mercoledì 28 marzo 2018

I motivi del No alla cittadinanza onoraria per Barbara D’Urso



Tra i punti dell’ordine del giorno del consiglio comunale di oggi c’era il conferimento della cittadinanza onoraria di Sant'Eufemia d’Aspromonte a Barbara D’Urso. Come gruppo consiliare “Per il Bene Comune” abbiamo espresso voto contrario. Di seguito, la nostra dichiarazione di voto:

Non riconosciamo alla signora Maria Carmela alias Barbara D’Urso meriti particolari, tali da giustificare il conferimento della cittadinanza onoraria di Sant’Eufemia d’Aspromonte: a meno che non sia sufficiente avere origini eufemiesi e soprattutto (azzardiamo, ma non tanto) essere personaggio celebre. Requisiti che indubbiamente sono in possesso della nota conduttrice televisiva. Ma di che genere di televisione stiamo parlando?
La tv della lacrimuccia elemento essenziale di un abusato copione. La tv dello sciacallaggio e della cinica spettacolarizzazione del dolore, offerto sull’altare del dio auditel. La tv del gossip, che per mesi e mesi segue le vicende di coppie che scoppiano, si ricompongono e poi scoppiano ancora, ovviamente a favore di telecamera. La tv dei vip in lotta per un’eredità o in contatto con l’aldilà. La tv dei “morti di fama” che si sottopongono a decine e decine di interventi chirurgici per somigliare a una bambola. La tv del kleenex e dei guardoni, che fa l’occhiolino alla pancia e al voyeurismo di certo pubblico. Di questa televisione stiamo parlando. Ma se anche si volesse sorvolare su considerazioni opinabili, che attengono ai gusti e alle inclinazioni personali di ciascuno di noi, la signora D’Urso ha mai contribuito in qualche modo alla crescita del nostro territorio? Si basa forse su questo assunto un riconoscimento di così grande valore? Non ci risulta.
Il conferimento della cittadinanza onoraria a Barbara D’Urso è soltanto una bassa operazione di marketing, forse utile per intascare una comparsata in televisione.
Siamo perfettamente consapevoli che questi sono i tristi tempi che viviamo. La religione del nostro tempo ha elevato la frivolezza a valore e l’apparire ad essenza della stessa azione politica.
Non vogliamo arrenderci a questo declino. Siamo convinti che la politica debba volare alto, concentrarsi sulle risposte da dare ai problemi dei cittadini, che sono molti e gravi, non scadere nell’utilizzo di imbarazzanti armi di distrazione di massa finalizzate all’effimero godimento di un quarto d’ora di celebrità.
Per tutte queste ragioni, esprimiamo voto contrario.

DOMENICO FORGIONE – Capogruppo
PASQUALE NAPOLI – Consigliere

lunedì 26 marzo 2018

Il grande cuore di Fabrizio

C’erano Corrado e Mike Bongiorno, due giganti. E poi c’erano le nuove leve, su tutti Fabrizio Frizzi e Gerry Scotti. È stata la televisione di noi ragazzini negli anni 80: programmi “leggeri”, mai volgari, ai quali i genitori “ci affidavano” tranquilli perché non veicolavano messaggi negativi. I conduttori erano una garanzia di serietà e professionalità; e poi erano simpatici, ironici ed autoironici, sapevano prendersi in giro perché alla fine i problemi sono (dovrebbero essere) altri.
Il tritacarne televisivo sarebbe arrivato più tardi. Allora si respirava aria di semplicità e di sentimenti genuini.
Un appuntamento imperdibile per tanti di noi fu il programma televisivo “Tandem”, in particolare il quiz che al suo interno conduceva Fabrizio Frizzi: “Paroliamo”. Squadre di studenti si contendevano la vittoria cercando di comporre la parola più lunga utilizzando le lettere a disposizione. Un gioco di società che ti faceva sentire a casa, come se stessi giocando a tombola o a monopoli con fratelli, cugini, vicini. Una scenografia essenziale, con le lettere di cartone che venivano disposte sul tavolo. Sembra sia passato un secolo.
Poi si cresce e ci si perde, perché gli interessi cambiano: anche se un’occhiata all’Eredità si finiva sempre con il darla. Guardiamo ad altro “da grandi”, guardiamo all’uomo.
E in questo Fabrizio Frizzi è stato un gigante per umanità, sensibilità, generosità. In prima fila accanto a Telethon o con la conduzione televisiva della “Partita del Cuore”, per sottolineare l’importanza delle donazioni nella lotta alle malattie genetiche.
Ci ha fatto commuovere quando si è saputo che aveva salvato la vita di una ragazza donandole il midollo osseo.
Credo sia questo il suo più grande lascito: l’esempio. Se il conduttore televisivo è stato un ottimo professionista, l’uomo “è” testimone di bellezza, della bellezza e della grandezza del dono.

