tag:blogger.com,1999:blog-83188482406956728442024-03-13T04:02:13.862+01:00Messaggi nella bottigliaDomenico Forgione - Sant'Eufemia d'Aspromonte (RC)Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.comBlogger675125tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-17181712621148524422021-04-30T18:05:00.000+02:002021-04-30T18:05:08.799+02:00Nuovo blog<p>A dicembre 2020 ho aperto un nuovo blog, sul quale ho anche trasferito tutti i post qui pubblicati. Chi volesse, può continuare a seguirmi all'indirizzo <a href="https://www.messagginellabottiglia.it/blog/" target="_blank">Blog - Messaggi nella bottiglia</a></p><p><br /></p>Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-48340413125655702052020-11-25T22:53:00.000+01:002020-11-25T22:53:08.246+01:00Splendi, Diego<p> </p><div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBqmr3fAaVM7S2VzBOeHJULAShqyKl3PL5k3BYRIZOngMwNxMqYloq-HzA6GHms3L2Z9aCotUoQo1v1QURyqPejIBz4UwOBAW7MsiP_zFGO8EIT04XtTd8iNUg5m_13vw3g99GWHfYKPo/s575/127859234_1807219382777475_7078055620858808613_n.jpg" style="display: block; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="369" data-original-width="575" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBqmr3fAaVM7S2VzBOeHJULAShqyKl3PL5k3BYRIZOngMwNxMqYloq-HzA6GHms3L2Z9aCotUoQo1v1QURyqPejIBz4UwOBAW7MsiP_zFGO8EIT04XtTd8iNUg5m_13vw3g99GWHfYKPo/s320/127859234_1807219382777475_7078055620858808613_n.jpg" width="320" /></a>
</div>
Scrivo di te di notte, l’ora del dialogo con le stelle. L’ora dei sogni. L’ora dell’amore. Perché sei stella, sogno e amore. Sei “Pibe de oro” e “mano dei Dios”, sei “Isso”: il liberatore dei popoli oppressi, il riscatto degli scugnizzi, il bambino che grida che il re è nudo mentre attorno il sistema volge lo sguardo da un’altra parte. Per paura o per debolezza. Due sentimenti che non ti appartengono, che non possono appartenere a chi ha respirato la polvere di Villa Fiorito. <div>Sono argentini i due più grandi rivoluzionari della seconda metà del XX secolo: Ernesto Che Guevara e tu, Diego. «Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia, commessa contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo». Ed è quello che hai fatto salendo le scale degli spogliatoi del San Paolo, il 5 luglio 1984. Caricandoti sulle spalle la rabbia degli ultimi per condurli nella scalata al cielo: sapendo che “la vita è una lotteria di notte e di giorno”, come canta di te Manu Chao. Lo sai meglio di chiunque, Diego: conosci vittorie e sconfitte della vita, quella tua vita che hai spesso maltrattato, ma sempre amato. Sei il Lord George Byron del calcio. Lo sarai per sempre, con quel cuore grande che hai portato anche in un campo infangato di Acerra, per mantenere la promessa fatta ad un bambino malato. E come sorridevi, quel giorno. Per questo la gente ti ama e ti amerà per sempre: come me, con il tuo poster attaccato accanto a quello dell’Inter dei record. </div><div>E allora splendi, continua a splendere, nell’eterno presente in cui vivono gli Dei.
</div>Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-81239760943287152732020-11-22T22:58:00.005+01:002020-11-23T09:54:59.116+01:00Il volontariato al tempo del Covid<p><span style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; text-align: justify;">Tutto
è nato per caso, sulla chat Whatsapp dei volontari dell’Agape. Ci siamo detti:
«Perché non facciamo una videochiamata collettiva, una sorta di riunione
dell’associazione “da remoto”? Giusto per vedersi, per come è possibile con
l’emergenza sanitaria che ha cambiato molte nostre abitudini, anche le modalità
dello stare insieme. </span></p><p><span style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; text-align: justify;">Dal piacere di ritrovarsi al lancio dell’idea è stato
un attimo: «Perché non utilizzare le potenzialità della tecnologia per
continuare le nostre attività?». E così, in questo fine settimana, siamo
ripartiti. Non possiamo fare molto, ma fare qualcosa può essere davvero tanto
per chi, in fondo, ha principalmente bisogno di compagnia e di calore. Alcuni
di noi hanno partecipato ad una videochiamata con gli anziani della RSA “Mons.
Prof. Antonino Messina”, grazie alla disponibilità della direttrice Rossana Panarello e, in
questo primo collegamento, di Michela Carbone che ha fatto da tramite tra i
volontari e gli anziani: qualche scambio di battute, domande, sorrisi.
Un’esperienza ripetuta oggi con una tra i ragazzi speciali che in estate
partecipano alla colonia estiva e che a turno coinvolgerà anche gli altri.
