venerdì 29 aprile 2016

Diagonale imparabile all’ultimo chilometro

L’epica sportiva sublima la dimensione umana. L’atleta raggiunge il rango delle divinità, prende posto tra i convitati del banchetto olimpico e si inebria di ambrosia. Diventa un dio in terra. Lo sport è poesia perché è fatica e sudore, superamento dei propri limiti, ascesa. È poesia perché è metafora della vita e una vita senza poesia è vita a metà.
I dieci racconti di Diagonale imparabile all’ultimo chilometro (Laruffa, 2010), che fonde nel titolo la magia dei due sport protagonisti del libro scritto dal giornalista del Tg2 Enzo Romeo, non sono soltanto nostalgia del tempo andato, degli anni in cui il business stava ancora fuori dalla porta degli spogliatoi o delle camere d’albergo. La nostalgia è presente e fa anche parte della biografia dell’autore, figlio del presidente della Reggina nel 1946 e ciclista amatoriale a Siderno negli anni Settanta: “Trigòni era il nostro Tourmalet, il nostro Stelvio”. Ma la nostalgia non è l’unica chiave di lettura del bel libro di Romeo. C’è dell’altro.
Ci sono i sogni di una generazione che si è identificata nelle prodezze leggendarie dei miti dello sport, che ha lottato per riscattarsi sul piano sociale con la stessa tenacia degli eroi che correvano dietro a un pallone o si alzavano sui pedali, pronti per lo scatto finale. Con la testardaggine di Fiorenzo Magni, che corre la metà delle tappe del Giro d’Italia con la clavicola e con l’omero fratturati, stringendo tra i denti un tubolare legato al manubrio della bicicletta.
C’è il riscatto “chiamato football club” del MYSA (Mathare Youth Sports Association), avventura iniziata nel 1987 in una baraccopoli di Nairobi e arrivata alla candidatura del Nobel per la Pace, grazie a un sistema formativo basato su tutta una serie di attività sportive, ma anche culturali e artistiche, ricreative e sociali, diventato un modello oggi imitato in molti Paesi.
Pagine di poesie vere, come le Cinque poesie per il gioco del calcio di Umberto Saba. Pagine di cronaca sportiva che sono esse stesse poesia perché vergate da Alfonso Gatto, poeta al seguito del Giro d’Italia per «l’Unità» il cui linguaggio iperbolico ha fatto scuola.
Vittorie e cadute, nello sport come nella vita. La storia di Erminio Bercarich, profugo fiumano approdato a Reggio Calabria nel 1946, che esordisce contro il Lentini indossando uno dei maglioni bianchi di lana offerti dalla tifoseria. Capocannoniere assoluto nella storia della Reggina con 75 reti, appese le scarpette al chiodo sparì, dimenticato da tutti. L’attimo di gloria vissuto da Angelo Mammì, autore del tuffo nel fango che, nel 1972, valse la storica vittoria del Catanzaro sulla Juventus, raccontata da Enrico Ameri e dal tifoso entrato nella sua cabina gridando a squarciagola: «Gol!». Joachim Rafael da Fonseca, ala destra nello Sporting Lisbona vincitore negli anni Sessanta di due campionati, una Coppa del Portogallo e una Coppa delle Coppe, che si ritira dal mondo e diventa Fra Paolo, monaco di clausura nella Certosa di Serra San Bruno, dedito al silenzio e alla preghiera.
Storie note e meno note, avvolte dal fascino della leggenda e dal mistero dell’esistenza umana. Racconti di sport e di vita, per chi ama lo sport e la vita.

