mercoledì 26 febbraio 2014

Il concorso

“Marco Alcina?! Ma di chi cazzo è Marco Alcina?”. Il professore Lucio Guidoni strabuzzò gli occhi e strinse i denti in un ghigno rabbioso. Le sue mani cominciarono a tremare, mentre un grumo di saliva all’angolo sinistro della bocca tradiva un forte stato di agitazione. Come aveva potuto farsi mettere nel sacco, così, neanche fosse uno sprovveduto dilettante e non lo scafatissimo dominus delle commissioni giudicatrici? La prima toppata dopo un decennio di concorsi confezionati con precisione sartoriale per parenti, amici, qualche amica: ché se si riesce a comandare e fottere è pure meglio. Mai un dottorato assegnato senza la sua benedizione. Con borsa, senza. E sennò che mi coordini, Guidoni?
“Nei corridoi della facoltà non si parla d’altro, Corrado: sfilare un dottorato sotto il naso a Guidoni… a casa sua, ti rendi conto? Questo è un esproprio proletario!”. Franca D’Amico non stava nella pelle dalla gioia. Con Corrado Romeo aveva una storica consuetudine di battaglie solitarie e perdenti. Un fronte sempre aperto li contrapponeva al preside Giacomo Nichetti, potentissimo distributore di cattedre e procacciatore di ordinariati da talamo per tutte le età: la tesista capace di scalare in pochi anni i gradini dell’accademia; la matura applicata di segreteria vincitrice di concorso con una sola pubblicazione all’attivo, cinquanta pagine di articolo e altrettante di appendice pubblicate sulla prestigiosa rivista specializzata diretta dallo stesso Nichetti.
La disfatta era il collante del loro affiatamento, saldo a dispetto dei rovesci della fortuna e proprio per questo fonte dell’invidia dei colleghi. Per festeggiare degnamente l’atto di pirateria, Corrado avrebbe cucinato a casa di Franca uno stocco da apoteosi, prestando la sua proverbiale attenzione al bilanciamento tra ingredienti dolci e salati (“è questo il segreto”): carota e olive, pera e capperi, uva passa e pinoli.
Nella testa di Marco i fotogrammi si accavallavano senza un ordine. Ogni immagine, un livido. Ogni livido, un sorriso. Sorrisi amari. Quel “di chi cazzo è Marco Alcina?” era un prodigioso analgesico, ma spiegava meglio di mille inchieste giornalistiche le logiche accademiche: o sei di qualcuno, o sei nessuno. Un corpo estraneo da espellere con fastidio. Puoi prendere il pezzo di carta da appendere al muro, ma dall’altra parte della cattedra, no. Scordatelo. Quella è riserva di caccia per baroni, zona rossa invalicabile.
Marco non era di nessuno, non lo era stato neanche negli anni precedenti: due volte su due primo dei non ammessi alla prova orale, poco più di una formalità che si risolveva nella conferma della graduatoria decretata dallo scritto. Una cocente doppia delusione, rinfocolata dal ricordo del tempo consumato sui libri e della vita offerta in olocausto sull’altare di un futuro appena sognato. “Io mi fermo qui”, la sofferta e conseguente decisione.
Mica facile.
“Marco, me la dai una mano?”. Dalla cornetta l’accento inconfondibile del professore Romeo, un giorno che non ti aspetti, dopo il silenzio di un anno. Una richiesta d’aiuto per portare a termine, con la collaborazione di altri ex studenti, la ricerca necessaria per il libro che gli avrebbe consentito di conseguire l’ordinariato. Subito dopo la pubblicazione della sua tesi di laurea Alcina si era congedato dal professore Romeo con mestizia: “io questo tipo di lavoro continuerei a farlo anche gratis, ma non posso proprio”. Ora però era diverso. Un paio di mesi: neanche una parentesi, a pensarci bene.
“E presentala! Che ti costa?”: il pressing degli amici era diventato asfissiante. “Non c’è due senza tre”, il pensiero finale di Alcina, che compilò controvoglia la domanda per il concorso del dottorato. Il professore Romeo sembrava addirittura speranzoso, nonostante i nomi dei vincitori circolassero dal giorno successivo all’uscita del bando: l’allievo prediletto di Guidoni e la giovane assistente del professore Aldo Foresta, una procace venticinquenne che aveva deciso di seguire il relatore della sua tesi di laurea fin sotto le lenzuola. Il piano era semplice: Alcina doveva solo pensare a svolgere la migliore traccia della sua vita, al resto avrebbe provveduto l’insospettabile Anna Vincelli, in commissione ma senza alcun candidato da sostenere. Andò come auspicato: gli altri due commissari valutarono positivamente l’elaborato, ignari del punteggio massimo assegnato dalla collega. Per Foresta, che considerava la borsa di studio triennale un equo compenso alla generosità della sua allieva, fu vera beffa.
Ogni tanto Marco Alcina ritorna a quelle giornate. Alle aspettative deluse da un turno (il suo) mai arrivato, l’anima un pungiball per uno-due terrificanti: “è inutile che presenti la domanda per il post-dottorato: quel posto non è tuo”, “l’assegno di ricerca è andato a un altro dipartimento”, “ci hanno sottratto la gestione del corso di laurea nella sede distaccata”.
Frasi sfumate e immagini in dissolvenza, una vita dopo.