Anche in questo caso, molta sorpresa e tanta gioia sul display a mosaico. </span></p><p><span style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; text-align: justify;">Non
bisogna arrendersi, neanche al lockdown. Per questo siamo decisi ad “esserci”
nella nostra comunità, come ci siamo dal 1991: il prossimo, sarà l’anno del
trentennale e va festeggiato! A dicembre non potremo mettere in campo le
consuete iniziative del “Natale di solidarietà”, ma nel nostro piccolo
cercheremo di stare vicino a chi non desidera altro che una carezza, seppure
virtuale. Piccoli gesti, sulla scia delle parole di Teresa Sarti, cofondatrice
di Emergency, che spiegano il senso delle attività di volontariato: «Se
ciascuno di noi facesse il suo pezzettino, ci troveremmo in un mondo più bello
senza neanche accorgercene».</span><span style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; text-align: justify;"> </span> </p>Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-56839819104616720362020-11-20T10:22:00.002+01:002020-11-20T10:43:52.612+01:00A futura memoria <div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQ4aFz9YaVXj7-cGsA5mYMB97RJS3KRnqyJyGD2TvjfWsQI1ehskorRMDA669XvsSjKED2AZSVFBzQQi8LswG6FmHukP5c8JGY0NYX_Pes2SQThly0CkcOgdVBCjImZ2OiDiHs7dqR_sA/s2015/126806120_1802147839951296_3438888174201383623_o.jpg" style="display: block; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="2015" data-original-width="1424" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQ4aFz9YaVXj7-cGsA5mYMB97RJS3KRnqyJyGD2TvjfWsQI1ehskorRMDA669XvsSjKED2AZSVFBzQQi8LswG6FmHukP5c8JGY0NYX_Pes2SQThly0CkcOgdVBCjImZ2OiDiHs7dqR_sA/s320/126806120_1802147839951296_3438888174201383623_o.jpg"></a></div><p>Il 20 novembre 1989 moriva Leonardo Sciascia: scrittore ed intellettuale eretico, illuminista e cultore dell’arte del dubbio, protagonista di battaglie civili ancora attuali. Un oracolo inascoltato, che spesso dovette scontare la solitudine: «Mi sembra di aggirarmi nella realtà italiana, non come un veggente, ma come un fantasma». Sciascia professò la religione della ricerca della verità, della difesa del diritto, delle regole, della Costituzione. Gesualdo Bufalino, del quale il 15 novembre è ricorso il centenario della nascita, definì l’opera di Sciascia “un unico grande libro sulla giustizia” e appare oggi come un testamento la citazione dello scrittore e drammaturgo svizzero Friedrich Dürrenmatt, posta da Sciascia in epigrafe al suo ultimo romanzo “Una storia semplice”: «Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia». </p><div>Nei mesi scorsi ho avuto modo di rileggere molte opere di Sciascia, in particolare i saggi e gli articoli dedicati ai temi del garantismo e del diritto, alcuni dei quali confluirono nel libro “A futura memoria”. Titolo che mi colpì quando lo lessi per la prima volta e che non a caso presi in prestito per chiudere il mio primo “messaggio nella bottiglia” (24 marzo 2010), in una sorta di omaggio nascosto tra le righe.</div><div>Per ricordare il “maestro di Racalmuto” riporto un brano dell’articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” il 7 agosto 1983, nel quale, prendendo spunto dal “caso Tortora”, Sciascia affrontava provocatoriamente i temi del garantismo e delle disfunzioni dell’amministrazione della giustizia: </div><div>«… resterà il problema del come e del perché dei magistrati, dei giudici, abbiano prestato fede ad una costruzione che già fin dal primo momento appariva fragile all’uomo della strada, al cittadino che soltanto legge o ascolta le notizie. E qui entriamo nel vivo. Ogni cittadino, quale che sia la sua professione o mestiere, ha l’abito mentale della responsabilità […] sa che di ogni errore deve rendere conto e pagarne il prezzo a misura della gravità e del danno che […] ha arrecato. Ma un magistrato non solo non deve rendere conto dei propri errori e pagarne il prezzo, ma qualunque errore commesso non sarà remora alla sua carriera […]. E credo che sia, questo, un ordinamento solo e assolutamente italiano. Inutile dire che dentro un ordinamento simile che addirittura sfiora l’utopia, ci vorrebbe un corpo di magistrati d’eccezionale intelligenza, dottrina e sagacia non solo, ma anche, e soprattutto, di eccezionale sensibilità e di netta e intemerata coscienza. E altro che sfiorare l’utopia: ci siamo in pieno dentro. E come uscirne, dunque? Un rimedio, paradossale quanto si vuole, sarebbe quello di far fare ad ogni magistrato, una volta superate le prove d’esame e vinto il concorso, almeno tre giorni di carcere fra i comuni detenuti, e preferibilmente in carceri famigerate come l’Ucciardone o Poggioreale. Sarebbe indelebile esperienza, da suscitare acuta riflessione e doloroso rovello ogni volta che si sta per firmare un mandato di cattura o per stilare una sentenza. Ma mi rendo conto che contro un’utopia è utopia anche questa. Un rimedio più semplice sarebbe quello di caricare di responsabilità i magistrati senza preventivamente togliere loro l’indipendenza: e cioè di dare ad ogni cittadino ingiustamente imputato, una volta che viene prosciolto per più o meno mancanza di indizi, la possibilità di rivalersi su coloro che lo hanno di fatto sequestrato e diffamato».
</div>Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-12329386566186438682020-11-17T19:53:00.000+01:002020-11-17T21:45:28.394+01:00Ho scelto la vita<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAVzgl3V19U6aDxBrlUxX2ISD2K17fgxnbbwW-yHJmAY3qo-LvDdfZI58phOmgRvdM397MyDkXGKxQKXUqSmzlW85iJk5DI5TbNVxcQ7I9nFb2qITdz2cfKNR76GmCjfO1Ofa3c3F4HhE/s2015/126068851_1799569473542466_3070711622600381149_o.jpg" style="display: block; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="2015" data-original-width="1349" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAVzgl3V19U6aDxBrlUxX2ISD2K17fgxnbbwW-yHJmAY3qo-LvDdfZI58phOmgRvdM397MyDkXGKxQKXUqSmzlW85iJk5DI5TbNVxcQ7I9nFb2qITdz2cfKNR76GmCjfO1Ofa3c3F4HhE/s320/126068851_1799569473542466_3070711622600381149_o.jpg"></a></div><p></p><p class="MsoNoSpacing" style="line-height: 115%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Ho
scelto la vita” è il titolo dell’ultima testimonianza pubblica sulla Shoah
della senatrice Liliana Segre, condivisa il 9 ottobre 2020 nel borgo di Rondine
(Arezzo). Una scelta che le consentì di sopravvivere all’orrore di <a name="_Hlk56526698">Auschwitz</a> e di trasformare la marcia della morte in
