sabato 29 ottobre 2011

Si fa, non si fa, si fa, non si fa...


Il primo ad affrettarsi a dire che no, il ponte si farà lo stesso, nonostante l’approvazione della mozione presentata dal dipietrista Antonio Borghesi, è stato il ministro Ignazio La Russa: “la mozione dice che il governo eventualmente può sopprimere i finanziamenti per l’opera, ma posso assicurare che non lo farà”. A ruota, la precisazione di Palazzo Chigi, dello stesso tenore. Qualche giorno fa, era stato il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, a ribadire che il Ponte rimaneva una priorità del governo, nonostante l’Unione europea non avesse inserito il Ponte tra le opere prioritarie del Corridoio 1.
Troppo semplice cavarsela con la battuta di La Russa: “una mozione non si nega a nessuno, ma vale per quello che vale”. La sensazione è che sia stata posta una pietra tombale sulla grandeur berlusconiana da immortalare con una costruzione faraonica. Bocciata con un provvedimento di buon senso che rimedia ai tagli dei trasferimenti del governo a Regioni ed Enti locali per le infrastrutture, andando a recuperare così 1,7 miliardi di euro. Qualche considerazione sull’opportunità di un’opera che difficilmente risolverebbe i problemi della Calabria è inevitabile. Guadagnare trenta minuti nell’attraversamento dello Stretto non risolverebbe alcunché. Senza voler fare del facile “benaltrismo”, è un problema l’isolamento dei comuni calabresi delle zone interne, dovuto a collegamenti scarsi e disastrati. Sono un problema le code interminabili sull’A3, le stragi della 106 ionica, le frane che impongono la chiusura di intere strade provinciali, i fatiscenti treni-lumaca. Nello specifico, è un problema l’esistenza di un duopolio che gestisce il trasporto nello Stretto sulla pelle dei pendolari, permettendosi aumenti dei prezzi frequenti e inspiegabili, senza che le legittime proteste non si rivelino soltanto un avvilente abbaiare alla Luna.
Il Ponte unirebbe Calabria e Sicilia, in un deserto di infrastrutture. L’unica utilità sarebbe quella dichiarata da Berlusconi: “se uno ha un grande amore dall’altra parte dello stretto potrà andarci anche alle quattro del mattino senza aspettare i traghetti”. Sotto il profilo dello sviluppo economico, cambierebbe poco. La Calabria deve guardare oltre la Sicilia. Occorre puntare lo sguardo ai mercati del Nord Italia e dell’Europa, per cui servono strade e ferrovie che ne riducano le distanze. Deve guardare ai Paesi del Mediterraneo. Il suo sviluppo passa necessariamente dal rilancio e dal potenziamento del Porto di Gioia Tauro (indotto e iniziative imprenditoriali che non riducano lo scalo a box per il pit stop delle navi), ora in grave crisi per l’addio della Maersk Line che ha causato una drammatica diminuzione del traffico.
La quantità di soldi spesi fino ad ora per la “realizzazione” del Ponte è da guinness dei primati: 270 milioni di euro (8,5 miliardi il costo finale previsto). Niente male per un’opera che – probabilmente – non si farà. E pensare che l’11 giugno la Società Stretto di Messina ha compiuto trent’anni. Un compleanno che rischia di diventare amaro, anche se la sua scadenza è fissata al 31 dicembre 2050. Il tempo (per gli sprechi) non basta mai.

venerdì 28 ottobre 2011

Tornano Santoro, Vauro e il baffone di Ruotolo

Manca oramai pochissimo all'esordio televisivo della squadra di Santoro, fissato al 3 novembre, ore 21.00. Il giovedì di Rai Due è intanto naufragato con i pessimi ascolti di Star Academy, soppresso prima che sul palco arrivassero i pomodori. A conferma delle politiche suicide della Rai dove, pur di fare favori al premier, si sta affossando la televisione pubblica. Pare che ora si voglia puntare su Giuliano Ferrara per un Annozero di destra, nello stesso canale e nello stesso orario. Un premio per il successo di Qui Radio Londra, programma rivelatosi di nicchia e per il quale, "stranamente", nessuno ha chiesto la chiusura, causa ascolti nettamente al di sotto delle aspettative. Si potrà seguire Servizio pubblico (titolo del nuovo programma, inizialmente Comizi d'amore) su Sky, ma anche su diverse emittenti locali, oltre che in streaming sul sito di Repubblica, Il Fatto Quotidiano e Il Corriere della Sera.
A fare pubblicità al programma, nello spot che sta girando in rete, il premier in persona.