sabato 22 febbraio 2014

Ricognizione sulla fiducia

 
Sul suo blog, Pippo Civati invita gli elettori del partito democratico ad esprimersi sul cambio di governo, attraverso un “questionario-ricognizione” e intervenendo “virtualmente” all’assemblea di democratici che si terrà a Bologna: non più di mille battute per motivare un sì o un no all’esecutivo guidato da Renzi (“Ricognizione sulla fiducia. Cosa ne pensate?”). Di seguito, le ragioni del mio sì alla fiducia al nuovo governo. Con i limiti che la sintesi comporta.

La fiducia va votata. Turandosi il naso e mordendosi la lingua. Nell’attuale situazione non c’è alternativa: questione di responsabilità, serietà, maturità. Ma anche per dare una risposta, prima di tutto a se stessi, su come si intende agire per incidere nelle scelte di partito e di governo, e non fare solo testimonianza. Esiste un dato, imprescindibile: il gruppo Civati è minoranza. E in politica i numeri contano. Oltretutto, siamo nell’arte del possibile, non dimentichiamolo, non tra i vicoli di Utopia. Per cui, mettiamoli e mettiamoci alla prova, con spirito propositivo, tentando di spostare a sinistra la barra del governo con gli strumenti parlamentari di cui disponiamo. La fuoriuscita dal partito non è scelta lungimirante. Si farebbe la figura del bimbo sconfitto che, per ripicca, abbandona il campo portandosi dietro il pallone. Ovviamente, la nostra non deve essere una cambiale in bianco, ma una verifica quotidiana. Se tra sei mesi o un anno dovessimo ritenere negativo il saldo, allora ne trarremo le necessarie conseguenze. Dopo, però. Prima occorre andare a vedere la mano di carte di Renzi e giocarsi bene le proprie.