marcia della vita: camminando “una gamba davanti all’altra, con i piedi
piagati, mentre chi cadeva veniva finito con una fucilata in testa”; brucando nei
letamai alla ricerca di qualcosa da mangiare; cibandosi con la carne cruda di
un cavallo morto, strappata con le unghie e con i denti; succhiando foglie.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="line-height: 115%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Come
fu possibile tutto questo? Liliana Segre lo spiega con una sola parola:
indifferenza. Dodici lettere che lei stessa ha fatto incidere a caratteri
cubitali all’ingresso del Memoriale della Shoah di Milano, realizzato nel
binario 21 della Stazione Centrale, da dove partivano i carri bestiame pieni di
ebrei destinati ai campi di concentramento: «Se pensi che una cosa non ti
riguardi e ti volti dall’altra parte, è lì che inizia l’orrore».<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="line-height: 115%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Furono
in tanti, in Italia, a girarsi dall’altra parte. Ed è comodo, per la coscienza
collettiva della nazione, attribuirne la responsabilità in via esclusiva al
fascismo e non, piuttosto, ad un humus culturale razzista, presente nella
società italiana e capace di produrre frutti velenosi ancora oggi. Il “Manifesto
degli scienziati razzisti”, la “Dichiarazione sulla razza” del Gran consiglio
del fascismo (“È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti”),</span>
<span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">l’esclusione
degli ebrei dalle scuole pubbliche e dallo svolgimento di determinate
professioni (pubblica amministrazione, banche, assicurazioni, notariato,
giornalismo), la negazione dei diritti politici e civili, il divieto di
matrimonio tra cittadini italiani di razza diversa furono atti e provvedimenti
che ebbero largo consenso, così come lo stesso regime fascista fino al 10
giugno 1940. Erano italiani coloro che segnalavano alle autorità, per pochi
soldi, il vicino di casa ebreo. Non dimentichiamolo. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="line-height: 115%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">«La
memoria – scrive Ferruccio De Bortoli nella prefazione al libro – è un vaccino
prezioso. Ci aiuta a combattere con intelligenza e moderazione i miasmi del
totalitarismo che una società conserva, nonostante tutto, nel suo inconscio,
nel retrobottega della sua storia collettiva, familiare, personale». <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="line-height: 115%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Auschwitz
– scrisse Primo Levi – è “la mancanza di parole per esprimere questa offesa, la
demolizione di un uomo”. Ed è il ricordo di Liliana, ragazzina tredicenne alla
quale viene semplicemente detto di dimenticare il proprio nome, perché da quel
momento sarebbe stata soltanto un numerino tatuato sul braccio. Nell’istante in
cui si diventa una cifra riportata sopra un registro dell’ufficio matricola inizia,
sempre, l’opera sistematica di annullamento della dignità dell’uomo. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="line-height: 115%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Per
Liliana Segre, scegliere la vita significò allora «sognare di essere fuori di
lì, il rumore di un bambino che gioca, un gattino, un prato verde, una
qualsiasi cosa bella». Scegliere la vita, oggi, significa fare opera di memoria
ed assumere collettivamente la funzione delle pietre d’inciampo che in molte
città europee ricordano le vittime del nazismo. <o:p></o:p></span></p><br><p></p>Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-78128834547336977372020-11-15T20:47:00.003+01:002020-11-15T20:47:31.618+01:00Giornata mondiale dei poveri<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhexQUkj157Us9KXKr5SsPagFh7dSBkbXPxVV9Uy7Jh0mN-FTbO4xHMO0xoFWcRL2sMEWM6d9tPJvNYWu8bGpUonmNd4vq1hvCTk_p_D4q0ZISYYp62yqhAR05ct9VGNnN9VRPGmfazza4/s600/GMP.jpg" style="display: block; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="400" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhexQUkj157Us9KXKr5SsPagFh7dSBkbXPxVV9Uy7Jh0mN-FTbO4xHMO0xoFWcRL2sMEWM6d9tPJvNYWu8bGpUonmNd4vq1hvCTk_p_D4q0ZISYYp62yqhAR05ct9VGNnN9VRPGmfazza4/s320/GMP.jpg" width="320" /></a></div>
“Non serve per vivere chi non vive per servire”: utilizzando le parole di don Tonino Bello, Papa Francesco ha ribadito il valore del messaggio evangelico “tendi la tua mano al povero”, tema centrale dell’odierna Giornata mondiale dei poveri. Ma cos’è la povertà? Ovvio, esiste una spaventosa povertà materiale, sulla quale noi fortunati abitanti della parte sviluppata del pianeta tendiamo a chiudere gli occhi, fino a quando non ci presenta il conto degli sbarchi dei disperati che scappano da guerre, eccidi, carestie. Occhi che sgraniamo quando i sei mesi di Joseph finiti in fondo al mare gridano vendetta, per poi dimenticare. Perché “il dolore degli altri è un dolore a metà”: ce l’ha insegnato Fabrizio De Andrè, con gli emarginati e i diseredati ai quali ha dato voce e dignità letteraria, riconoscendo loro il diritto di “consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità”. E poi esiste una povertà dello spirito, che ci porta ad inseguire bisogni sempre più crescenti, sempre più effimeri, sempre più egoisti. Scrooge, l’avido protagonista di “Canto di Natale”, è poverissimo. <div>Contagiati come siamo dal virus dell’indifferenza, il male che il prete degli ultimi don Andrea Gallo definì “l’ottavo vizio capitale”, neanche ci accorgiamo di coloro che hanno realmente bisogno: si tratti di un piatto di pasta o di una carezza. Quante volte ci giriamo dall’altra parte, per non vedere e per sentirci così a posto con la nostra coscienza vigliacca? Ciò che non si vede non esiste, a maggior ragione in una società fondata sulle immagini. Ritoccate e spacciate per vere, tra l’altro. </div><div>L’imperante cultura dello scarto nasconde sotto il tappeto tutto ciò che sporca un’immagine fasulla di arcadia. Eppure bisognerebbe imparare a “sedersi dove la gente si siede”, come padre Alex Zanotelli a Korogocho, baraccopoli di Nairobi. Perché tutti gli esseri umani dovrebbero avere il diritto a vivere con dignità. Ovunque si trovino, quale che sia la loro condizione: liberi e oppressi.