mercoledì 21 marzo 2018

Il ritorno del Bikini


Correvano i favolosi anni ’80: giocavo a calcio (of course), a tennis, pedalavo sulla bici da corsa. E divoravo un numero spropositato di Bikini, un gelato prodotto dall’Algida che ho adorato. In teoria avrebbe dovuto fare concorrenza al Maxibon Motta, anche se era molto diverso. Metà biscotto, come bordo una cornice di cioccolato, la parte superiore bigusto (vaniglia e cioccolato), ricoperto di cioccolato croccante e granella di nocciole. Negli anni ’90 fu ritirato dal commercio e sostituito dal Magnum Sandwich (buono, ma tutta un’altra cosa): un trauma dal quale ho faticato non poco per riprendermi.
Ad ogni inizio di stagione (che ora in realtà non ha soluzione di continuità, mentre al tempo iniziava in maniera “istituzionale” in vista della ricorrenza di San Giuseppe) rivolgo al mitico Tonino, che da 35 anni fornisce il bar di mio padre, la stessa angosciata domanda: «Perché non mettono nuovamente in produzione il Bikini?». Una preghiera finalmente esaudita quest’anno, per la gioia di un bambino un po’ cresciuto.
A questo punto e visto che sognare non costa nulla, consiglierei all’Algida di riproporre il Magnifico (ignominiosamente ritirato dal commercio qualche anno fa), ma soprattutto il tartufo nella coppa di plastica marrone scuro: gelato al tartufo e nocciole tritate (e il cuore cremoso di cioccolato con un non so che di liquoroso). Sulle pareti della coppetta restava attaccato cioccolato duro, sul fondo un paio di millimetri spessi e spaventosamente squisiti. In assoluto, il mio preferito e il mio rimpianto più grande. Una nostalgia lacerante.
Se poi qualcuno volesse completare il sogno, ridatemi pure il Vasco di “C’è chi dice no”, Altobelli e Rummenigge all’Inter, Pertini al Quirinale, Goldrake e Shingo Tamai, Bud Spencer, i giochi di piazza e i muretti sempre occupati da decine e decine di ragazzi felici solo per quello stare insieme.