mercoledì 19 febbraio 2014

Prima la politica

 
Come spesso accade per le cose del partito democratico, le primarie che avrebbero dovuto eleggere il nuovo segretario regionale in Calabria hanno registrato una coda inattesa. Neanche tanto, a dire il vero, considerato che già alla vigilia era data come altamente probabile l’eventualità che nessuno dei quattro candidati raggiungesse la maggioranza assoluta dei delegati. Cosa che puntualmente si è verificata. A norma di regolamento, la palla passa all’Assemblea. Non senza qualche coda polemica. Magorno contro Canale. Con il primo che si è fermato a soli due delegati dai 151 necessari per avere la maggioranza. E con il secondo che può a ragione ritenersi soddisfatto. Checché se ne dica, dall’altra parte c’era schierata la stragrande maggioranza dell’establishment dei vecchi democrats, politici di lungo corso ritrovatisi incidentalmente renziani a braccetto, anche fuori dalle insegne di partito, con coloro che più hanno da temere dall’affermazione di uomini e metodi nuovi: Sandro Principe, Marco Minniti, Mario Pirillo, Agazio Loiero, Luigi Incarnato, Peppe Bova, Antonio Borrello, truppe cammellate delle più svariate fogge. Avere impedito a Magorno una vittoria al primo turno, nonostante l’impari lotta contro questi vecchi volponi, per Canale è già una vittoria. L’altro dato a mio avviso confortante riguarda la provincia di Reggio Calabria, dove Canale (54%) ha stracciato l’avversario (45%) nonostante lo sforzo collettivo compiuto da tutti i big (esclusi Nino De Gaetano e Sebi Romeo) per contrastarne l’affermazione. Merito della novità della proposta, colta in particolare da quei giovani che hanno permesso gli exploit di Rosarno, Palmi, Bagnara, Siderno e, a leggere bene le situazioni, anche Gioia Tauro. Il futuro è segnato. Ritorni al passato, almeno in provincia di Reggio, non ce ne saranno. E questa è una prospettiva davvero interessante. Una prima, vera, vittoria.
Ora occorrerà ricomporre i cocci della campagna elettorale, stemperare i veleni di situazioni non limpidissime (Diamante e Belvedere Marittimo), ricercare un’unità di intenti che è indispensabile per affrontare con fiducia le prossime sfide: Europee, Comunali, Regionali.
Il 22 febbraio alle 16.30 Canale riunirà presso l’Hotel Euro Lido di Falerna i delegati, gli amministratori, i segretari di circolo e i sostenitori della sua lista per elaborare la proposta politica da presentare all’Assemblea. Un’altra storia deve necessariamente iniziare dai contenuti, non dalla conta congressuale. Da qui lo slogan #primalapolitica con il quale Canale ha lanciato l’evento.
Come circolo “Sandro Pertini” di Sant’Eufemia, cercheremo di dare il nostro piccolo contributo anche in questa occasione. L’abbiamo fatto giorno 16 con i 130 voti attribuiti a Canale, per i quali grande merito va ai compagni e amici Mario Surace, Enzo Fedele, Peppe Gentiluomo e Pasquale Napoli. E speriamo di continuare a farlo nelle sedi deputate, a partire dal coordinamento della Piana. Perché o la politica parte dal basso, o è altro.