</div>Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-5428241780917911142020-11-02T19:31:00.001+01:002020-11-02T19:37:42.437+01:002 novembre 2020<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxzZyO7-HUdARUhEXaB1YwJ9NXA9FCaxtu-ahH2ahd_LNm3nQfxx1aBIjvrZKTefiNIRHCEqL-UI9zX3hXEQCXMl5s9cbkwJOL6Wg_QvUEnOy7PfgcKGh62f5NMpGKdW5QfI_yW9it4G8/s450/lumini.jpg" style="display: block; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="300" data-original-width="450" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxzZyO7-HUdARUhEXaB1YwJ9NXA9FCaxtu-ahH2ahd_LNm3nQfxx1aBIjvrZKTefiNIRHCEqL-UI9zX3hXEQCXMl5s9cbkwJOL6Wg_QvUEnOy7PfgcKGh62f5NMpGKdW5QfI_yW9it4G8/s320/lumini.jpg" width="320" /></a></div>
Quanto siamo cambiati da marzo ad oggi? Quanto le nostre vite sono state stravolte dal Covid? A quante abitudini abbiamo dovuto rinunciare? Ci pensavo oggi, mentre il pensiero andava ai “miei” defunti. Parenti e amici che non ho potuto salutare come facevo ogni anno, lasciando sulle loro tombe un fiore o un lumino. Ho ripercorso mentalmente il percorso che faccio quando entro nel cimitero, in una sorta di appello degli assenti. Ci sono tutti. <div>La pandemia ci ha rinchiusi nelle nostre case, costringendoci ad una solitudine che diventa più acuta in occasione di una ricorrenza. Avvertiamo lontana e rimpiangiamo la tradizione dei “morti”, quando da piccoli andavamo a bussare alle porte delle case per ricevere qualche soldino, frutta e dolcini. In quelle castagne, in quei cioccolatini si realizzava il miracolo dell’incontro simbolico con l’aldilà, poiché i questuanti – sostiene l’antropologo Vito Teti – non erano altro che “vicari” dei defunti. I bambini rappresentavano le anime dei propri cari, che avrebbero sofferto molto in caso di rifiuto. </div><div>Nelle fotografie delle lapidi cerchiamo occhi e lineamenti che ci riconducano ad una storia ininterrotta, nonostante la morte: “le tessere giganti di un domino che non avrà mai fine” (De Andrè). Cerchiamo il calore di parole che abbiamo ascoltato, di gesti che ci hanno fatto sentire amati. Oggi, tutto questo non c’è stato: sono mancate le visite e, con esse, un aspetto profondo del rapporto con la morte nella nostra cultura religiosa e popolare. </div><div>Non potendomi recare al cimitero, ho deposto un lumino ai piedi del Crocifisso del monumento dei caduti. A quel Cristo che, per chi crede, è risorto dalla morte e, per chi non crede, è comunque il simbolo della lotta non violenta contro gli abusi del potere e delle autorità. Il predicatore dell’egualitarismo e della fratellanza universale. Il volto degli “ultimi” della Terra, di tutti coloro che soffrono nel fisico o portano sul cuore cicatrici impresse come solchi.
</div>Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-20243824743769978652020-10-29T22:25:00.000+01:002020-10-29T22:25:15.627+01:00Parole<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEix7_614NwJ7ZStZUjKKfI12B6zQ4n7JXsIMwH2ofZOCVXrAswr2OitrloERQz0_DOcCEBTnS4hFmaFcoaK0WyVMUx6UElNuhEFVjHYKV-eMzNgyESBSclHoCQogNeUBBd6DNj5nMfMKpI/s1360/80potereparole-1360x765.jpg" style="display: block; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="765" data-original-width="1360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEix7_614NwJ7ZStZUjKKfI12B6zQ4n7JXsIMwH2ofZOCVXrAswr2OitrloERQz0_DOcCEBTnS4hFmaFcoaK0WyVMUx6UElNuhEFVjHYKV-eMzNgyESBSclHoCQogNeUBBd6DNj5nMfMKpI/s320/80potereparole-1360x765.jpg" width="320" /></a></div><p></p><p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole come in un sogno ora vivace ora dai
contorni sfumati, dimenticate all’alba, quando si rintanano nella cuccia
onirica dei fantasmi della mente. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole da appuntare sul bloc notes del
comodino sforzando la vista, disegnando nel buio il gancio al quale rimanere sospesi
per non precipitare nel gorgo. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole di un matto, intrappolate nel cuore.
<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole dure come il silenzio, come le urla.
<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole altre, osservate dal molo mentre
scivolano nella tasca dell’orizzonte, come le stagioni. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole come sirene che violentano la notte.
<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole a tutta pagina, definitive come
fede incrollabile. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole impastate dalla frana che va a
valle. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole conficcate come chiodi sulla bara. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole da tenere in tasca per farsi
compagnia. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole come la carezza di un’eco lontana. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole incastonate negli occhi. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole come unguento per medicare l’anima.
<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole come un diritto per il quale vivere
e morire. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole come una liberazione. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt;">Parole da affidare al vento, come il bacio
di Pablo Neruda. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></p><br /><p></p>Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-5512031792533742562020-10-21T20:39:00.004+02:002020-10-21T20:47:24.563+02:00Antonio Manucra, il geriatra eufemiese in trincea contro il Covid<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6Eng8ioQ8wf-2uwLmnAXV5R2TrxxeLVE7lBjl4VSk9UcQAkh0aWEc9hm6rJ7jw3UYL3tNngpMa5yr-ogdKPCtBbTCtTz0CM-RK4FK3TvP66sze5oOmDjiFg8jO1OG1bjrAvWyEbIebRc/s2048/IMG-20201017-WA0018.jpg" style="clear: left; display: block; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="2048" data-original-width="995" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6Eng8ioQ8wf-2uwLmnAXV5R2TrxxeLVE7lBjl4VSk9UcQAkh0aWEc9hm6rJ7jw3UYL3tNngpMa5yr-ogdKPCtBbTCtTz0CM-RK4FK3TvP66sze5oOmDjiFg8jO1OG1bjrAvWyEbIebRc/s320/IMG-20201017-WA0018.jpg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6Eng8ioQ8wf-2uwLmnAXV5R2TrxxeLVE7lBjl4VSk9UcQAkh0aWEc9hm6rJ7jw3UYL3tNngpMa5yr-ogdKPCtBbTCtTz0CM-RK4FK3TvP66sze5oOmDjiFg8jO1OG1bjrAvWyEbIebRc/s2048/IMG-20201017-WA0018.jpg" style="display: block; padding: 1em 0px; text-align: left;"><br></a></div>
Tutti ricorderanno la bella storia di Emma e Adriano (79 anni lei, 86 lui), i coniugi sposati da 60 anni che guarirono dal Covid-19 a due mesi dal contagio. Le immagini della loro uscita dall’ospedale di Bobbio, comune della Val Trebbia (Piacenza) eletto Borgo dei Borghi nel 2019, fecero il giro dei telegiornali e guadagnarono le prime pagine dei giornali. Accanto a loro il medico che li aveva seguiti sin dall’ingresso in ospedale, Antonio Manucra, sottolineava quanto quella vicenda fosse un segnale di speranza, “una piccola lucina nel buio degli ultimi due mesi”, pur non nascondendo “i momenti brutti e pesanti”, per superare i quali “è stato fondamentale l’aiuto di tutti, il conforto di tutti, le carezze e i sorrisi di ciascuno di noi”. <div>Diploma al liceo “Fermi” di Sant’Eufemia d’Aspromonte, una specializzazione e un master in geriatria dopo il conseguimento della laurea in medicina presso l’Università di Messina, da quindici anni Manucra è dirigente medico presso l’AUSL di Piacenza, in forze al presidio ospedaliero di Bobbio, dove svolge attività di reparto: responsabile del centro demenze e disturbi cognitivi, referente aziendale del centro Terapia Anticoagulante Orale e Nuovi Anticoagulanti Orali, referente delegato ambulatorio di angiologia, attualmente è inoltre facente funzioni di Direttore del nosocomio bobbiese.