martedì 13 marzo 2018

Milano chiama, Napoli risponde



La trasmissione sportiva «90° Minuto» fu fenomeno di costume negli anni Settanta e Ottanta. Un rito collettivo celebrato da milioni e milioni di telespettatori sintonizzati ogni domenica pomeriggio su RaiUno per vedere, dopo la loro conclusione, le immagini delle partite del campionato disputate tutte, rigorosamente, allo stesso orario. Rito officiato fino alla sua morte (1990) da Paolo Valenti, un signore d’altri tempi: «Amici sportivi, buon pomeriggio», il suo consueto incipit.
Collegamenti da tutti i campi di serie A (16 squadre, la vittoria valeva due punti), big match della serie B e, in chiusura di trasmissione, la lettura dei risultati delle partite di serie C.
Ripenso con nostalgia a quegli anni, all’epica delle partite ascoltate grazie a «Tutto il calcio minuto per minuto». Tutti attorno alla radio, al bar, con in mano le schedine per aggiornare negli spazi bianchi delle matrici i risultati mano a mano che qualche squadra segnava. I più grandi sulle macchine: davanti alla pineta, parcheggiate accanto ai marciapiedi, al municipio o al campo sportivo (magari mentre giocava l’Eufemiese). Poi l’attesa di «90° Minuto», difficile da spiegare all’epoca delle pay-tv e dei contenuti video su internet in tempo reale.
Abbiamo amato Paolo Valenti come uno zio e ci siamo affezionati ai corrispondenti dai vari campi come se fossero parenti in visita, preceduti dal jingle indimenticabile della sigla della trasmissione. Personaggi semplici, alcuni all’apparenza strampalati ma in realtà dotati di cultura, professionalità e attaccamento alla Rai. Da Firenze Marcello Giannini, che era stato la “voce” dell’alluvione del 1966; da Ascoli Tonino Carino con le sue giacche assurde; Giorgio Bubba da Genova e Gianni Vasino da Milano, dopo la morte del grandissimo Beppe Viola; Cesare Castellotti con le sue cravatte granata da Torino; da Roma un giovane Giampiero Galeazzi; Riccardo Cucchi da Campobasso e Lamberto Sposini da Perugia; Emanuele Giacoia da Catanzaro e Puccio Corona da Messina.
E poi Luigi Necco, il più simpatico di tutti con quel suo faccione, gli occhiali spessi e i tifosi del San Paolo che finivano sistematicamente per travolgerlo. Raccontò i trionfi del Napoli del Pibe de Oro («San Gennaro perdona, Maradona no»), ma anche le salvezze dell’Avellino di Barbadillo e Diaz, di Juary e Dirceu. Forse il primo a fare il gesto della “manita”, la sua ironia garbata e il suo sorriso («Milano chiama, Napoli risponde», ai tempi del testa a testa con il Milan di Arrigo Sacchi) in fondo ci ricordavano che il calcio è un gioco. Un bel gioco però: «Nella mia carriera ho scritto un po’ di tutto, dalla malavita all’archeologia, però niente è stato più bello del calcio».

*Luigi Necco fu giornalista di cronaca giudiziaria (per il suo lavoro fu gambizzato dalla camorra) e grande esperto di archeologia: suo il ritrovamento del “tesoro di Troia” scomparso alla fine della seconda guerra mondiale. In suo omaggio, Rai Cultura stasera alle 23.00 e Rai Storia domani alle 18.00 proporranno lo Speciale “Mesopotamia”, nel quale il giornalista racconta il tragico destino dei tesori della Mesopotamia, distrutti dall’Isis.