lunedì 17 febbraio 2014

Quando Montalto in Aspromonte diventò un vulcano

Non è il racconto di un folle, né la bizzarra ipotesi di quei programmi televisivi che campano sulla credulità umana e spacciano per verità panzane clamorose, “ovviamente” occultate per ragioni oscure che solo la Cia conosce. Non è neppure uno scoop giornalistico pompato da farci prime pagine per giorni e giorni. È scritto nero su bianco; anzi nero su ocra, il colore dei telegrammi di fine Ottocento: in quel tempo, l’Aspromonte era un vulcano in attività.
Sono trascorsi appena due mesi dal terremoto che il 16 novembre 1894 sconquassò il circondario di Palmi, provocando rovine e morti. La Madonna del Carmine aveva fatto il miracolo, in seguito riconosciuto dalla Chiesa, e aveva limitato a otto le vittime (circa 300 i feriti) nel capoluogo del circondario, epicentro del sisma per sedici interminabili secondi alle 18.55. Tutt’attorno macerie e desolazione: abitazioni rase al suolo o rese inabitabili, 98 morti (48 soltanto a San Procopio), il terrore negli occhi dei sopravvissuti, molti dei quali avrebbero perso la vita quattordici anni più tardi. A Sant’Eufemia, tra le sette vittime la più anziana è la novantacinquenne Carmina Zagari; la più giovane Maria Antonia Cutrì, un fiore reciso a soli tre anni. Oltre 200 feriti, 212 abitazioni crollate, 326 pericolanti, 432 gravemente danneggiate e 188 lesionate in modo lieve. E la paura che potesse accadere nuovamente alimentata da scosse continue, per giorni, settimane, mesi.
I terremotati, alloggiati in baracche tirate su con il contributo dei comitati sorti in tutta Italia, hanno ormai orecchie sensibili. A ogni scossa si riversano sulla strada e, affidata l’anima a Dio, alla Madonna e ai Santi, si accalcano pericolosamente all’interno delle chiese, incuranti della tragedia che potrebbe provocare il crollo di strutture già danneggiate. A nulla valgono le raccomandazioni del prefetto, veicolate dal commissario per la gestione dell’emergenza Michele Fimmanò, dal prosindaco Luigi Bagnato e dal presidente della commissione per le cucine economiche, l’arciprete Rocco Cutrì.
Ancora un anno dopo il disastro, il maggiore del genio civile Angelo Chiarle, sulla scorta del parere espresso dal direttore dei lavori di ricostruzione, l’ingegnere Gaetano De Blasi, suggerisce al prefetto di mantenere l’ordine di chiusura delle chiese, perché forti scosse avrebbero potuto causare una “catastrofe mai vista”: “meglio affrontare impopolarità che accusa imprevidenza ed imprudenza”, la saggia conclusione del graduato.
Tensione, suggestione e ignoranza sono gli ingredienti perfetti per sfornare la bufala dell’anno. Che puntualmente arriva, per quanto inconsapevolmente, all’inizio del 1895. Il 24 gennaio tale Greco, da Sant’Eufemia, telegrafa al prefetto: “Contadini, reduci monti, esterrefatti riferiscono apertura cratere Montalto eruttante colonna fumo rosseggiante. Procederemo ispezione, riferirovvi. Avvisate Comitato”.
Il giorno dopo lo stesso Michele Fimmanò, non un cafone analfabeta bensì il colto borghese con tanto di laurea conseguita presso il prestigioso ateneo partenopeo, prende in considerazione l’ipotesi assurda che l’Aspromonte nascondesse nel proprio ventre un vulcano: “Seppi stamane via Delianuova che tre contadini colà arrivati narravano delle cime di monti prospettanti Montalto aver osservato che dalla sommità di esso monte veniva fuori un enorme colonna fumo rosseggiante simile ad un pino piegantesi a terra col vento, e che poi si raddrizzava. I tre contadini tornavano Delianuova esterrefatti. Non le ho telegrafato perché fenomeno fumo simile ad un pino, forma osservata Plinio anno 79 Cristo, Vesuvio, mi ha sorpreso ed ho disposto esplorazione domani facendola intesa risultati”.
Una voce incontrollata che innesca un tam-tam inarrestabile. Il rischio di una nuova Pompei tutt’altro che remoto. Esploratori vengono mandati a Montalto, ma la quantità di neve caduta è tale da rendere impraticabile un sopralluogo.
I fenomeni di psicosi collettiva svaniscono però con la stessa rapidità con la quale si manifestano. E così noi non sapremo mai cosa fosse il “rombo enorme mugghiante accompagnato vivo bagliore” annotato dai volontari inerpicatisi fino a Montalto, nel lontano gennaio del 1895.

*Articolo pubblicato su ZoomSud il 14 febbraio 2014: http://www.zoomsud.it/index.php/cultura/63898-quando-l-aspromonte-divento-un-vulcano.html

venerdì 7 febbraio 2014

A cento anni dalla Grande Guerra: un'idea... se siete d'accordo

Ho assistito ieri pomeriggio alla conferenza “Il dovere della memoria. Fonti per la storia della Grande Guerra”, organizzata dall’Archivio di Stato di Reggio Calabria, che segna l’avvio di una serie di attività didattiche e formative promosse dalla Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale e dal Sed (Centro per i servizi educativi del museo e del territorio) – Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
Obiettivo del progetto è la scoperta e la valorizzazione di materiale di interesse storico (documenti, reperti, testimonianze sugli aspetti culturali, sociali, economici della prima guerra mondiale), utile per aggiungere tasselli di conoscenza alla “inutile strage”, secondo la celebre definizione di Benedetto XV.
All’esaustiva presentazione del progetto da parte del direttore dell’archivio, Mirella Marra, è seguito l’intervento di Giovanna Manganella, discendente del generale Aurelio Bondi, comandante del XVI Corpo d’Armata Artiglieria e Primo aiutante di Campo del Duca D’Aosta, che ha messo a disposizione dell’archivio e della collettività reperti di grande interesse: stampe, fotografie, frammenti di proiettili e bombe, il cannocchiale da campo e il bastone dell’avo, una mazza ferrata utilizzata dagli austriaci per finire i soldati italiani agonizzanti.
Subito dopo, lo storico reggino Agazio Trombetta ha espresso le sue prime considerazioni sullo studio del fondo documentario che qualche anno addietro i Vigili del Fuoco di Reggio Calabria versarono all’archivio di Stato. Alla fine della conferenza ho scambiato qualche impressione con la dottoressa Marra e con il professore Franco Arillotta, presente e a al solito molto garbato e prodigo di consigli.
Che dire? Un pensierino mi è sorto e anche l’idea di come procedere. Tornerò nei prossimi giorni per capire meglio come articolare uno studio su ciò che potrebbe essere interessante per Sant’Eufemia d’Aspromonte. Sarebbe però molto bello se chi è in possesso di materiale storico relativo alla prima guerra mondiale (testimonianze, documenti o reperti) lo mettesse a disposizione della collettività e, ovviamente, a disposizione anche dello studio che ho in testa.
Insomma, io l’ho detto…