L’Emilia Romagna (42.000 contagi) è seconda solo alla Lombardia per numero di decessi: 4.500, dei quali circa 1.000 nella sola provincia di Piacenza, la più colpita. </div><div>Per questo motivo crediamo possa essere utile ascoltare la voce di chi combatte sul campo il nemico subdolo che sta cambiando la vita di noi tutti. La voce di chi, mentre affrontava quel buio, scriveva per sé stesso una sorta di vademecum: «Una nuova maschera da indossare, una nuova giornata da affrontare. Solidi, sicuri, sempre... L’uomo prima di tutto, la dignità da preservare, sempre... Parole che confortano, sorrisi che riscaldano il cuore, carezze che allontanano la solitudine imposta. Gesti da ripetere, tornare, per ripartire. Il cuore che si riempie di emozioni, di tristezza di senso di impotenza. La pioggia dirompe e tutto vacilla, ma solo per un attimo, è umano! Poi la forza di reagire e di proseguire su una via impervia e sconosciuta, ma con la consapevolezza di proseguire e non fermarsi». </div><div><br></div><div>D – <i>L’emergenza Covid ha messo a dura prova anche la tenuta emotiva del personale medico ed ospedaliero. Come si affronta un nemico “sconosciuto”?</i> </div><div>R – «Il sentimento prevalente, dominante, di quei tristi giorni (mi riferisco all’ultima settimana di febbraio e al mese di marzo e poi, in misura minore, di aprile) era di incertezza, di disorientamento. Ci siamo trovati, nel giro di pochi giorni, dal pensare al virus come a qualcosa di lontano ad avercelo in casa (Lodi e Codogno sono molto più vicini a Piacenza che non a Milano): è stato come assistere alla deflagrazione di una bomba con conseguenze che sembravano non dover finire mai. Avevamo di fronte un nemico invisibile, sconosciuto e molto insidioso. Non conoscevamo nulla di questa infezione da Covid-19 (<i>coronarivirus desease</i> 2019). Non sapevamo, oltre ai problemi respiratori, cos’altro potesse interessare e intaccare. Né quali potessero essere i “reliquati” (conseguenze di una malattia passata, n.d.r.). Soltanto in un secondo momento si è visto, da uno studio sulle microembolie condotto presso l’ospedale di Castel San Giovanni (altro ospedale della nostra rete, che è stato il primo ospedale Covid in tutta Europa) che l’eparina poteva essere utile; si è visto che veniva interessato il microcircolo; si è visto che veniva interessato il sistema nervoso centrale e periferico (ecco il perché del sintomo della perdita dell’olfatto e del gusto). Insomma, ci siamo trovati spiazzati». </div><div><br></div><div>D – <i>Detto in maniera un po’ brusca, il tuo lavoro e la “tipologia” dei tuoi pazienti ti porta ad avere una certa familiarità con i decessi. In che cosa il Covid è stato diverso?</i> </div><div>R – «Da medico, ma soprattutto da uomo, credo che non ci si abitui mai alla morte. Il nostro reparto (internistico), come tutte le medicine, ospita in prevalenza pazienti in età avanzata e per questo fragili per definizione. Ovviamente ci siamo trovati di fronte ad una situazione straordinaria. Il momento peggiore del maledetto mese di marzo sono state le ore tra le 11.10 circa del 21 e le 14.00 del 22: abbiamo avuto 5 decessi, in un reparto che conta 24 posti. Nei mesi di marzo e aprile abbiamo avuto il numero di decessi che in genere contiamo in un anno e mezzo. Ma l’aspetto più angosciante è stata la solitudine dei pazienti, nonostante la fascia oraria dedicata alla videochiamata con i familiari. Pensare anche alla mancanza del conforto dei propri cari… Qualcosa di tremendo». </div><div><br></div><div>Un’esperienza professionale estrema, per le continue assenze di colleghi, infermieri ed operatori sanitari (a volte il 50% del personale), come ha successivamente sottolineato Manucra nel ringraziare il personale sanitario: «Siamo stati pronti a rivedere la nostra organizzazione interna, anche a causa delle numerose assenze tra il personale sanitario, e lo abbiamo fatto senza battere ciglio. Ognuno di noi ha rinunciato ai propri riposi per poter garantire l’assistenza ai nostri degenti, impedendo quindi che la “macchina” si fermasse. Molti di noi si sono ammalati, alcuni sono ad oggi ricoverati ed in serie condizioni cliniche e a loro va il nostro pensiero e le nostre quotidiane preghiere. Il tasso di mortalità, tra i degenti, di queste ultime settimane è stato spaventoso. Abbiamo visto morire molti anziani soli e senza il conforto dei propri cari. Tutti voi, infermieri e OSS, avete contribuito a mantenere operativo il nostro ospedale, sobbarcandovi di compiti difficili e pesanti. Avete saputo gestire con competenza e professionalità i ricoveri ed i decessi occorsi in questi giorni, anche in assenza del medico di reparto. A tutti voi, che avete accettato le “novità” organizzative, imposte dallo stato di necessità, a tutti voi dico GRAZIE!!!». </div><div>Assenze che per 16 giorni, come ricorda un servizio giornalistico del quotidiano di Piacenza “Libertà” (21 aprile), hanno fatto del geriatra eufemiese l’unico medico presente in ospedale. Mentre il virus si portava via gli amici ed entrava nella sua abitazione di Rivergaro, contagiando la moglie Mariana Iofrida – anche lei medico in servizio presso l’ospedale di Bobbio – e causando il trasferimento dei tre figli (Francesco, Marco, Matteo) presso nonna Carmela: «Il virus era ovunque. Mi viene da pensare quanto fosse complicato anche solo abbozzare un sorriso, comunicare ai figli che avevo la situazione in mano quando