mercoledì 15 maggio 2013

Nel centenario della nascita di don Luigi Forgione

Sant’Eufemia, Sinopoli e Sant’Onofrio: sono i “luoghi” di don Luigi Forgione e la fonte di ispirazione del sacerdote definito da Mimmo Pezzo “il poeta della bellezza delle cose del creato”.
Nato a Sant’Eufemia il 29 maggio 1913 e ordinato sacerdote nel 1938, don Forgione svolse quasi tutto il suo ministero a Sinopoli e a Sant’Onofrio, dove arrivò all’inizio degli anni Settanta e morì il 14 gennaio 1992.
La prima pubblicazione, Sinopoli e il suo Santuario, risale al 1955, mentre è dell’anno successivo Le care figure, una raccolta di racconti in cui il dolore provocato dalla morte di familiari, amici e conoscenti si scioglie nel soccorso provvidenziale del ricordo di quelle vite e del loro messaggio: “Dalle ombre dei sepolcri non può forse scaturire la luce per il nostro pensiero, additando proprio nella lacrime la promessa d’un confortevole, ineffabile sorriso?”.
Canti di Fede, libro di poesie edito nel 1956 e ristampato nel 1984 in un’edizione “riveduta e ampliata”, è ispirato al genere manzoniano degli “inni sacri” (tra i titoli: “L’immacolata”; “La passione di Gesù”; “Resurrezione”; “L’ascensione”; “Pentecoste”; “Corpus Domini”). Per l’ispettore didattico Giuseppe Cutrì, autore della prefazione del volume, don Forgione ha “saputo trasfondere nei versi tutta la genuinità della sua fede, tutta la purezza della sua vita civica e sacerdotale, nonché tutta la forza della sua fervente spiritualità, additante la via del superamento e dell’ascensus”.
L’anno dopo (1957) esce La vera gloria, raccolta di versi dedicata a papa Pio XII, in cui il genere degli inni sacri (“Il Protomartire”; “Il pescatore di Galilea”; “Paolo di Tarso”; “Fiore di Calcedonia”) si alterna con liriche autobiografiche e introspettive (“La mia penna”; “Contrasto”; “La mia porta”; “Il mio letto”; “Al paese natio”; “Lo specchio”; “Che cosa sono?”), cariche di nostalgia e commozione, come nei versi finali di “A mamma mia”:

Vorrei ridarti quello che m’hai dato,
vorrei donarti i miei capelli neri, 
intrecciare i miei sogni ai tuoi pensieri,
lasciar la vita, mamma, in questo stato.

La vera gloria ebbe la segnalazione di onore al concorso di poesia “Alfredo Baccelli” di Milano e la segnalazione di primo grado al concorso di poesia del Convivio letterario di Bergamo.
La bellezza del creato irradia dai componimenti di Armonie divine (1958), che affronta “i temi a lui cari”, ispirati dalla quotidianità della vita agreste e “dalla innocente contemplazione di un piccolo mondo antico e nuovo, [dilatandosi] in sensazioni e in immagini di portata universale: il sole, la luna, le stelle, il vento, la pioggia, il mare, gli alberi in fiore, le rondini, il ruscello, le viole, le rose, l’olivo, la spiga, la vite” (dalla prefazione da Gino D’Angelo, direttore del settimanale romano “Realtà politica”). All’opera furono assegnati il “Diploma d’encomio” al concorso “Gastaldi” e la “Penna d’oro” al concorso “Convivio letterario e conviviale”, con la seguente motivazione : “Gli inni in essa contenuti sono modelli d’arte austera, controllata, antica e nuova, e formano una sinfonia unitaria, un poema di grazie al Creatore”.
Nastro magnetico (1964) segna il ritorno di don Forgione alla prosa e consiste in una serie di racconti autobiografici, che compongono il romanzo della vita del protagonista, don Ubaldo, “ab incunabulis ad sepulcrum”.
 Le poesie di Tempo che fugge (1967), che ottenne il “premio alla cultura” del Consiglio dei ministri, riassumono i temi della produzione di una vita: fede, natura, famiglia, amicizia. Nella prefazione, Gino D’Angelo osserva: “Tutto per te è argomento di poesia: la solitudine agreste, il variare delle stagioni, le antiche usanze, le nuove voci, i cari affetti, i dolci ricordi, la maternità della terra, la maestà dei tuoi monti, la sconfinata altezza del cielo, le voci della natura, la sorte degli umili, la meta di tutti”.
La silloge Sulla Cetra (1980) ripropone infine “ai benevoli lettori [i versi] superstiti ad una accurata e severa selezione”, operata dall’autore sulle raccolte pubblicate in precedenza: oltre alle citate, Verso l’Alto, regola di vita dell’Azione cattolica, ispirata alle parole scritte da Pier Giorgio Frassati (proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1990) sull’ultima fotografia che lo ritrae impegnato a scalare la parete di una montagna.
Collaboratore di diverse riviste (“Omnia”; “L’Informatore”; “La Voce del Pastore”; “Calabria letteraria”), don Luigi Forgione ebbe anche l’onore dell’adattamento musicale di alcune sue poesie: “ Il monumento ai caduti”, ad opera del maestro Domenico Luppino; “Al Santo protettore”, dedicata a Sant’Onofrio e i cui versi, musicati dal maestro Luigi Occhiuto, furono cantati al Metropolitan di New York e trasmessi alla radio il Venerdì Santo del 1960; “Inno al Vescovo”, dedicata a monsignore Domenico Cortese, vescovo di Mileto, Nicotera e Tropea, che fu messa in note dal professore Vincenzo Lattari.
Tra le tante, segnalo la poesia “Che cosa sono?”

Fisso lo sguardo sul libro, ma scruto 
e leggo, attentamente, fra misteri 
nel più profondo dell’anima mia. 
‹‹Che cosa sono?›› domando a me stesso. 
‹‹Polvere, forse, fragrante di vita? 
Un pensiero che sprezza 
la terra e cerca le altezze supreme? ›› 
Atomo, sperso in un mare di luce, 
 l’infinito t’accoglie, anima mia, 
quasi sospesa fra cieli ed abissi, 
arbitra e preda di forze in contrasto. 
Vivi in pena, in letizia; 
piangi, poi, canti e, se lotti, tu speri. 
Che dunque, anima, sono? 
Forse son nulla, ma in cerca… del Tutto.

* Dedico questo articolo alla memoria di Rosina Forgione, umile e devota collaboratrice di don Forgione, che ci ha lasciati il 13 maggio.

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