mercoledì 26 ottobre 2011

Ti saluto così



Tra i tanti ricordi, mi piace associarti alla tua grande passione: il volo degli uccelli. Chissà, forse più in là dirò altro. Ora mi piace pensarti con gli occhiali da sole dalle lenti spesse per potere meglio osservare senza rimanere accecato dalla luce, e il binocolo che tenevi sempre sulla macchina, pronto ad accostare appena scorgevi un punto sull'orizzonte. Spesso non riuscivi a capacitarti di come non riuscissimo a vederlo pure noi, che non avevamo l'occhio allenato come il tuo.
"Guarda quanto è bello l'adorno in volo!", esclamavi innamorato.
Ciao, "zio" Pino

martedì 25 ottobre 2011

Una bandiera di vittoria piantata sulla pancia di un morto


Sono state spese fin troppe parole su Gheddafi, sulla sua parabola politica e umana, su quelli che nel giro di pochi giorni si sono accorti che a Tripoli regnava un dittatore e sono passati da un deferente baciamano alla condanna del regime e alla guerra. Per giustificare l’imbarazzo, si è anche parlato di logiche di realpolitik, attribuendo implicitamente una statura da grande attore internazionale a chi non ce l’ha, tanto da essere di recente sbeffeggiato pubblicamente da Sarkozy e Merkel. Invece era soltanto l’albertosordismo della politica estera italiana che ogni tanto riemerge: orecchie calate con i forti, volto truce con i deboli.
La logica preponderante nei rapporti internazionali è il cinismo, il “sic transit gloria mundi” con cui Berlusconi ha liquidato l’amicizia con Gheddafi. La fine che spesso tocca in sorte ai dittatori rappresenta plasticamente i termini della questione. Sostenuti, tollerati, foraggiati, vezzeggiati fino a quando sono funzionali a interessi politici ed economici prevalenti; scaricati senza troppi scrupoli quando non servono più o diventano ingestibili. Il colpo di grazia alla testa del dittatore libico ha levato dall’imbarazzo quanti, tra i protagonisti della politica internazionale, sarebbero stati chiamati da Gheddafi a testimoniare in un regolare processo. La furia giustizialista che da più parti si è levata puzza di sospiro di sollievo per lo scampato pericolo e nasconde un intento autoassolutorio.
Ma i fatti sono sotto gli occhi di tutti. Il tentativo della Nato di giustificare il bombardamento del convoglio sul quale viaggiava Gheddafi è goffo. Come ha sostenuto il ministro degli esteri russo, non vi era “alcun collegamento tra la no-fly zone e un attacco a un bersaglio a terra”. Infine, il rais è stato catturato in una buca, ferito ma ancora vivo, ed è stato giustiziato sul posto. C’è qualcosa di intollerabile nella caccia all’uomo, nella furia che si scatena quando la belva annusa il sangue della preda: “e gli occhi dei soldati cani arrabbiati/ con la schiuma alla bocca cacciatori di agnelli” (Sidun, Fabrizio De André).
Non è in discussione il giudizio su Gheddafi, per niente ammorbidito dalla fine tragica. Era e rimane un criminale, un aguzzino del popolo libico. Però, anche lui, aveva diritto ad un regolare processo. La giustizia sommaria è sempre una giustizia barbara, violenza che si aggiunge a violenza, in una vertigine di sangue che rievoca i versi di Ignazio Buttitta: “scippari l’occhi l’unu cu l’autru,/ scurciari l’unu cu l’autru, ammazzarinni/ e chiantari banneri di vittoria/ nte panze di morti” (Ncuntravu u Signuri).

venerdì 21 ottobre 2011

Saluti da Londra/ bis

Anche l'ammiraglio Nelson ci teneva a salutare. A proposito, dice Mario che un suo amico, arrivato a Trafalgar Square abbia esclamato: "ma quello e' Napoleone?"

Da Piccadilly Circus, invece, il saluto di Cupido. Domanda: secondo voi, il buontempone che ha "lasciato" una mano dentro le mutande del dio dell'amore e' londinese?!

Oscar Wilde ci ricorda che "siamo tutti nel fango, ma alcuni di noi stanno guardando le stelle".

"Mentre attraversavo London Bridge", non ho potuto fare a meno di canticchiare "Geordie".

Ancora: Tower Bridge...

... e London Tower.

Possibile che ci sia tutto questo vento?!

Ma no, va tutto bene. Garantisce Mr "cool" Britannia!

giovedì 20 ottobre 2011

Saluti da Londra


Pronto? Mi sentite? La "perfida Albione" non e' come dicono. Per esempio, non e' vero che a Londra piove sempre. E' un luogo comune messo in giro dai francesi...



... pero' e' vero che mangiano da cani! Il cornetto farcito con il salame piccante non l'avevo mai visto...


... e neanche la seppia fluorescente! Dall'espressione perplessa di mio fratello Mario riflessa sul vetro, suppongo si tratti di una novita' della cucina cinese a Soho.


Il Big Ben non ha detto stop...


