martedì 29 luglio 2014

Dieci anni senza Tiziano Terzani

In un celebre verso Attilio Bertolucci osserva che l’assenza è una presenza “più acuta”. Sorte toccata a Tiziano Terzani, scomparso da dieci anni ma vivo nel dibattito culturale e letterario, addirittura nel costume di una società in crisi e alla ricerca di una bussola o soltanto di parole lievi come una carezza. Se in vita Terzani fu “soltanto” un grandissimo inviato e scrittore, autore di reportage che oggi vengono studiati nelle scuole di giornalismo, con la morte – con l’esposizione “pubblica” della malattia e della morte – è diventato un poeta dell’esistenza (copyright del velista in solitaria Giovanni Soldini), profeta laico dell’urgenza di “pensare diversamente” la realtà, perché “il mondo non è più quello che conoscevamo” e “questa è l’occasione per reinventarci il futuro e non rifare il cammino che ci ha portato all’oggi e potrebbe domani portarci al nulla”. L’occasione per comprendere – dopo avere visto da vicino e raccontato il fallimento delle rivoluzioni in Vietnam (dove era stato tra i pochi testimoni della resa di Saigon e della fuga rovinosa degli americani all’arrivo dei vietcong, nel 1975), Cambogia, Unione Sovietica, Cina – che l’unica rivoluzione possibile è quella che conduce alla pace interiore: consapevolezza spinta fino all’accettazione serena della morte in Un altro giro di giostra, l’ultimo e più intenso viaggio (“nel male e nel bene del nostro tempo”) del giornalista fiorentino.
Il pellegrinaggio incessante lungo il “sentiero Terzani” per raggiungere l’albero “con gli occhi” nel bosco del suo ritiro all’Orsigna, sull’appennino tosco-emiliano, dove fece costruire una gompa tibetana e ricreò l’atmosfera dell’ashram indiano in cui aveva a lungo vissuto facendosi chiamare Anam, “il senza nome” (e da Anam sottoscrisse la volontà di essere cremato: “un nome appropriatissimo per concludere una vita tutta spesa a cercare di farmene uno”); i numerosi e attivi gruppi di lettura che leggono e dibattono i suoi libri; l’ospedale di Emergency a Lashkar-gah in Afghanistan e le scuole “Tiziano Terzani” sono espressione di un fenomeno sociale, del bisogno di esempi di bellezza, purezza, umanità. Anche quando si ha a che fare con il fondamentalismo islamico, perché i terroristi si sconfiggono eliminando le ragioni che portano migliaia di persone a imbracciare le armi o a farsi saltare in aria, non rispondendo al sangue con altro sangue. Le Lettere contro la guerra rappresentano il punto più alto del suo impegno civile all’indomani dell’11 settembre, quando decide di “scendere in pianura”, tornare cioè nel mondo dopo la scelta del prepensionamento da Der Spiegel, stanco della professione, convinto di avere detto tutto ciò che aveva da dire sul giornalismo, ritirato sull’Himalaya senza l’assillo di scadenze che non fossero quelle della natura e delle stagioni. Nel momento storico dominato dal “siamo tutti americani” lanciato dal direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli e dal livore di Oriana Fallaci, che in La rabbia e l’orgoglio mette sul banco degli imputati la “viltà” di un’Europa prona e diventata “Eurabia”, Terzani torna per indicare nella non-violenza la sola strada percorribile per spezzare la spirale dell’odio.
La lapide che lo ricorda nel cimitero di Orsigna ne riassume la vita con la parola “viaggiatore”, mentre la moglie Angela Staude ricorre al tedesco Sehnsucht (“brama di vedere”) per definire il fascino che gli suscitavano paesaggi e culture lontani non solo geograficamente dall’orizzonte occidentale e per racchiudere la dimensione più autentica di Terzani, quella del “viandante alla ricerca della conoscenza”: “la meta, per Tiziano, è stata la strada, il cammino”.