lunedì 5 marzo 2018

La scoppola elettorale



Tre dati oggettivi: 1) hanno vinto M5S e Lega; 2) il centrodestra a trazione leghista avrà il maggior numero di parlamentari; 3) PD e LeU hanno fallito rovinosamente. Partendo da questi dati credo si possano fare alcune considerazioni.
Le correnti populiste sono maggioritarie in Italia (pure il dato della Meloni si può leggere da questa prospettiva), anche se nell’operazione di “sfondamento” della Lega al Sud c’è dell’altro e proprio la provincia di Reggio Calabria ne è la dimostrazione evidente.
La bocciatura del PD va in gran parte ascritta al solipsismo di Renzi e all’inadeguatezza di una classe dirigente disconnessa dalla realtà e indifferente agli “avvertimenti” più volte lanciati dagli elettori (elezioni amministrative, referendum).
La scissione di LeU, che si prefiggeva di recuperare “dal bosco” i tanti delusi, non ha sortito alcun effetto a parte la garanzia di una ridotta presenza parlamentare: ma di questo fallimento bisogna prendere atto. Io per primo, che nel mio piccolo ho sostenuto un progetto il cui esito lascia ora un senso di forte smarrimento, nonostante la convinzione della sua bontà ideale.
L’Italia uscita fuori dalle urne è tagliata in due, con il Nord in mano al centrodestra e il Sud conquistato dai grillini. Quest’esito si può spiegare con il contributo determinante della Lega al Nord o, più semplicemente, con il fatto che evidentemente gli enti locali di quell’area geografica sono amministrati bene: in caso contrario la sua classe dirigente sarebbe stata bocciata dalle urne. Nel Sud le cose vanno diversamente. Al netto del fallimento di rappresentanti politici che (a destra, a sinistra e al centro) hanno sempre pensato a perpetuare se stessi, ogni elezione viene caricata di aspettative così pesanti puntualmente disattese, che provocano lo spostamento di interi blocchi sociali da uno schieramento all’altro. L’assenza di partiti radicati, ormai ridotti a comitati elettorali ottocenteschi, aiuta questo fuggi-fuggi generale. Altrimenti non si spiegherebbe come la Calabria abbia potuto accordare in scioltezza ampie maggioranze prima a Berlusconi, poi al PD e oggi a Di Maio.
C’è sempre l’attesa del messia che compia il “miracolo” di risollevare questa terra, ma la questione calabrese (sottocapitolo della più ampia questione meridionale) è argomento di campagna elettorale che muore il giorno dopo il voto. Per colpa di Roma, ma anche per colpa di una classe dirigente locale che a Roma conta meno di zero. I tempi della politica sono diventati velocissimi, bastano un paio di anni per disperdere consensi molto vasti.
La palla passa ora a Mattarella e subito dopo al Parlamento italiano. Personalmente non ho mai temuto l’esito di una votazione: la nostra repubblica ha anticorpi che impediscono paurosi salti nel buio.
Vivo gli appuntamenti elettorali come una festa: la festa della democrazia. Il voto va sempre rispettato. Chi ha vinto deve governare il Paese ed essere messo alla prova per verificare se all’abilità nella critica corrisponde la capacità di passare dalla politica parlata a quella delle realizzazioni concrete.
Certo, la mancanza di una maggioranza numerica complica le cose: ma credo che i numeri, alla fine, si troveranno.

venerdì 2 marzo 2018

Un voto utile

Credo nelle idee e credo negli uomini e nelle donne che quelle idee fanno camminare sulle proprie gambe. Che per quelle idee sono disposti a lottare, ad abbandonare il porto sicuro per affrontare il mare aperto con tutte le insidie che tale rischio comporta. Per questo sono convinto che esista un solo “voto utile”: quello che la nostra coscienza riconosce come rappresentativo del proprio bagaglio di valori e della propria storia personale.
Domenica voterò LIBERI E UGUALI per votare “a favore di qualcosa” e non “contro qualcuno”. Il voto è talmente sacro che in ogni caso va rispettato, anche quando dista mille miglia dalle proprie convinzioni. Non penso che siano stupidi o delinquenti gli elettori che sceglieranno altre formazioni politiche. Ma questa campagna elettorale non mi è piaciuta, a tratti è stata insopportabilmente volgare, indirizzata contro avversari demonizzati o ridicolizzati. Rivolta alla pancia degli elettori.
Credo nella politica sobria e seria, mi indispongono le urla e le offese. E credo in un progetto, quello di LIBERI E UGUALI, che va oltre l’appuntamento elettorale e ha l’ambizione di ridare dignità e riconoscibilità a una sinistra attenta ai bisogni degli ultimi. Una sinistra che abbia ancora la forza di indignarsi di fronte a politiche del lavoro umilianti, che vorrebbero fare passare come una conquista la precarizzazione selvaggia di milioni di giovani. Una sinistra che difenda con forza il carattere pubblico della sanità e della scuola. Una sinistra capace di rispondere alla sfida degli esodi biblici contemporanei con umanità.
LIBERI E UGUALI non è un punto d’arrivo: rappresenta l’inizio di un percorso difficile e affascinante, che proprio per questo condivido. Sarà importante avere una rappresentanza parlamentare, la più ampia possibile, per portare avanti tematiche sociali che altrimenti rischiano di scomparire dall’agenda politica per i prossimi cinque anni.
Non è il momento delle polemiche, anche se in questi giorni se ne stanno facendo tante. Ma non mi appassionano. Mi appassiona invece l’idea di un “nuovo inizio”, che vedo possibile e necessario.