... purtroppo, neanche i cannoni, come si evince dal presidio pacifista davanti alla House of Commons.


Se ti scappa e ti trovi da "Costa", serve lo scontrino della consumazione, su cui si trova stampato il codice da digitare per aprire la porta della toilette. Se non paghi, te la puoi fare addosso...


... anche se ti chiami Elisabetta!!

mercoledì 19 ottobre 2011

Rai. Di pochi, sempre di meno



Diventa sempre più arduo ricacciare indietro il pensiero sgradevole che tra le motivazioni che spinsero Silvio Berlusconi a “scendere in campo” vi fosse lo smantellamento della televisione pubblica. Nel caso contrario, qualcuno dei dirigenti Rai succedutisi in questi anni di pseudo-concorrenza dovrebbe spiegare quale sia stata e sia la linea editoriale di Viale Mazzini. Dall’esterno, sembra la cronaca di un suicido annunciato, la declassazione e lo svilimento di un patrimonio, economico e culturale, che altrove avrebbe fatto alzare le barricate.
In Italia, invece, soltanto qualche polemica, peraltro vagamente strumentale, visto che il rapporto tra informazione e politica, pur con accenti diversi, è sempre stato problematico, al di là dell’inquilino di Palazzo Chigi. Le vette raggiunte durante l’epopea berlusconiana sono però inarrivabili. A partire dal tristemente celebre editto bulgaro che anticipò l’epurazione di Michele Santoro, Daniele Luttazzi ed Enzo Biagi, accusati di fare “un uso criminogeno della televisione di Stato”. Per proseguire con la direzione di Augusto Minzolini al tg1 e i casi eclatanti di Piero Damosso, Paolo Di Giannantonio, Tiziana Ferrario, Maria Luisa Busi. Mi è capitato, due o tre volte, di assistere a trenta secondi di Qui Radio Londra (andare oltre è umanamente impossibile), programma di Giuliano Ferrara - tra i più influenti consiglieri di Berlusconi - collocato proprio nell’orario che fu di una della trasmissioni di maggiore successo di Rai Uno, Il fatto, condotto da Biagi. Se quello di Biagi è stato un uso criminogeno, per questo di Ferrara urge un neologismo. Perché è complicato fare rientrare nella categoria del giornalismo l’apologia e la propaganda più smaccate, un pulpito dal quale si pronunciano omelie e si scagliano anatemi. Se poi si vuole ragionare in termini di ascolti, il paragone è imbarazzante. E desolante. Quando gli va bene, Ferrara racimola la metà degli spettatori che furono di Biagi. Per comprendere il gradimento di cui gode l’Elefantino, è sufficiente considerare che quasi un milione di spettatori, finito il tg1, abbandona la rete per 5 minuti (la durata del suo programma) e ci ritorna subito dopo, per vedere I soliti ignoti.
Che il gradimento e i soldi degli sponsor non stiano alla base delle scelte dei vertici Rai è evidente. Altrimenti, sulla base dei pessimi ascolti del suo telegiornale, Minzolini avrebbe fatto la valigia già da un pezzo. E per la squadra di Santoro, capace di garantire i maggiori ascolti ed incassi per Rai Due, sarebbe stato srotolato un tappeto rosso. La sostituzione di Annozero con Star Academy, già chiuso per fallimento, dice tutto sulle logiche di allestimento dei palinsesti. È facilmente prevedibile, invece, il successo di Comizi d’amore, il nuovo programma della Santoro band, in onda dal 3 novembre su una ventina di emittenti locali (tra cui Videocalabria) e sul canale 504 Sky che, al grido di “10 euro di tivvù”, ha già raccolto sottoscrizioni per 600.000 euro.
Sul cadavere della Rai svolazzano gli avvoltoi. Quello di La7, che si sta portando via tutto: l’ex direttore di Rai Tre Paolo Ruffini, Corrado Formigli, Roberto Saviano, Serena Dandini, gli spettatori. E, ovviamente, quello di Mediaset, al quale, come in una nota pubblicità, “piace vincere facile”, contro una concorrenza che, di fatto, concorrenza non è.