*Articolo pubblicato su Segnali di cultura a cura di Adexo Ufficio Stampa, 28 luglio 2014

domenica 20 luglio 2014

Otto

Scoprì molto tempo dopo che l’otto è il simbolo dell’infinito. E che pertanto avevo fatto bene a eleggerlo mio numero preferito in quel lontano autunno di grembiulini azzurri in fila per due e mani sudate e saldate, le orecchie puntate al suono della campanella. Preferito, non fortunato. Ché la fortuna bisogna cercarla da soli, non come i numeri che ti trovano – loro – ovunque.
Le bretelle della cartella ancorate alle spalle, mi lanciai scivolando a gambe aperte dalla larga ringhiera delle scale color ocra, saltai a terra e scattai verso casa. Correvo e contavo, contavo e correvo: uno, due, fino a otto. Poi ricominciavo, tenendo strette tra le dita le divise variopinte dei calciatori fotografati a figura intera, da attaccare a un album che non avevo. Rischiai più volte di inciampare, di sbattere, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo dai capelli rossi di Odoacre Chierico, che Aldo mi aveva “regalato” durante la ricreazione: ne aveva un mazzo di figurine, anche quella introvabile di Luciano Bodini.
- Prendila, così potrai giocare anche tu con noi.
Imparai in un lampo la liturgia della disposizione “a tetto” delle figurine da capottare assestando al pavimento uno schiaffo violento: alla fine, Chierico si ritrovò in compagnia di altri sette giocatori, le mie sette conquiste. Per la prima volta nella mia vita fui orgoglioso di me, per quella vittoria guadagnata colpo dopo colpo che mi aveva lasciato sul palmo della mano un livido doloroso.
Quel giorno Aldo diventò il mio migliore amico. Uno accanto all’altro, gambe incrociate per terra e pollici alzati “alla Fonzie” nelle foto di classe, o abbracciati e accovacciati dietro al pallone di cuoio in polverosi e cocenti campi di calcio. Più avanti, con l’espressione di chi sa il fatto suo, un piede contro l’albero e la prima sigaretta in bocca, ingellati e preparati per la caccia al ritmo felpato dei lenti ballati su terrazze disadorne.
Nessuno avrebbe potuto farci del male e se anche qualcuno avesse voluto tentare avremmo saputo difenderci. Sarebbe bastato tirare fuori dalla tasca il coltello che entrambi avevamo acquistato, identico: il suo già tinto del rosso sgorgato dagli indici incisi e fatti baciare per conferire all’amicizia il sacro sigillo del sangue. Quello stesso coltello che anni dopo placò la sua folle sete nella pancia di un ragazzo che non aveva distolto lo sguardo da Aldo all’entrata di una discoteca.
- Che cazzo hai da guardare?
La notte in cui Aldo uccise eravamo già due sconosciuti, la mia lama seppellita da anni ai piedi di un castagno. Ci separavano una lingua di mare e il ricordo annebbiato di una vita lontana dall’impegno di aule, libri e discussioni a stordire la notte tra un bicchiere e un tiro. Avevo da tempo imparato a non scagliare il pacchetto vuoto dal finestrino dell’automobile in corsa, a condividere sui cartoni birra e Lucky Strike, a pennellare il mondo con i colori dell’utopia fottendomene se resistevano il tempo di un corteo. A camminare piano e armato – questa volta sì – di una curiosità feroce, gli occhi come carta assorbente stesa sul mondo.
Anche se nel volto cupo di Aldo rilanciato dalle prime pagine dei giornali intravedevo i miei lineamenti, riflessi nello specchio oscuro delle possibilità.

