lunedì 5 marzo 2018

La scoppola elettorale



Tre dati oggettivi: 1) hanno vinto M5S e Lega; 2) il centrodestra a trazione leghista avrà il maggior numero di parlamentari; 3) PD e LeU hanno fallito rovinosamente. Partendo da questi dati credo si possano fare alcune considerazioni.
Le correnti populiste sono maggioritarie in Italia (pure il dato della Meloni si può leggere da questa prospettiva), anche se nell’operazione di “sfondamento” della Lega al Sud c’è dell’altro e proprio la provincia di Reggio Calabria ne è la dimostrazione evidente.
La bocciatura del PD va in gran parte ascritta al solipsismo di Renzi e all’inadeguatezza di una classe dirigente disconnessa dalla realtà e indifferente agli “avvertimenti” più volte lanciati dagli elettori (elezioni amministrative, referendum).
La scissione di LeU, che si prefiggeva di recuperare “dal bosco” i tanti delusi, non ha sortito alcun effetto a parte la garanzia di una ridotta presenza parlamentare: ma di questo fallimento bisogna prendere atto. Io per primo, che nel mio piccolo ho sostenuto un progetto il cui esito lascia ora un senso di forte smarrimento, nonostante la convinzione della sua bontà ideale.
L’Italia uscita fuori dalle urne è tagliata in due, con il Nord in mano al centrodestra e il Sud conquistato dai grillini. Quest’esito si può spiegare con il contributo determinante della Lega al Nord o, più semplicemente, con il fatto che evidentemente gli enti locali di quell’area geografica sono amministrati bene: in caso contrario la sua classe dirigente sarebbe stata bocciata dalle urne. Nel Sud le cose vanno diversamente. Al netto del fallimento di rappresentanti politici che (a destra, a sinistra e al centro) hanno sempre pensato a perpetuare se stessi, ogni elezione viene caricata di aspettative così pesanti puntualmente disattese, che provocano lo spostamento di interi blocchi sociali da uno schieramento all’altro. L’assenza di partiti radicati, ormai ridotti a comitati elettorali ottocenteschi, aiuta questo fuggi-fuggi generale. Altrimenti non si spiegherebbe come la Calabria abbia potuto accordare in scioltezza ampie maggioranze prima a Berlusconi, poi al PD e oggi a Di Maio.
C’è sempre l’attesa del messia che compia il “miracolo” di risollevare questa terra, ma la questione calabrese (sottocapitolo della più ampia questione meridionale) è argomento di campagna elettorale che muore il giorno dopo il voto. Per colpa di Roma, ma anche per colpa di una classe dirigente locale che a Roma conta meno di zero. I tempi della politica sono diventati velocissimi, bastano un paio di anni per disperdere consensi molto vasti.
La palla passa ora a Mattarella e subito dopo al Parlamento italiano. Personalmente non ho mai temuto l’esito di una votazione: la nostra repubblica ha anticorpi che impediscono paurosi salti nel buio.
Vivo gli appuntamenti elettorali come una festa: la festa della democrazia. Il voto va sempre rispettato. Chi ha vinto deve governare il Paese ed essere messo alla prova per verificare se all’abilità nella critica corrisponde la capacità di passare dalla politica parlata a quella delle realizzazioni concrete.
Certo, la mancanza di una maggioranza numerica complica le cose: ma credo che i numeri, alla fine, si troveranno.

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