sabato 31 dicembre 2016

Buon anno



Da sempre ho un debole per il pettirosso. Minuscolo e imponente con quella macchia rossa al centro che lo fa sembrare un soldato a petto in fuori. In questi giorni il gelo lo spinge dai boschi alla porte delle abitazioni o sulle ringhiere dei balconi, in cerca di cibo. Mi piace pensare che sia sempre lo stesso: quello di venti o trent’anni fa, e che torni da me perché già allora le briciole dei biscotti o del pane erano a lui destinate. A lui che, poveretto, chissà che freddo soffriva ma con dignità. A lui che forse era triste, nella sua gelata solitudine.
Forse è proprio quello che disegnai alle scuole elementari su un cartellone che poi rimase attaccato alla parete tutto l’anno, insieme alla vendemmia o alla primavera realizzate da altri miei compagni. Un pettirosso enorme su un ramo troppo piccolo per poterne reggere il peso, ma che importava.
Molto dopo sarebbe arrivato Fabrizio De André: un furibondo bisogno di domande più che di risposte, di dubbi più che di certezze, di una prospettiva umana che fosse in grado di regalare una “goccia di splendore” anche all’ultimo della terra. E con lui il “pettirosso da combattimento” dell’apocalittica Domenica delle salme, che si salva dall’incendio della barba del “poeta della Baggina” e indica nella lotta uno strumento di giustizia.
Situazioni distanti che forse non casualmente riaffiorano nella mente, come tessere di un mosaico più grande e misterioso. La ricerca delle radici, il senso della storia e delle storie che Maurizio Maggiani sublima nelle pagine del suggestivo romanzo Il coraggio del pettirosso; il lancinante album di Loredana Bertè (Un pettirosso da combattimento), impreziosito dalla straziante traccia Zona Venerdì, in morte di Mia Martini.
Il pettirosso è il sogno impossibile, deciso nell’inverno che una dolorosa perdita familiare aveva reso più freddo degli altri, per consolare e riscaldare – lui che arriva con il gelo – le anime nostalgiche.
Chissà come e perché sono arrivato fin qua. In fondo volevo soltanto scrivere due parole di augurio per l’anno che stanotte accoglieremo con la stessa identica speranza dell’anno scorso e per salutare quello che in qualche modo sta per finire. Consapevoli di avere fatto ciò che cuore e raziocinio hanno comandato. Senza l’urgenza di un bilancio che forse altri in questi stessi minuti stanno già facendo, disponendo sui piatti felicità e dolore, rimpianti e sogni. Quei sogni che soli possono rendere affascinante l’incognito e che ci spingono ad agire. Che ci fanno uscire dal bosco e danzare nel freddo, per continuare a vivere e per affrontare con coraggio ciò che il futuro ci riserverà.

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