sabato 15 ottobre 2011

A colpi di maggioranza


Anche questa volta, come altre cinquanta volte dal 2008, la maggioranza l’ha sfangata. Ma sfangare non è sinonimo di governare, né significa essere capaci di farlo. Questo ormai lo intuiscono anche i quadri e le piante di Montecitorio. Lo si è visto, martedì, nella votazione dell’articolo 1 del rendiconto del bilancio statale, la novantunesima volta in cui il governo è andato sotto. E, più in generale, è evidente dalle lotte fratricide nel Pdl e tra i membri stessi del governo: una nemesi beffarda per chi ha giustamente rinfacciato ai governi Prodi una rissosità al limite del ridicolo. A meno che non si intenda porre la fiducia ad ogni seduta. L’unico orizzonte comune per la maggioranza è il terrore di ritrovarsi nel bel mezzo di uno scontro tribale, un regolamento di conti sulle ceneri del dopo Berlusconi (e del dopo Bossi). Il potere è l’unico collante. Venuto meno quello, sarà una guerra di tutti contro tutti. In questa fase, ogni parlamentare gioca le proprie carte perché consapevole che la conclusione del ciclo berlusconiano comporterà la fine di molte carriere politiche. E sa anche che questo è il momento di monetizzare. Pare che Denis Verdini sia diventato il filtro delle richieste dei malpancisti e delle generose quanto interessate offerte di chi non aspetta neanche di essere contattato per dichiararsi a disposizione.
Però non possono bastare 316 voti, se è stato dilapidato il capitale della più vasta maggioranza della storia del Parlamento italiano. Il baco che sta divorando il governo è al suo interno. Sardelli, Versace, Gava, Destro, ma anche Scajola e Nucara – che hanno votato sì tra mille distinguo e l’ennesima richiesta di un cambio di marcia – sono le facce di uno sgretolamento inarrestabile. Né possono bastare le poltrone da saldi di fine stagione: due nuovi viceministri, Catia Polidori allo sviluppo economico e Aurelio Misiti alle Infrastrutture, e due sottosegretari, Pino Galati all’Istruzione e Guido Viceconte (già all’Istruzione) all’Interno.
Nella prima dichiarazione dopo il voto, Angelino Alfano ha rivendicato l’esistenza di una maggioranza sia numerica che politica. Un atto quasi dovuto da parte del segretario del maggiore partito di governo, comprensibile ma poco convincente. Le richieste al premier di farsi da parte sono talmente tante e pressanti (da ultimi, anche Roberto Formigoni e Gianni Alemanno) che neanche il più ottimista dei berlusconiani può pensare di riuscire ad arrivare a fine legislatura. Semmai, la questione è un’altra, quella della preparazione delle liste. Perché andare al voto in primavera significherebbe farlo con l’attuale legge elettorale, salvo uno scatto di responsabilità e generosità che al momento non si intravedono. In barba al milione e passa di firme raccolte dal comitato referendario per l’abolizione del Porcellum. Anche il prossimo sarà un Parlamento di nominati. Molti parlamentari utilizzeranno gli ultimi giorni di Pompei per scansare macerie, dare prove di fedeltà, non fare gli schizzinosi se servirà una buona dose di cinismo per assicurarsi la ricandidatura.

giovedì 13 ottobre 2011

Il ministro della difesa



"Che gli devo dire? Questo è il problema".
Infatti: il problema non è tanto che il ministro della Difesa italiana, in conferenza stampa, si incarti sull'inglese, rimediando una figura colossale. Il problema è che La Russa non sa cosa deve dire sul blitz delle forze speciali inglesi, concordato tra i ministri della Difesa di Gran Bretagna e Italia - cioé da se medesimo - che ha portato alla liberazione della nave italiana Montecristo, attaccata dai pirati al largo delle coste somale...
Ma si può?! E soprattutto, quando finirà tutto questo scempio?
"Faccio come dico io e se volete posso dare al mio capo di gabinetto il compito di descrivere nei dettagli come si è svolta l'operazione". Ecco, bravo, dagli la parola...