giovedì 21 aprile 2016

Con l'Agape al Giubileo degli ammalati e delle persone disabili


In occasione del “Giubileo degli ammalati e delle persone disabili”, l’Associazione di volontariato cristiano “Agape” di Sant’Eufemia d’Aspromonte organizza un pellegrinaggio a Roma nei giorni 11 e 12 giugno 2016 (due giorni e una notte).
I partecipanti si ritroveranno in Piazza Municipio, sabato 11 giugno alle ore 6.00: sistemazione dei bagagli e partenza in pullman Gran Turismo per Roma. Sosta lungo il percorso per consumare il pranzo al sacco, a carico dei partecipanti. All’arrivo nella capitale, previsto per le ore 15.00, sistemazione dei volontari, degli assistiti e dei partecipanti nelle camere della Casa Religiosa di Ospitalità “San Giuseppe”, in via Egidio Albornoz, n. 40 (zona San Pietro).
Pellegrinaggio verso la Porta Santa e, a partire dalle ore 18.00, possibilità della visita di alcuni stand nei Giardini di Castel Sant’Angelo (facoltativo) e Festa di benvenuto “Oltre il limite”. Subito dopo, trasferimento nella Casa “San Giuseppe” per cena e pernottamento.
Domenica 12 giugno, dopo la prima colazione presso l’Istituto, appuntamento alle 8.30 in Piazza San Pietro con i canti e le testimonianze (“Quando sono debole sono forte”) in preparazione della Santa Messa con il Santo Padre alle ore 10.00.
Dopo il pranzo presso il ristorante da “Fabio” (via di Porta Cavalleggeri, n. 145), sistemazione nel pullman e partenza per il rientro a Sant’Eufemia.
La quota individuale di partecipazione è di € 125,00 (per un minimo di 50 partecipanti) e comprende: viaggio in bus Gran Turismo; sistemazione presso la Casa Religiosa di Ospitalità “San Giuseppe”; cena giorno 11; colazione e pranzo giorno 12; tassa di soggiorno.

*Acconto richiesto all’atto della prenotazione: € 40,00 da versare entro e non oltre il 30 aprile.
**Per info e prenotazioni contattare il responsabile Peppe Napoli, al numero: 3339284284

domenica 17 aprile 2016

Due parole sul referendum



Nessuna sorpresa, né delusione: raggiungere il quorum era difficile e lo si sapeva. Ho votato, come il 32% circa degli elettori, e ho votato SÌ perché credo e spero che il futuro della politica energetica dellItalia sia nelle rinnovabili.
Rispetto lopinione di chi invece ritiene ancora prematuro o comunque non opportuno affrancarsi completamente dallutilizzo dei fossili e, coerentemente, ha votato NO.
Rispetto anche chi non è andato a votare perché è stanco di questa politica e ne ha le scatole piene; così come rispetto quelli che sono rimasti a casa perché dellavviso che tocchi alla classe dirigente di questo nostro Paese affrontare con competenza e responsabilità una materia così complessa. Comprendo le loro ragioni, che sono fondate.
Rispetto di meno chi invece ha deciso di disertare le urne esclusivamente per fare saltare il quorum, al termine di un "calcolo" politico che niente doveva avere a che fare con il contenuto del quesito referendario. Non si votava pro o contro Renzi e, per quanto mi riguarda, sono allergico ai plebisciti. Il trucchetto di unire il proprio NO con la percentuale (ahinoi sempre crescente) di astensionismo fisiologico che si registra ad ogni elezione è unazione da "furbetti del quartierino" poco dignitosa, come tutte le "furbate".
Rispetto meno ancora i dirigenti del Partito Democratico travestiti da ultras che si sono lasciati andare a battute da bar dello sport, con espressioni offensive nei confronti di chi non ha fatto altro che esercitare un diritto costituzionalmente riconosciuto, nonché una conquista di libertà ereditata dai nostri padri e nonni.
Non si scrive mai una bella pagina di democrazia quando così poca gente va a votare. Comunque la si pensi.