invece non era sempre così. Per me il mese di marzo del 2020 è un brivido che ancora mi insegue». Le salme che non si potevano portare nella camera mortuaria e venivano sistemate nel primo piano dell’ospedale, con la mascherina e avvolte da un telo disinfettato. Scene atroci, difficili da dimenticare perché “non siamo delle macchine”. </div><div><br></div><div>D – <i>Cos’è cambiato rispetto a marzo, sotto il profilo organizzativo e nella capacità di dare risposte più efficaci e tempestive? </i></div><div>R – Nella nostra realtà, mi riferisco all’AUSL di Piacenza, è cambiato molto rispetto alla routine lavorativa dell’era pre-covid. Sono stati creati protocolli che regolano il flusso dei pazienti dal Pronto soccorso ai reparti e tra reparti. Le visite ai degenti erano state contingentate, ma dal 15 ottobre sono state nuovamente sospese a causa dell’aumento dei casi di positività. Sono stati creati nuovi posti di terapia intensiva e subintensiva (questi ultimi, nel giro di poche ore possono essere trasformati in posti letto di terapia intensiva), sono stati assunti più infermieri (77) per il territorio. In Emilia sono nate le USCA (Unità speciali di continuità assistenziale) che fanno i tamponi casa per casa allo scopo di isolare e limitare la diffusione del virus: nella solo AUSL di Piacenza esistono, ad oggi, 18 squadre. Le attività ambulatoriali sono riprese, ma gli orari sono stati aumentati per evitare assembramenti. </div><div><br></div><div>D – <i>L’emergenza sanitaria ci ha insegnato qualcosa?</i> </div><div>R – L’emergenza sanitaria ci ha insegnato che deve essere la medicina a cercare i malati e non viceversa. Ci ha insegnato che la tendenza a centralizzare attorno agli ospedali “grandi” (i cosiddetti HUB), in una visione ospedalocentrica, non va bene. Occorre invece rafforzare il territorio. Ci ha insegnato che la sanità deve essere pubblica ed universale, in modo da consentire l’accesso alle cure a tutti. I tagli degli ultimi dieci anni sono stati pagati tutti e con gli interessi: tagli sugli ospedali (più di 200), riduzione dei posti letto inseguendo una media assurda, tagli agli investimenti… </div><div><br></div><div>D – <i>Torneremo alla vita di prima? “Andrà tutto bene”?</i> </div><div>R – Contrariamente a ciò che qualche incosciente sostiene, non siamo di fronte ad una “banale” influenza. Abbiamo a che fare con un virus insidioso, che purtroppo circola. Occorre comprendere che più aumentano i positivi e più aumenteranno gli ammalati; di conseguenza, crescerà il numero di coloro che avranno bisogno di cure e, anche, di cure intensive. Per questo è necessario un maggiore impegno delle istituzioni nel settore degli investimenti nella sanità pubblica. Ma per tornare alla vita di prima, per far sì che tutto vada bene, occorre uno sforzo di responsabilità e di senso civico. Dipende da noi. Ne usciremo, se riusciremo a superare individualismo; se, e solo, tutti insieme adotteremo le cautele del caso e ci adegueremo a indicazioni molto semplici: mascherina, distanziamento e igiene delle mani.</div><div><br></div><div><br></div><div><br></div><div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmJGLvHseyWhdpjtQyMKlvGS1IbTpvi6MJxXLQCiCO1Fp4vUokWf40r0Bpq6CUog_uVVt9Zq6svhDelBRoTsyT6DY1QmY_w_YxlYxWm5YTVPjc5zB_zp8GBbwwTUoGQ-Lrw6StTQY4KMs/s1600/IMG-20201016-WA0049.jpg" style="display: block; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmJGLvHseyWhdpjtQyMKlvGS1IbTpvi6MJxXLQCiCO1Fp4vUokWf40r0Bpq6CUog_uVVt9Zq6svhDelBRoTsyT6DY1QmY_w_YxlYxWm5YTVPjc5zB_zp8GBbwwTUoGQ-Lrw6StTQY4KMs/s320/IMG-20201016-WA0049.jpg"></a></div><div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3X0uJPhowyS924CTKIDI5CWDZMXBq4lPf4Ymq-YUHZn4lrlRdqLEtKS7u886u_6IZD1ihuGCMdokjdN8LVOzzBK-Bx3x0fwd1KXSPrkVOXESdHXdo0mDY-WNTyEI-kdz3ajVBOw_cmyk/s1200/IMG_20201021_113517.jpg" style="display: block; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="1115" data-original-width="1200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3X0uJPhowyS924CTKIDI5CWDZMXBq4lPf4Ymq-YUHZn4lrlRdqLEtKS7u886u_6IZD1ihuGCMdokjdN8LVOzzBK-Bx3x0fwd1KXSPrkVOXESdHXdo0mDY-WNTyEI-kdz3ajVBOw_cmyk/s320/IMG_20201021_113517.jpg" width="320"></a></div><div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-RElRgfA-5Yd3BbmvLr5-frGL5-IWVBl59v8XSGIYoBU4ZpQFzDw2Ept88E8Ou_9_UFojR0QhpfMpaQZAh_UmHPTo8YbOc6QRXi3l8VQSPI_6iSBnHrfLRyqW5QBt1IFFg-fJdpgqeCg/s1403/IMG_20201021_113535.jpg" style="display: block; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1403" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-RElRgfA-5Yd3BbmvLr5-frGL5-IWVBl59v8XSGIYoBU4ZpQFzDw2Ept88E8Ou_9_UFojR0QhpfMpaQZAh_UmHPTo8YbOc6QRXi3l8VQSPI_6iSBnHrfLRyqW5QBt1IFFg-fJdpgqeCg/s320/IMG_20201021_113535.jpg" width="320"></a></div>Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-2942236700533237612020-10-15T23:54:00.002+02:002020-10-15T23:54:50.197+02:00Deve passare la nottata<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKflb5W7aYg1ILDDJKsSjdz1Y4lwyYcW9tMZJCPLfxMVATI1RabhB55rjJ4VXqD4bFB9-HlRQ6hgVdB7d_C8w0e-2guGPUSUTPtL4LkagLCVnaEfMXr-rucDrIaXelSbkAFRbk0ouNeiI/s201/121733011_1765277783638302_1604529835555479834_n.jpg" style="clear: left; display: block; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="156" data-original-width="201" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKflb5W7aYg1ILDDJKsSjdz1Y4lwyYcW9tMZJCPLfxMVATI1RabhB55rjJ4VXqD4bFB9-HlRQ6hgVdB7d_C8w0e-2guGPUSUTPtL4LkagLCVnaEfMXr-rucDrIaXelSbkAFRbk0ouNeiI/s320/121733011_1765277783638302_1604529835555479834_n.jpg" width="320" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKflb5W7aYg1ILDDJKsSjdz1Y4lwyYcW9tMZJCPLfxMVATI1RabhB55rjJ4VXqD4bFB9-HlRQ6hgVdB7d_C8w0e-2guGPUSUTPtL4LkagLCVnaEfMXr-rucDrIaXelSbkAFRbk0ouNeiI/s201/121733011_1765277783638302_1604529835555479834_n.jpg" style="display: block; padding: 1em 0px; text-align: center;"><br /></a></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div>