mercoledì 12 ottobre 2011

Una genialata: il “safety tutor” tra Bagnara e Scilla


Siamo dei privilegiati e non lo sappiamo, circondati da gente impegnata da mattina a sera a sfornare provvedimenti utili per la nostra salute. Una vera fortuna. Eppure, ci sono persone, di quelle proprio cattive, che malignano e alimentano polemiche pretestuose e infondate, avanzando perfino il sospetto (sacrilegio!) che dietro quelle buone azioni, pensate e attuate a nostro esclusivo beneficio, ci siano inconfessabili ragioni, dettate dall’atavico bisogno di liquidità, dalla prosaica esigenza di fare cassa in tempi di magra assoluta. “Io mi sacrifico per voi e questo è il vostro ringraziamento” urlava Capitan Uncino alla sua ciurma. Sì, il mondo si divide in “gente per bene e gente per male”, secondo il manicheismo del ministro Brunetta, che tanto deve alla filosofia di Tuco (Eli Wallach, nel film di Sergio Leone Il buono, il brutto e il cattivo) quando considerava che “gli speroni si dividono in due categorie: qualcuno passa dalla porta e qualcuno dalla finestra”.
Pochi, di quelli che contano, passano però dal tratto autostradale Bagnara-Scilla, altrimenti non si spiegherebbe la decisione di installare, nientemeno, il “safety tutor” nel macrolotto più disgraziato dell’intera Salerno-Reggio Calabria. Siccome già si procede a passo di lumaca, quando non si rimane bloccati a causa di qualche incidente o guasto che impedisce anche alle autoambulanze di farsi largo nel doppio senso intasato di vetture, si è pensato bene di ridurre ulteriormente i tempi di percorrenza. Come se, in condizioni “normali”, fosse un susseguirsi continuo di prestazioni record. Per non incorrere nelle prevedibili salatissime multe, non bisogna superare i 40 km/h di velocità media. Buona fortuna, è proprio il caso di augurarlo, a tutti i pendolari da e per Reggio Calabria.
In un paese serio, i cittadini penalizzati – e quelli che quotidianamente devono incrociare le dita e pregare San Cristoforo prima di immettersi sull’autostrada lo sono – andrebbero ricompensati per i disagi patiti. Da noi, invece, cornuti e mazziati. Come quando, sempre tra Bagnara e Scilla, era stato collocato l’autovelox in un rettilineo in discesa, un tratto in cui era praticamente impossibile andare a 40 km/h. Ovviamente, l’avevano fatto per la nostra incolumità, salvo toglierlo definitivamente dopo che qualcuno aveva pensato di risolvere la questione con le cattive, spaccandolo. Anche sulla vicenda del tutor si sono già levate voci di protesta, comprese quelle istituzionali del sottosegretario all’Ambiente Elio Belcastro (una decisione “offensiva per tutti coloro i quali, con indicibili disagi, sono obbligati a percorrere l’autostrada”) e del consigliere regionale Luigi Fedele. Tanto che la prefettura si è sentita in dovere di precisare che il “safety tutor” non è ancora in funzione, nonostante sia stato installato. Non è detto, però, che non lo sarà e, in ogni caso, il danno è già stato fatto. File lunghissime, causate da automobilisti convinti che il sistema sia in funzione, frenate improvvise e tamponamenti.
Catilina sta davvero abusando della nostra pazienza. Non sarebbe male se lanciasse un segnale di distensione, decidendo di smontare il tutor e, nel frattempo, segnalando con appositi cartelli che non è in funzione.

lunedì 10 ottobre 2011

La notte più bella della mia vita


La notte più bella della mia vita era dicembre, ma non era ancora Natale. L’aria era gelida, la sentivo sul naso e sulle orecchie mentre aspettavo di potere andare da Lei. Un lettino da dividere in due, in una stanza che da letto non era.
La colonna sonora del nostro incontro la intonò Patti Smith: Because the night, la sigla di Fuori orario che ci sorprese sotto le lenzuola. L’ascoltammo fino all’ultima parola, perché “l’amore è un banchetto sul quale ci sfamiamo” e perché “la notte appartiene agli amanti”.
Ci sussurrammo le nostre vite passate, quasi volessimo azzerare la storia e fare ripartire il cronometro da noi, con il racconto del tempo che non avevamo vissuto insieme.
Ci separammo all’alba. Percorsi a piedi la strada deserta del ritorno, in un’aria di vetro. Ero il re del mondo e, mentre una luna pallida e infreddolita mi scrutava, camminavo in pace, sotto le ultime stelle mute. Non avevo bisogno di niente.
La notte più bella della mia vita è stata un battito d’ali.