giovedì 14 aprile 2016

Dieci anni fa

Dieci anni a guardarli da qua sono un soffio. Una lunga apnea, un respiro trattenuto e poi rilasciato: ed è già oggi. Oggi una telefonata che non ti aspetti. Oggi le voci di dentro che mettono ordine nel caos di incredulità, dolore e fretta: «molla tutto e parti». Oggi un viaggio in macchina senza soste, all’arrivo gli occhi cisposi per quei 1600 chilometri percorsi d’un fiato, in trance, muti. Oggi i ricordi affastellati che assumono una coerenza luminosa. Che parlano di vita, non di morte. Di quella vita che nelle case del Sud è saga familiare, ovunque ci sia stato qualcuno che abbia voluto riscattare la storia dei propri cari.
Raccontano i sogni di chi ha scelto la rivoluzione andando via, nella valigia la speranza di un futuro migliore, per sé e per i propri figli. Storia di partenze e di incontri, storia di destini puntuali all’appuntamento della vita, quello che soltanto conta. Storia che ha i riccioli biondi di una figlia di Francia diventata più italiana degli italiani. Riccioli biondi e capelli lisci neri sulla testa dei figli e poi dei nipoti, il profumo dell’amore che non conosce confini, meticcio e sublime.
Resta il rimpianto per le tante cose che ancora andavano fatte e per le parole non dette, certo. I crateri che l’assenza (“più acuta presenza”) scava nell’anima, a distanza di anni. Le domande rimaste senza risposta sul perché della vita e della morte.
Domande di ieri, domande di oggi, in un presente eterno fatto di vuoti da riempire con il ricordo, con la felicità dei ricordi.
La festa del ritorno in una casa piccola, se non fosse stato per quella storia di partenze. Se non fosse stato per le onde infinite dell’oceano sfumate sulla battigia di un continente lontano, una distanza che trasforma l’abbraccio in un nodo indissolubile: «quello che è mio è tuo».
Il mare di ogni estate a Favazzina, gli occhi felici e il sale sulla pelle. Spruzzi e tuffi, gol e parate. Quanto mare abbiamo visto insieme? Dov’è finito, oggi, tutto quel mare?
Vuoti da colmare con una carezza ai fiori che la primavera fa sbocciare nel giardino eletto a buen retiro, ascoltando le canzoni che già canticchiarono giovani in chiodo sulle motorette, sorridendo per l’equilibrio precario di fotografie spericolate. Vecchi miti vissuti con la leggerezza di chi sa che tutto è possibile, nella stagione in cui tutto ancora era possibile.
 

domenica 10 aprile 2016

L'intervista a Pont'i Carta

Qualche giorno fa sono stato contattato da Francesco Martino, che da un anno gestisce insieme a un gruppo di ragazzi di Sant’Eufemia d’Aspromonte il blog Pont’i Carta: abbiamo fatto una chiacchierata sui temi scottanti del momento, toccando questioni nazionali ma anche locali. Pubblico di seguito il contenuto dell’intervista, consultabile nella sua versione originale cliccando sul link: https://ponticarta.wordpress.com/2016/04/09/a-colloquio-con-domenico-forgione/

Nei giorni scorsi abbiamo incontrato Domenico Forgione, segretario del circolo PD “Sandro Pertini” del nostro Paese. Domenico è un grandissimo studioso della storia di Sant’Eufemia, oltre che dottore di ricerca in Storia dell’Europa mediterranea, giornalista pubblicista, scrittore e autore di numerosi libri sulla storia eufemiese e non solo. E’ proprio per questo, insieme al suo impegno politico che lo vede protagonista nel PD cittadino, che ci ha spinto ad incontrarlo e a porgli delle questioni. In maniera particolare, la nostra breve intervista si è soffermata su un tema che abbiamo deciso di affrontare con decisione anche nei prossimi giorni. Si tratta del referendum del prossimo 17 Aprile, evento che come spesso accade rischia di passare sottobanco, ma sul quale cercheremo di sensibilizzare il più possibile. Dunque, affronteremo anche nei prossimi giorni la “questione referendum” in diversi articoli. Intanto, vi lascio alla nostra conversazione con Domenico, auspicando che da essa si possano trarre già molti elementi di riflessione e di analisi sia sul referendum in se’, sia soprattutto sul nostro modo di porci con il contesto che viviamo, possa essere esso lavorativo, sociale o ambientale. Buona lettura.