Niente sarà più come prima o tornerà tutto come prima? Me lo chiedo spesso in queste giornate a volte lunghe, a volte corte: in fondo uguali. Vuote. Ma è questa la domanda da porsi o, piuttosto, dovremmo chiederci cosa si potrebbe fare per soffiare lontano l’aria da Bisanzio che opprime i polmoni di noi che viviamo “sospesi tra due mondi e tra due ere”? <div>Siamo soli, impauriti, smarriti. L’uomo è per definizione un animale sociale, tende naturalmente a rapportarsi con gli altri, a instaurare rapporti empatici. Si esprime con un linguaggio che non è soltanto verbale, ma è fatto di tanti altri strumenti di comunicazione, oggi dolorosamente compressi. Viviamo nel chiuso delle nostre case, abbiamo quasi azzerato le nostre uscite: ed è giusto così. Però ci manca “la vita di prima”: gli incontri, la spensieratezza di una partita a calcetto, gli abbracci per manifestare l’adesione alla gioia e al dolore altrui. Matrimoni e feste senza invitati, funerali senza partecipanti. Piccoli momenti di una vita quotidiana vissuta in maniera corale dalla comunità che oggi, per il forzato disimpegno dai propri doveri, per il distacco dalla propria natura, appare sfilacciata. </div><div>Tutt’intorno si avverte un deprimente tanfo di decadenza, accompagnato dall’apatica rassegnazione ad una realtà che si immagina asfittica per chissà quanto ancora. In queste condizioni, serve molto coraggio per puntare una fiche sul tavolo verde del futuro, per fare progetti, per coltivare una visione di lungo periodo, per tirare fuori dai cassetti i sogni e farli volare. </div><div>Siamo diventati fragili e precari, la paura del domani è un freno a mano tirato che pietrifica. Tutto sembra essere stato messo in pausa. Si vive ripiegati su sé stessi: in attesa di tempi migliori, si dice quasi giustificandosi. Ma i tempi migliori arriveranno mai, se non saremo noi a creare le condizioni affinché possano maturare, invece di restare inerti? La rassegnazione e la demotivazione sono patologie degenerative, che vanno combattute con forti dosi di passione e di creatività.
Deve passare la nottata. Eppure l’alba arriva prima, o almeno se ne ha questa incoraggiante percezione, se si corre incontro al sole. Se si ricomincerà dalla bellezza della vita, che è sempre a portata di mano e che può dare un indirizzo anche a questo tempo in bilico.
</div>Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-77264639653864701182020-10-04T20:37:00.000+02:002020-10-04T20:37:30.374+02:00Ciro Meravigliao<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDCPS-r56IXZb2fhOH9kZfagDGRCoFDd2TpazAu04fJTy7Vj9VGXPHlGZr2sRh9k2WtwFjOWTFrSeenH9EsMVSE21nZvQhEvFCvrpUvpduYQbLeJXImqy2WqWkNigVhT_7jEVOeLfEIwM/s310/120842875_1755219697977444_2587497078398738325_n.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="288" data-original-width="310" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDCPS-r56IXZb2fhOH9kZfagDGRCoFDd2TpazAu04fJTy7Vj9VGXPHlGZr2sRh9k2WtwFjOWTFrSeenH9EsMVSE21nZvQhEvFCvrpUvpduYQbLeJXImqy2WqWkNigVhT_7jEVOeLfEIwM/s0/120842875_1755219697977444_2587497078398738325_n.jpg" /></a></div><br /><p></p>
Mi chiamo Ciro e dei miei sessant’anni ho poco da salvare. Nel posto dove vivo da quattro anni c’è gente che va e gente che viene. Con i nuovi arrivati costruisco un fragile castello di amicizia, che crollerà quando andranno via. Ci ricorderemo per qualche tempo, poi i nostri cuori precari continueranno a battere ognuno per conto proprio, come se non ci fossimo mai conosciuti. E pensare che trascorriamo diverse ore insieme, quelle che ogni giorno ci vengono concesse al di fuori delle nostre celle, nel cortile o nella saletta. Un paio, quattro o anche cinque, in base all’umore. Ché a volte non hai tutta questa gran voglia di parlare, di ascoltare sempre le stesse parole. Già, le parole. Alla fine le dimentichi: a forza di discutere continuamente di processi e di procedure, i vocaboli della quotidianità familiare diventano un’immagine sfocata, che si fa fatica a recuperare dal pozzo scuro dell’anima. <div>Per i miei compagni sono Ciro Meravigliao. Una vita fa, con il pallone me la cavavo bene. Anche oggi, nel giorno in cui ci portano nel campo di gioco, faccio la differenza. In quelle due ore, con la testa voliamo altrove: corriamo come ragazzini spensierati, sbattiamo le nostre ali ferite come farfalle gaie nello spazio libero. Poi, è andata male: cioè, non lo so se è andata male o se sono stato io a farla andare male. Fatto sta che, da questi posti, entro ed esco da quando avevo quindici anni. A Napoli diciamo “magnate o’ limone” ed io ne ho mangiati tanti nella mia vita. Ormai non mi fanno più effetto. Quel sapore aspro è parte di me, smorfia nascosta di una vita consumata, come gli occhi chiari o i capelli che mi ostino a tenere lunghi, nonostante siano diventati grigi e radi. </div><div>Ho talmente tante cose da fare, che a volte il tempo non mi basta, anche se non rinuncio mai alla partita di Burraco e alla