sabato 8 ottobre 2011

Frank il mongolo

A prima vista poteva sembrare un incrocio tra una maschera dei film di Carlo Verdone e Nichi Nardozza, l’eccessivo ed eccentrico personaggio di Volare basso, romanzo di successo scritto da Gaetano Cappelli. Anche se di Nardozza non aveva la propensione a raccontare balle colossali. La similitudine riguarda l’aspetto esteriore, l’abbigliamento e lo stile di vita un po’ naif che lo rendevano, agli occhi di una piccola comunità come quella eufemiese, personaggio singolare e stravagante.
Cuoco sulle navi da crociera. Era stata questa la sua professione, negli anni Sessanta e Settanta. Un giramondo sciupafemmine e single impenitente. Francesco Gioffrè, detto “Frank il mongolo” per quei baffi (e il pizzetto) alla Gengis Khan, era un personaggio da film. Romanzesco e simpaticissimo. Il sorriso sempre stampato sul viso, tranne quando perdeva a biliardo. A boccette, per l’esattezza, ché con la stecca si è sempre rifiutato di giocare. Superstizioso, portava attaccato al collo un corno di corallo rosso infuocato e, per sconfiggere il malocchio di chi assisteva alla partita, bocciava tenendo la pallina incastrata tra indice e mignolo. Indossava camicie incredibili sotto il gilet da cow-boy di vacchetta e stivaletti da rock star. Stretto tra i denti, spesso, un sigaro dalle dimensioni spropositate. Al polso, bracciali delle più svariate fogge. Milanista sfegatato, entrava al bar cantando una personalissima rivisitazione – non so quanto consapevole – del coro più celebre del Napoli alla fine degli anni Ottanta: Oh mamma, sai perché mi batte il corazón? Oh Cristo (invece di: ho visto), Maradona!
Ogni tanto dalla sala biliardi giungeva al bancone del bar un urlo: “un baaaby!” (mezzo whiskey), cui seguiva un bestemmione irripetibile. Fuori, parcheggiata, la macchina dei nostri sogni di ragazzini: un’Alfa Triumph Spitfire IV diventata rossonera dopo un restyling realizzato con il pennello, il cui interno era tutto un programma. Coprisedili con pelliccia, clacson a trombetta, un corno enorme, due cuscini del Milan e musicassette di Elvis Presley e Julio Iglesias sparse ovunque.
Quando l’ho conosciuto, da tempo non lavorava più sulle navi. Ritornato in paese, aveva aperto un genere alimentari che durò pochissimo. Costretto a chiudere prima di rovinarsi completamente, dato che offriva pezzetti di formaggi e salumi a chiunque entrasse e si faceva pagare la spesa una volta sì e una no, mentre per i ragazzini delle scuole il più delle volte il panino imbottito era “omaggio della ditta”. Tornò quindi alla sua vecchia professione di cuoco, questa volta sulla terraferma, negli alberghi, da dove periodicamente tornava, sempre atteso dai frequentatori della sala biliardi e soprattutto da mio fratello Luis, dodicenne o giù di lì, al quale aveva regalato un braccialetto di occhio di bue e promesso, con largo anticipo, che avrebbe fatto da compare d’anello al matrimonio.
L’ha tradito il cuore a 55 anni, una notte di aprile del 1992, in una stanza d’albergo a Soverato, dove alloggiava e lavorava. Non fui presente al suo funerale e la cosa mi dispiacque molto. Nutro un affetto particolare per tutte le persone che, dal 1982 in poi, sono transitate dal “bar Mario”, una delle mie palestre di vita, insieme alla strada e alla scuola. Quando passo per salutarlo, guardando quella camicia insolita per una foto sulla lapide, il sorriso è inevitabile. Come tanti anni fa. Ciao, Frank.

giovedì 6 ottobre 2011

Grazie, Steve

Quando ci lascia un genio, si rimane sempre un po' smarriti. Soltanto un visionario, innovativo e creativo come Steve Jobs, poteva immaginare e tradurre in realtà ciò che prima di lui era fantascienza.


Ricordare che morirò molto presto è stato lo strumento più importante che ho avuto per aiutarmi a fare grandi cose. Perché quasi tutto - le attese esterne, l'orgoglio, il timore di un imbarazzo o di un fallimento - viene spazzato via dalla morte, che lascia solo ciò che è veramente importante. Ricordare che si sta per morire è il modo migliore che conosco per non cadere nella trappola di pensare che hai qualcosa da perdere. Sei già nudo, non c'è motivo di non seguire il tuo cuore.
[Steve Jobs, 1955-2011]

martedì 4 ottobre 2011

L'addio alle scene di Ivano Fossati


Ivano Fossati ha annunciato il suo ritiro dalle scene, anche se dovrebbe continuare a scrivere canzoni. Speriamo. Perché un conto è non fare più tournée, comprensibile dopo quarant’anni di carriera, altra cosa dovere fare a meno delle considerazioni acute di un cantautore sempre attento e sensibile alle trasformazioni della nostra società. Non credo che la sua sia una trovata pubblicitaria per sponsorizzare il suo ultimo album, “Decadancing”. Non sarebbe nel suo stile e non ne avrebbe neppure bisogno. Non è mai stato un artista particolarmente interessato agli aspetti commerciali della professione.
Scegliere tra tutta la sua vasta produzione non è facile. D’istinto direi “La costruzione di un amore”, raffinata rappresentazione di un amore portentoso, anche se per ragioni personali metto al primo posto la collaborazione con Fabrizio De André, “Anime salve”, magnifico album-testamento lasciato da Faber al suo pubblico. Pensando però al significato che una canzone può assumere in un determinato momento storico, non posso non andare con la mente alle giornate in cui “La canzone popolare” accompagnò la vittoria dell’Ulivo di Prodi, nel 1996. Una stagione di grandi speranze, nella quale i sogni traevano nutrimento dalla sensazione che una svolta potesse essere possibile. Poi le cose andarono come si sa e Berlusconi si rivelò ben altro che un’anomala parentesi. Tanto che, dopo quindici anni, pur declinante e ora sì sconfitto (dalla storia se non altro), è ancora sul ponte di comando. Peccato. È stata un’occasione persa, che in tanti non sono riusciti a comprendere.
In una celebre scena di “Palombella rossa”, Nanni Moretti/ Michele Apicella sbotta: “le parole sono importanti!”, dopo avere rifilato un ceffone alla giornalista che lo sta intervistando. Anche le canzoni. Basta pensare agli inni scelti dal partito democratico nel dopo-Prodi. Il buonista “Mi fido di te” (Jovanotti), per esempio, con Veltroni candidato a presidente del consiglio, nel 2008. Si sono fidati in pochi, anche se si è trattato del migliore risultato raggiunto dai democratici, poco più del 33%, ottenuto però cannibalizzando il voto a sinistra, dove sono passati a migliore vita Rifondazione e i Comunisti italiani. O la bersaniana “Un senso” (Vasco Rossi). Parole che sono un programma: “Voglio trovare un senso a questa storia anche se questa storia un senso non ce l’ha”. Non proprio il massimo, per uno che cerca di fare proseliti. Lo stanno ancora cercando, questo benedetto senso. Referendum sì o referendum no? Elezioni anticipate o governo di responsabilità nazionale? Alleanza con Di Pietro e Vendola o con Casini? Si brancola nel buio.
Ecco, il prossimo inno potrebbe essere “Senza luce”, cover italiana della famosissima “A Wither Shade Of Pale” dei Procol Harum, interpretata dai Dik Dik (testo di Mogol): “Han spento già la luce/ son rimasto solo io/ e mi sento il mal di mare/ il bicchiere però è mio/ cameriere lascia stare/ camminare io so/ l’aria fredda sai mi sveglierà/ oppure dormirò”. Sì, bravo, continua a dormire.