1) Partiamo subito entrando nel vivo della questione che vogliamo affrontare. Che idea si è fatto del referendum del prossimo 17 Aprile?
Sono dell’avviso che bisogna sempre andare a votare, si tratti di referendum o di elezioni, anche per rispetto di chi ha lottato contro la dittatura fascista e ha pagato con la prigione e con la vita per la conquista di un diritto che oggi ci consente di essere un popolo libero. Non condivido la posizione di chi invita all’astensione. Ricorda il celebre invito rivolto agli elettori da Bettino Craxi nel 1991 (“andate al mare”) in occasione del referendum sulla preferenza unica, che segnò l’inizio della fine della Prima Repubblica. Credo però, anche, che lo strumento referendario sia talmente importante per il funzionamento della nostra democrazia che andrebbe utilizzato con maggiore parsimonia e preferibilmente per questioni di carattere generale, non tecniche, che rischiano di presentarsi come materia ostica per chi non sia un esperto del settore. Il referendum “sulle trivelle” ha assunto un valore che va oltre gli effetti che produrrà: sia che a vincere siano i Sì, sia se dovessero prevalere i No o, addirittura, anche nel caso di non raggiungimento del quorum. Questo perché, grazie all’intesa raggiunta tra governo centrale e Regioni, nessuna compagnia potrà mai più, in ogni caso, trivellare il mare entro le 12 miglia marine. Tuttavia, il referendum pone una fondamentale questione di principio riguardo la politica energetica nazionale, che personalmente gradirei sempre più “verde” e rispettosa della natura. Da qui il mio Sì, convinto: in favore dello sviluppo delle energie alternative, per la salvaguardia dell’ecosistema marino e, per dirla con le parole di Roberto Speranza, per la promozione di un modello di sviluppo ecosostenibile nel nostro Paese.
2) All’interno del Partito Democratico sono tantissime e molto diverse le posizioni riguardo al referendum. Bersani si è espresso favorevolmente al voto senza però sbilanciarsi verso una preferenza. Guerini e la Serracchiani hanno sposato la linea renziana dell’astensione, mentre Prodi ha chiaramente fatto intendere di essere sulla linea del NO. Infine Speranza ed Emiliano, molto critici con la linea di Renzi e favorevoli al SI. Visto che il referendum è stato proposto da nove regioni, di cui sette governate proprio dal Pd, non crede che ci sia stata un po’ troppa confusione? E il Pd eufemiese, quale linea ha deciso di sposare? Ci saranno delle vostre indicazioni? 
Concordo sulla confusione, che però è anche conseguenza del carattere pluralista del Partito Democratico. Una ricchezza (la presenza al suo interno di diverse sensibilità) che diventa un handicap quando non si riesce a trovare un punto di sintesi. L’errore più grave, per il partito, sarebbe però fare di ogni appuntamento elettorale una sorta di regolamento di conti, un prova muscolare che produce soltanto disaffezione e alimenta l’antipolitica. Lo sforzo di tutti dovrebbe invece essere rivolto a far convivere le posizioni di tutti, senza il ricorso ai diktat della maggioranza: penso, ad esempio, alle troppe volte che su un provvedimento legislativo viene posta la fiducia. E senza, d’altro canto, che la minoranza del partito minacci di fuoruscire dal partito ogni volta che “va sotto”. La democrazia funziona così e, alla fine, in politica contano i numeri: chi ce li ha, porta avanti la sua visione di società, all’interno di una cornice di valori intangibili che i padri costituenti hanno scolpito, in particolare, nella Prima parte della costituzione repubblicana. Per l’insieme di queste ragioni, non credo sia utile alcuna “crociata”. Personalmente andrò a votare Sì, però ritengo opportuno lasciare libertà di voto agli iscritti del circolo di Sant’Eufemia.
3) Noi di Pont’i carta, come blog nato proprio dalla necessità di sensibilizzare su temi che molte volte non sono conosciuti o che vengono troppo facilmente liquidati, abbiamo interesse a mettere in luce non solo ciò che potrebbe interessare il nostro paese, ma anche più largamente il nostro territorio, la nostra Regione e anche tematiche nazionali come il referendum. A tal proposito abbiamo scelto il referendum come argomento proprio col chiaro intento di sensibilizzare sul rapporto uomo e natura, oltre che su dei modelli economici di sviluppo nuovi e sostenibili. Alla luce di ciò, cosa pensa degli accertamenti che la magistratura sta effettuando sullo sversamento illecito di rifiuti speciali a Gioia Tauro, sempre nell’ambito dello scandalo “Trivellopoli” scoppiato in Basilicata? Quanto questa inchiesta potrà incidere sull’andamento del referendum? 
