ottica però moderna, che attui in pieno il principio di sussidiarietà, affidando alle province pieni poteri e autonomia decisionale, amministrativa e finanziaria. Solo così si potrebbe togliere un alibi a coloro che minacciano la secessione, si risparmierebbe un bel po’ di denaro pubblico – dimostrando finalmente di fare sul serio rispetto alle strumentali campagne per l’abolizione delle province, puntualmente finite su un binario morto – e lo stesso Stato, alleggerito di tante funzioni, potrebbe addirittura rafforzare il proprio carattere unitario.





2 commenti:

Anonimo ha detto...

Roger, come ben sai, non si aboliranno mai le regioni, figuriamoci le province. gli enti locali sono la cassaforte dei potenti, i serbatoi elettorali di coloro che hanno scaltramente inteso che nella vita occorre sgomitare, truffare, ammaliare per raggiungere il successo. Di coloro che hanno capito che il vero merito consiste non nel saper fare ma nello scendere a patti col diavolo a costo di cancellare dignità e coscienza. L'Italia di oggi non sembra nemmeno lontanamente figlia degli afflati risorgimentali e della concordia collaborativa degli anni della Costituente. Riconosciamolo, a chi interessano questioni come l'abolizione delle Regioni, la razionalizzazione degli apparati, il miglioramento del sistema? Siamo in una nuova epoca Roger...quella dell'Italia unita dal bunga bunga e dai festini hard a base di sesso e droga (ma..balleranno anche il Rock and Roll???)W la Repubblica della gnocca! W la nuova Italia unita dal Viagra dei nostri politici ultrasettantenni! W la faccia di c..o di chi ha il coraggio di dire che ha il cuore grande grande grande!!! Roger...non è la questione amministrativa che muove le dinamiche politiche di questo paese...non l'hai ancora capito???...è solo questione di ....feeeling!!!..Con buona pace di Cavour, Farini, Minghetti, De Gasperi e compagnia bella...ps..E dire che un tempo fece scandalo la relazione tra Palmiro e Nilde...roba da romanzetti rosa...oooops...che sbadata...non era ancora la RdG...

Domenico ha detto...

Come dice MS, "questa è l'epoca dei porci a cavallo"... E se lo sapesse il porco esporrebbe una denuncia per diffamazione