domenica 2 ottobre 2011

La marcia su Cosenza


Non indossavano il fez e l’orbace, anche se qualcuno ancora sfoggia tatuaggi col capoccione. Non erano neanche i ventimila preannunciati dai promotori dell’esibizione muscolare voluta dal governatore Giuseppe Scopelliti. Però erano in tanti. L’organizzazione del consenso è una materia che l’ex sindaco di Reggio maneggia con abilità. Un presidente giovane tra i giovani, un po’ come il “Chiambretti night”. Simpatico, bello e probabilmente pure profumato. Come vuole il gran capo, che però non si può più nominare, talmente è caduto in disgrazia. Non come la sinistra brutta, sporca e pessimista: “bisogna sempre avere ottimismo, mentre i leader della sinistra sono sempre pessimisti”. È tutto qua il segreto del successo. E per questo, “non possiamo consegnare il paese a gente del genere” e “chi non salta comunista è”.
Ed io che pensavo si fossero liquefatti. In Calabria, poi, sarebbe legittimo sospettare l’abbattimento di un meteorite simile a quello che provocò l’estinzione dei dinosauri alla fine del Cretaceo. Il partito democratico, affidato ancora ai placebo del commissario Musi, “non perviene” da tempo immemorabile. Il resto di quel che fu il Pd è sul crinale, in meditazione sul da farsi. Si vocifera di un prossimo ingresso dell’Api rutelliana nella giunta regionale e persino quel comunistone di Loiero potrebbe accasarsi a destra. In Parlamento però, ché in Calabria occorrerebbe un chilo di bicarbonato per fare digerire una pietanza del genere. Raffaele Lombardo ha infatti spalancato all’ex governatore le porte del suo Mpa, partito di confine che ricorda un po’ l’enciclica Mater et magistra di Papa Giovanni XXIII: “Mater et magistra piace alla sinistra; madre e maestra piace alla destra; e se la guardi dentro piace anche al centro”. Una collocazione ancora tutta da decidere, ma quello è l’ultimo dei problemi. Come dire: “in base al vento, verrà sistemata la vela”.
Torniamo alla manifestazione di Cosenza. Una prova di forza, senza alcun dubbio. Ma rivolta non contro questa sinistra impalpabile ed evanescente. Non ce ne sarebbe bisogno perché, da quel versante, Scopelliti ha ben poco da temere. Il destinatario della cartolina culturista va rintracciato altrove. Gli indizi portano a Roma, dove, indipendentemente dalla caduta o meno del governo, è ormai universalmente accettata la fine del ciclo berlusconiano. L’uscita di scena del cavaliere provocherà conseguenze a cascata, smottamenti già anticipati da alcune significative prese di distanza. Chi può, cerca di non restare intrappolato sulla tolda insieme all’orchestra che continua a suonare come se nulla fosse, mentre il Titanic affonda. Non per niente Scopelliti tiene due piedi in tre scarpe. Il Pdl, del quale è tuttora coordinatore regionale, nonostante la chiarezza delle parole e dell’esempio di Angelino Alfano in tema di incompatibilità; la Lista Scopelliti, esempio plastico di lista “coca-cola” invisa a via dell’Umiltà; il laboratorio del Partito del Sud di Micciché, presidiato dal fedelissimo Alberto Sarra. Le vie di fuga non mancano. Così come i voti, checché se ne dica. La capacità di intercettare il favore dei giovani non si discute neanche, visto il successo – già sperimentato a Lamezia – dell’estensione del modello Reggio su scala regionale: nani, ballerine, convention mirabolanti e spettacoli a go-go.
Popolarità e seguito non possono essere considerati un demerito. Lo è, purtroppo, il vuoto pneumatico di una sinistra tenera e inciuciante che, invece di fare opposizione durissima, non si preoccupa di smentire le accuse di partecipazione alla gestione clientelare del potere (da ultimo, la vicenda della Fondazione Campanella). Esiste, evidentemente, un deficit di leadership, causato dal deserto che – parafrasando Tacito – è stato fatto senza peraltro portare alla pacificazione. Di più, c’è un problema di credibilità. Che è come il coraggio di don Abbondio. Se non ce l’hai, non te la puoi dare.