Sin dall’esordio, ho salutato con favore la nascita del vostro blog, perché credo che ogni luogo di discussione sia (meglio: debba essere) occasione di crescita per la realtà in cui si vive. Vale sia nel caso in cui l’agorà sia reale, sia quando il confronto è virtuale, come nel caso del vostro blog o dei social network. Mi ha fatto pertanto molto piacere il vostro invito a rilasciare questa intervista e vi esorto a continuare su questa strada, quella dell’impegno costruttivo, della ricerca del dialogo e dell’elaborazione di proposte utili per la crescita sociale e culturale di Sant’Eufemia. Per rispondere al merito della domanda, mi auguro che l’inchiesta in Basilicata produca “anche” l’effetto di sensibilizzare maggiormente i cittadini sui contenuti del referendum. Ad ogni modo, ritengo che il lavoro della magistratura finalizzato all’accertamento di eventuali irregolarità nel trattamento di rifiuti speciali nell’impianto di Gioia Tauro non solo è giusto, ma siamo noi cittadini a doverlo pretendere con forza. Sulla salute delle persone non si scherza e se qualcuno ha commesso un reato, attaccando un falso codice identificativo su 26 mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi, deve pagare.
4) Recentemente, in un incontro avvenuto nel nostro comune, cui ha partecipato anche il presidente dell’associazione “Ferrovie in Calabria” Roberto Galati, si è nuovamente discusso della situazione del nostro ponte di ferro della vecchia stazione. Cosa pensa della situazione del nostro ponte? Crede che possa divenire in futuro il simbolo di quel nuovo sviluppo economico sostenibile di cui parlavamo prima? Oppure è destinato solamente ad una funzione simbolica di “memoria collettiva” da conservare?
Nella battaglia per scongiurare la demolizione del ponte della ferrovia il PD di Sant’Eufemia si è speso molto, promuovendo una sottoscrizione che ha raccolto poco meno di 1.100 firme. Lo ha fatto grazie alla collaborazione dei cittadini, delle associazioni e delle istituzioni, in un momento di grande unità che ha fatto onore a tutti i protagonisti di quella lotta. Il primo passo, salvare il ponte, è stato fatto. Bisogna ora attivarsi per ottenere altri due importanti risultati: 1) mettere in sicurezza tutta l’area su cui il ponte insiste, che è interessata da una situazione di gravissimo dissesto idrogeologico; 2) recuperare e ridare “vita” al ponte stesso. In proposito, le soluzioni possibili sono diverse: dal ripristino della vecchia linea taurense San Procopio/Sinopoli – Gioia Tauro per il trasporto locale o in funzione turistica, alla realizzazione sul vecchio tracciato di una pista ciclabile e di un percorso naturalistico, sul modello della politica di recupero delle linee ferroviarie dismesse attuata in molte regioni d’Italia: soluzione, quest’ultima, che personalmente preferisco, in funzione della valorizzazione delle bellezze e dei prodotti dei territori che la ferrovia attraversa.
5) A proposito di futuro, come ultima domanda, vorremmo andare un po’ fuori tema. In quanto segretario del circolo del Pd “Sandro Pertini”, e in quanto studioso e profondo conoscitore della storia di Sant’Eufemia, cosa pensa che riservi il futuro al nostro paese? E, secondo lei, cosa serve seriamente al nostro paese per costruire un avvenire migliore? In tal senso, il circolo, che obiettivi si pone?
“Il futuro è un’ipotesi”, cantava Enrico Ruggeri quasi trent’anni fa. Quindi non so, con certezza, cosa esso ci riserverà. Vedo, come tanti altri, i segni di un declino preoccupante: il lavoro che manca, l’isolamento anche fisico che il nostro paese ha subito con la soppressione dello svincolo autostradale, i troppi giovani costretti ad emigrare, che portano altrove le proprie competenze e vanno ad arricchire il tessuto sociale delle realtà che li accolgono e dove riescono ad affermarsi. Mentre qua la meritocrazia latita e i diritti vengono spesso cambiati per generose concessioni del potente di turno, del compare o di chi sfrutta il bisogno altrui per fare carriera. Sant’Eufemia ha la fortuna di avere al suo interno le “armi” per costruirsi un futuro migliore: realtà associative vivaci e molto attive sul territorio, professionalità riconosciute e un tessuto economico con straordinarie potenzialità, a cominciare dal settore agricolo e da quello dell’allevamento del bestiame. Si tratta di riuscire a capitalizzare questo vasto patrimonio, mettendo da parte l’egoismo dei singoli e pensando, finalmente, al bene comune. La politica non può considerarsi fuori da questo processo: è anzi chiamata a svolgere un compito di guida, in una prospettiva di sintesi delle soluzioni migliori proposte dalle esperienze amministrative maturate negli ultimi decenni. Un paese con poco più di 4.000 abitanti ha bisogno di una prospettiva il più unitaria possibile, che valorizzi al meglio il capitale umano di cui dispone.