martedì 4 febbraio 2014

Con Massimo il Pd cambia Canale

Alle primarie per l’elezione del segretario regionale del partito democratico, domenica 16 febbraio, voterò per Massimo Canale. Una decisione, va detto, non influenzata da logiche geografiche o di campanile. Voto Canale non perché dei quattro in lizza è l’unico candidato proveniente dalla provincia di Reggio Calabria. Se così fosse, una banale scelta di opportunità e non di merito, si ricadrebbe negli errori del passato, nel localismo e nel personalismo che hanno determinato quattro devastanti anni di commissariamento. La ragione fondamentale è un’altra ed è serissima, perché ha a che fare con il futuro del Pd in Calabria, con il progetto di una nuova visione del rapporto tra partito e società.
La candidatura di Canale archivia antichi steccati correntizi e di campanile, non soltanto perché sostenuta trasversalmente da renziani, cuperliani e civatiani. Ciò che la distingue dalle altre proposte è l’apertura a tutta un’area storicamente di sinistra ma non iscritta al Pd, spesso molto critica nei confronti dei democrats, che in Canale vede il riferimento alto e rappresentativo dei movimenti, dell’impegno civico, della contrapposizione frontale al “modello Reggio”. D’altro canto, Canale ha già ampiamente dimostrato di riuscire ad intercettare consensi fuori dal recinto partitico, come attesta quel 10% in più ottenuto rispetto alle liste che sostenevano la sua candidatura a sindaco contro Arena. Non un grigio burocrate di partito, bensì l’espressione più avanzata della lotta politica e culturale contro la gestione scopellitiana del potere, che nelle primarie “aperte” (alle quali, cioè, potranno partecipare anche i non iscritti al partito) può ritrovare una buona occasione per manifestarsi.
Canale rappresenta ciò che fino ad ora il Pd non è mai stato. L’entusiasmo e la spinta di una massiccia componente giovanile nascono proprio dall’aspettativa di un partito aperto a quanto di meglio offre il territorio. Nascono dalla sensazione di avere finalmente aperto le finestre delle segreterie per farvi entrare aria fresca. Nascono dalla promessa di un nuovo protagonismo agli amministratori locali, perché un partito che si ricorda di esistere solo quando c’è da racimolare qualche voto per questo o per quel candidato non ha ragione di esistere.
Infine, non va sottovalutato un aspetto solo apparentemente secondario. Il partito democratico calabrese, lacerato dai veti incrociati e dalle primarie fasulle del passato, umiliato dalla lotta fratricida per lo strapuntino personale a costo della mortificazione delle energie locali, per chiudere con quella stagione e rilanciarsi ha bisogno di un segretario a tempo pieno. Come Massimo Canale, che ha escluso una sua candidatura nei prossimi appuntamenti elettorali ed ha assicurato l’impegno esclusivo per la cura del rapporto con il territorio e l’ascolto delle sollecitazioni della base, nell’ottica di un partito che sia realmente cinghia di trasmissione tra società e istituzioni, periferie e centro.

Domenica 16 febbraio, dalle ore 8.00 alle ore 20.00, il circolo di Sant’Eufemia “Sandro Pertini” allestirà il seggio elettorale “Sant’Eufemia-Sinopoli-San Procopio” nella sala della biblioteca comunale, all’interno del palazzo municipale.