sabato 1 ottobre 2011

Comma ammazza-blog: un post a Rete unificata




Cosa prevede il comma 29 del ddl di riforma delle intercettazioni, sinteticamente definito comma ammazzablog?
Il comma 29 estende l’istituto della rettifica, previsto dalla legge sulla stampa, a tutti i “siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica”, e quindi potenzialmente a tutta la rete, fermo restando la necessità di chiarire meglio cosa si deve intendere per “sito” in sede di attuazione.

Cosa è la rettifica?
La rettifica è un istituto previsto per i giornali e le televisione, introdotto al fine di difendere i cittadini dallo strapotere di questi media e bilanciare le posizioni in gioco, in quanto nell’ipotesi di pubblicazione di immagini o di notizie in qualche modo ritenute dai cittadini lesive della loro dignità o contrarie a verità, questi potrebbero avere non poche difficoltà nell’ottenere la “correzione” di quelle notizie. La rettifica, quindi, obbliga i responsabili dei giornali a pubblicare gratuitamente le correzioni dei soggetti che si ritengono lesi.

Quali sono i termini per la pubblicazione della rettifica, e quali le conseguenze in caso di non pubblicazione?
La norma prevede che la rettifica vada pubblicata entro due giorni dalla richiesta (non dalla ricezione), e la richiesta può essere inviata con qualsiasi mezzo, anche una semplice mail. La pubblicazione deve avvenire con “le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”, ma ad essa non possono essere aggiunti commenti. Nel caso di mancata pubblicazione nei termini scatta una sanzione fino a 12.500 euro. Il gestore del sito non può giustificare la mancata pubblicazione sostenendo di essere stato in vacanza o lontano dal blog per più di due giorni, non sono infatti previste esimenti per la mancata pubblicazione, al massimo si potrà impugnare la multa dinanzi ad un giudice dovendo però dimostrare la sussistenza di una situazione sopravvenuta non imputabile al gestore del sito.

Se io scrivo sul mio blog “Tizio è un ladro”, sono soggetto a rettifica anche se ho documentato il fatto, ad esempio con una sentenza di condanna per furto?
La rettifica prevista per i siti informatici è quella della legge sulla stampa, per la quale sono soggetti a rettifica tutte le informazioni, atti, pensieri ed affermazioni ritenute dai soggetti citati nella notizia “lesivi della loro dignità o contrari a verità”. Ciò vuol dire che il giudizio sulla assoggettabilità delle informazioni alla rettifica è esclusivamente demandato alla persona citata nella notizia, è quindi un criterio puramente soggettivo, ed è del tutto indifferente alla veridicità o meno della notizia pubblicata.

Posso chiedere la rettifica per notizie pubblicate da un sito che ritengo palesemente false?
E’ possibile chiedere la rettifica solo per le notizie riguardanti la propria persona, non per fatti riguardanti altri.

Chi è il soggetto obbligato a pubblicare la rettifica?
La rettifica nasce in relazione alla stampa o ai telegiornali, per i quali esiste sempre un direttore responsabile. Per i siti informatici non esiste una figura canonizzata di responsabile, per cui allo stato non è dato sapere chi sarà il soggetto obbligato alla rettifica. Si può ipotizzare che l’obbligo sia a carico del gestore del blog, o più probabilmente che debba stabilirsi caso per caso.

Sono soggetti a rettifica anche i commenti?
Un commento non è tecnicamente un sito informatico, inoltre il commento è opera di un terzo rispetto all’estensore della notizia, per cui sorgerebbe anche il problema della possibilità di comunicare col commentatore. A meno di non voler assoggettare il gestore del sito ad una responsabilità oggettiva relativamente a scritti altrui, probabilmente il commento (e contenuti similari) non dovrebbe essere soggetto a rettifica.

Questo blog partecipa all'iniziativa di web lotta promossa da www.valigiablu.it, che invita tutti i blogger contrari all'ammazzablog a scrivere lo stesso post (questo) a rete unificata.