martedì 5 aprile 2016

Noi che tiravamo pallonate

Campi che non finivano mai, larghi fino al confine della strada, lunghi fino alla sipala intricata di spine, dove riprendere il pallone che vi si era cacciato dentro diventava impresa da genio guastatore. Da pagare al prezzo dei pezzetti di stoffa strappati e impigliati tra i rovi, delle grancinate e delle ’rdicate che sembravano appiccare il fuoco alla pelle.
Era il calcetto pionieristico giocato nelle piazze e nelle strade, nelle periferie abbandonate, ovunque si potessero piazzare a terra due bottiglie o due mattoni per farne i pali della porta. La traversa come ipotesi, collocata a un’altezza indefinita: 10-15 centimetri sopra le dita stirate del portiere, calcolo approssimativo del salto che un ragazzino poteva compiere balzando dal suolo. Una linea orizzontale immaginaria che talora si materializzava nella riga tracciata con la vernice (ma anche con un paio di gessetti recuperati a scuola) sulle saracinesche o sul muro. Circostanza che comunque non impediva di stabilire senza eccessive contestazioni – e senza l’ausilio della moviola in campo – se fosse gol o meno, anche nelle situazioni di più difficile interpretazione. Graffiti di primavere lontane che su qualche parete resistono, tenaci come i tackle affondati nonostante il cemento, le ginocchia ’mprascate di sangue.
Un calcio da artisti di strada che odorava di libertà e di fantasia, che non viveva prigioniero degli schemi e delle divise delle scuole di calcio per bambini. Che considerava naturali la camicia e finanche i mocassini. Che a casa, a sera, riportava appiccicati sul viso sudore e terra.
Bastava essere in due: uno contro uno, trasposizione calcistica degli antichi duelli d’onore. In tre, il terzo diventava una sorta di arbitro dalle cui parate dipendeva l’esito della sfida. Ma in tre si poteva anche optare per la “modalità allenamento”: passaggi e tiri contro quello che fungeva da portiere fino a quando non riusciva a respingere una conclusione. Due contro due, con “portiere volante”. Due contro due, più il portiere fisso. Tre contro tre. E così via. Varianti pratiche e flessibili che consentivano il massimo dell’aggregazione possibile. In proposito non esisteva alcuna regola, se non quella inconsapevole e riassumibile nel motto di don Italo Calabrò: “nessuno escluso, mai”.
Ogni rione di Sant’Eufemia ha luoghi della memoria fatti di pallonate e vetri rotti, maglie sdillabbrate dalle trattenute (i falli esistevano soltanto nei casi di tentato omicidio) e scarpe aperte nella punta, immagini sfuocate di partite senza fine: «vince chi arriva prima a cinque gol»; ma poi si prolungava a dieci, a venti, o fino a quando non imbruniva ed era ora di rientrare.
La “Pezzagrande” contava il numero maggiore di campi di gioco improvvisati. All’interno della pineta comunale, con al centro il cerchio di cemento rialzato, una porta tra due alberi non perfettamente allineati e l’altra vagheggiata tra due pietre sistemate ad alcuni metri di distanza dal punto in cui il terreno digradava verso gli orti. Nel “Giardinello” polveroso, scenario piratesco di scorribande a caccia di ciliegie, ma anche di fughe precipitose, inseguiti dal cane aizzato contro i ragazzini dal massaro esausto ma minaccioso con la faccetta in pugno. E poi la mitica piazza Municipio con le sue “pietre di Catania”, al primo posto nella speciale classifica delle cause di distorsioni e fratture tra gli adolescenti. Piazza Matteotti, dove la scelta del pallone dipendeva dalle restrizioni vigenti: dal Tango al Super Santos, dal Super Tele al pallone di spugna, dalla pallina di tennis a quella di spugna, fino al prodigio della lattina di bibita schiacciata. Ma si giocava anche nel catino dell’ex pescheria, nelle strade aperte al traffico e in quelle chiuse, con buona pace per la squadra cui toccava correre in salita.
D’altronde, quando in palio c’era la supremazia rionale, il campo sportivo diventava teatro delle sfide campali tra selezioni di undici giocatori. Ed era come disputare un mondiale.