giovedì 10 luglio 2014

EstatEufemiese 2014

I nomi degli “animatori” dell’estate eufemiese sono una garanzia, perché si tratta di gente che fa questo da decenni e perché l’ha fatto sempre bene. Insomma, ci si può fidare e prepararsi ad affrontare i prossimi due mesi con un occhio attento alle date del calendario delle manifestazioni di EstatEufemiese 2014. Nel presentare il programma allestito in collaborazione con associazioni e comitati, il profilo facebook Sant’Eufemia d’Aspromonte official site informa sul sostegno economico concesso dall’amministrazione comunale a coloro che da sempre si impegnano “per fare di Sant’Eufemia una cittadina più vivibile e dinamica”. Un atto dovuto ma importante, anche quando si tratta di un contributo poco più che simbolico; un riconoscimento ai tanti giovani e meno giovani che “donano” alla comunità il proprio tempo, la propria passione, le proprie competenze (anche il proprio denaro) per realizzare occasioni di crescita o semplici momenti di svago.
Il programma è molto vario, l’occhio dei promotori sempre attento alla valorizzazione del territorio, in tutte le sue componenti. Confermata la tradizione degli appuntamenti religiosi, con i festeggiamenti in onore di Maria SS. del Carmelo (19-20 luglio), i SS. Cosma e Damiano (2-3 agosto), Sant’Eufemia V.M. (15-16 settembre), i quali coinvolgono i tre rioni del paese (Pezzagrande, Vecchio Abitato, Petto) e ai quali va aggiunta la “Festa delle contrade” in piazza Cersa (contrada Badia, 14 agosto).
Non poteva ovviamente mancare lo sport, con l’organizzazione di due tornei di calcio a 5, a cura dell’Oratorio parrocchiale Don Bosco: quello “adulti” si è appena concluso, quello per bambini si svolgerà sui campetti del circolo polisportivo La Madonnina dal 28 luglio al 10 agosto. Ancora, il saggio di danza dell’Associazione sportiva Olympus (anch’esso già svolto); il torneo di scacchi all’aperto “semi-lampo” (13 agosto), a cura dell’Associazione scacchistica Zatrikion; il raduno “Tuning” (24 agosto), a cura del club “The new generation of the tuning”.
Diversi gli appuntamenti dedicati alla storia, alla cultura, alla tradizione e alla promozione del territorio. Il défilé di moda a cura dell’Associazione sarti e stilisti calabresi (26 luglio), con protagonisti le migliori botteghe sartoriali regionali; l’ormai storica sagra della patata, a cura dell’Associazione turistica Pro-Loco (8 agosto); la presentazione del libro di Giuseppe Pentimalli “Storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte” (7 agosto); la tradizionale escursione naturalistica nel Parco nazionale dell’Aspromonte a cura dell’Associazione Terzo Millennio (9 agosto); le celebrazioni per il 152° anniversario del ferimento di Garibaldi in Aspromonte, a cura dell’amministrazione in collaborazione con Pro-Loco, Associazione Acanto, Associazione Garibaldini d’Italia.
Ben quattro le manifestazioni teatrali: “La giara”, a cura della IVb dell’Istituto comprensivo “Don Bosco” (6 agosto); una rappresentazione in vernacolo a cura del gruppo “Insieme per crescere” (10 agosto); il doppio appuntamento a cura del Terzo Millennio: il musical “Forza venite gente” (12 agosto) e una rappresentazione in vernacolo, in occasione della tradizionale “Festa dell’emigrante” (17 agosto).
Occasioni di svago, appuntamenti per soddisfare i più svariati interessi culturali, ma anche attenzione per le fasce più deboli della popolazione con la “Giornata della solidarietà” curata dall’Avis (27 luglio) e con l’impegno dei volontari dell’Associazione di volontariato cristiano Agape nell’organizzazione della consolidata “Colonia estiva” in favore di soggetti diversamente abili (1-6 settembre).
Infine, gli eventi dedicati dall’amministrazione comunale ai più piccini: i quattro appuntamenti di “Bimbi Estate in Piazza” (piazza Matteotti: 30 luglio, 4, 11 e 22 agosto) e l’organizzazione dei “Giochi della Gioventù”, in collaborazione con Agape, Avis e i giovani della parrocchia.

lunedì 7 luglio 2014

Il compagno

L’immagine è il manifesto “Vota Comunista”, il primo a comparire sui muri di Sant’Eufemia a ogni campagna elettorale. Uno l’attaccava sulla parete esterna del deposito attrezzi del terreno agricolo di contrada San Luca, che ha coltivato fino a qualche settimana fa nonostante i suoi 86 anni.
Le parole, invece, sono quelle apodittiche di mio nonno Mico “Marco” Pentimalli – che teneva sul comodino i santini di Stalin e Togliatti – all’indirizzo di mio padre, candidato negli anni Ottanta alle elezioni comunali per la lista del Partito socialista: “Non posso votarti, lo sai che sono comunista: voto la lista del Pci, per Vincenzo ’u brigghiu”. Mio nonno, un passato da carbonaio analfabeta spedito dal Duce a difendere la “Quarta sponda” in Libia, al ritorno dalla prigionia inglese non poteva che iscriversi al partito comunista: quando l’appartenenza era una fede e l’ultimo dei militanti si sentiva protagonista di un grande sogno di libertà e riscatto sociale. La fotografia riprodotta in uno dei pannelli dedicati alla storia di Sant’Eufemia, all’interno del Palazzo municipale, li ritrae uno accanto all’altro, insieme ai compagni eufemiesi scesi in piazza per protestare: il segretario della Camera del Lavoro Vincenzo Gentiluomo e mio nonno magro dentro al cappotto, barritta calata in testa, mentre tiene in alto il cartello della Cgil. Quando mi hanno riferito che ’u brigghiu era in rianimazione, in condizioni gravissime, sono rimasto senza parole. Avremmo dovuto cenare insieme qualche giorno prima, un incontro di preparazione per l’apertura della nuova sede del Partito democratico, al quale aveva aderito con entusiasmo, ma all’ultimo minuto aveva dato forfait. Nessuno poteva però sospettare un epilogo così drammatico.
Mi rimane il conforto di un rapporto che eravamo riusciti a ricucire due anni fa dopo uno strappo dolorosissimo, un silenzio che aveva fatto soffrire entrambi per troppo tempo. La mia prima vera campagna elettorale furono le Provinciali nel 1994: Umberto Pirilli per il Polo della Libertà, Demetrio Scordino per Pds e Partito popolare, Pasquale Amato per Rifondazione comunista e Movimento meridionale. Gentiluomo era candidato nella lista di Rifondazione, ma non fu eletto. Votai per lui e quando venne a Sant’Eufemia Amato, all’epoca mio professore all’università, fui con loro nell’incontro che tennero con gli elettori, pur non essendo io un militante del partito. Degli anni a seguire ricordo la stima reciproca e le piacevoli chiacchierate sulla politica locale e nazionale, il tentativo fallito di una mia candidatura in quota Rifondazione alle elezioni comunali del 1997 e la violentissima rottura nelle successive del 2002. Capita spesso, nei piccoli comuni, di assistere alla fine tristissima di amicizie che durano da una vita. Soprattutto quando chi non ha un interesse politico diretto si schiera e non rimane nel limbo dei pavidi, del “chi te la fa fare di esporti pubblicamente?”.
All’epoca ero corrispondente per il Quotidiano della Calabria e scrissi un articolo sulla “strana alleanza” tra comunisti e Forza Italia all’interno di una lista civica, che provocò l’intervento della Federazione provinciale di Rifondazione e mi procurò, in un comizio, l’attacco del candidato comunista. Gentiluomo si sentì da me tradito, io invece non gli perdonai un’accusa infamante: l’avere cioè firmato un articolo scritto dal candidato a sindaco della lista avversaria. L’offesa più grave che si possa rivolgere a un giornalista.
Ci risalutammo a dieci anni da quei fatti, quando lo avvicinai per chiedergli come stesse dopo un gravissimo problema di salute che gli era costato diversi mesi d’ospedale.
La costituzione del circolo del Partito democratico, nove mesi fa, aveva risvegliato in lui il fuoco antico della militanza. Era venuto al seggio per le primarie nazionali e regionali, quindi aveva fatto campagna elettorale per le elezioni Europee con tanto di facsimili in tasca, da distribuire in quel porta a porta del quale era maestro.
Il mio pensiero va ora alla sua espressione felice per il brillante risultato ottenuto dal Pd e all’esortazione ad aprire una sede, un “luogo” della politica che considerava indispensabile e che aveva promesso di abbellire con i manifesti della “sua” Camera del Lavoro.