soap opera “Un posto al sole”. Sono infatti un lavorante, una figura che non ha il prestigio degli addetti alla cucina o dello spesino, ma che vale più del barbiere e del bibliotecario ed è pur sempre una spanna sopra il resto della massa indistinta. Lavo per terra, nella sezione e negli uffici; carico la lavatrice; faccio il “postino” da una cella all’altra quando ci si divide il cibo o il giornale. Insomma, mi sposto per la sezione con una certa libertà e resto fuori dalla mia cella più degli altri. Tutti mi vogliono bene e mi porgono un caffè o qualcosa da mangiare. Quando mi è possibile, ricambio con i guanti monouso che qua non si possono acquistare, anche se devo stare attento. Se vengo beccato da qualche guardia, mi tocca un rapporto disciplinare, quindici giorni di isolamento e la perdita del lavoro. Perché per loro è normale che si debba utilizzare la candeggina e lavare il cesso a mani nude. Per me, non lo è. Come tante altre cose, che accadono e sulle quali ho smesso di farmi domande dopo il consiglio di un anziano, decenni fa: «Non chiederti dov’è la logica, perché qua dentro niente ha una logica». Se ce l’ha, è sadica come le parole riportate sul quadrante dell’unico modello di orologio che ci è consentito tenere, dopo averlo acquistato dalla lista della spesa: “Libero” e “Tutto passa”. </div><div>Da pochi giorni ho come dirimpettaio di cella un ingegnere che si è subito dimostrato molto gentile. Gli ho chiesto se era disposto a darmi ripetizioni di matematica ed ha accettato ben volentieri. Quando mia figlia frequentava la scuola elementare, spesso mi chiedeva di aiutarla a fare i compiti, ma io non ne ero capace perché non sapevo fare nemmeno una “O” con il bicchiere. Ora ho una nipotina che, quando finirò di scontare la pena, andrà a scuola: ecco, non vorrei ritrovarmi nella stessa situazione e credo che l’ingegnere potrà darmi una grossa mano. Imparo le tabelline e il giorno dopo le dimentico, ma lui ha molta pazienza. Ricominciamo daccapo e già riesco a svolgere benino qualche operazione, espressioni semplici. Lui stesso mi ha detto che c’è un suo amico bravo a scrivere e ne ho approfittato per prendere pure lezioni di grammatica, sintassi e ortografia. Vorrei essere in grado di mandare a mia moglie una lettera appena appena corretta, ma non so se mai ce la farò. Ho capito quando la “e” va accentata, quando mettere l’acca e quando no, però con il dettato ancora non ci siamo. I miei due professori stanno sempre insieme, nel cortile e nella saletta, dove per mezz’ora a testa si dedicano a me. Chi arriva per primo attende l’altro, come vecchi compagni di liceo naufragati e aggrappati allo stesso legno. Chissà se resteranno qua per tutto il tempo che mi sarà necessario.
</div>Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-25778496913849777942020-09-26T23:54:00.001+02:002020-09-26T23:54:25.370+02:00Forza Peppe<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0x4umBvO5RgIdgwZ6mp2hiS889qWiNGCBORF5LjvsdKXjrtTzbG09aIfiDTowocVYDICJebEQIKphpPZim7tc8z9kcJ6pSNrebKFObzTlfXiIL4UGq_DKLT8A_5gWvDxvWh05fNYss64/s609/120291433_1747728282059919_162757262477717960_n.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="609" data-original-width="581" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0x4umBvO5RgIdgwZ6mp2hiS889qWiNGCBORF5LjvsdKXjrtTzbG09aIfiDTowocVYDICJebEQIKphpPZim7tc8z9kcJ6pSNrebKFObzTlfXiIL4UGq_DKLT8A_5gWvDxvWh05fNYss64/s320/120291433_1747728282059919_162757262477717960_n.jpg" /></a></div><br /><p></p>
Perché proprio a te, Peppe? Perché? Me lo sono chiesto dentro quella chiesa vuota di te. Di te che c’eri sempre, ogni anno, per la ricorrenza dei santi Cosma e Damiano: i santi medici, i santi delle guarigioni. Non sono riuscito a darmi una risposta, come mi succede con tante altre domande ultimamente. È un 2020 di interrogativi angoscianti e dentro ci sei finito pure tu, tuo malgrado. <div>Penso che sia ingiusto, ma poi chi lo sa più cos’è che non dovrebbe mai accadere. Accade e basta, come un fulmine scagliato da un dio malvagio che brucia ogni cosa, anche le scarne convinzioni di un tempo. E quando colpisce, la vita cambia in un attimo. </div><div>Viviamo insieme a te questo tempo sospeso, in apnea, accostandoci al mistero della vita in punta di piedi, senza fare rumore. Come te, che hai sempre vissuto delle tue piccole e semplici cose: quelle che, in fondo, sono le uniche a contare qualcosa in questo caravanserraglio. Passi silenziosi che fanno rumore proprio quando si bloccano. </div><div>Il Paese Vecchio è un microcosmo dentro un microcosmo. Lo era in particolare negli anni della tua infanzia: concentrato tra il Calvario, la piazza e la Matrice, l’orfanotrofio e la chiesa, la scuola elementare. Già, la scuola elementare con i suoi mitici maestri, dei quali ancora si parla con affetto e riverenza. Gli anni del maestro unico e del saluto della classe in piedi, della preghiera e dei giochi dei mimi o dell’elastico, del pigiama indossato sotto la tuta per stare più caldi, delle merende divise con i compagni di classe, del refettorio e del dolce preparato per i bambini dalla moglie del bidello, della condivisione di gioie e dolori, come in un’unica grande famiglia. Dove sono finiti tutti quei bambini? Dove siamo finiti? </div><div>E cosa fai ora, tu che macinavi chilometri a piedi o in bicicletta? Eppure “c’è un’altra salita da fare”, ci sono “cento e più chilometri alle spalle e cento da fare”. Ci sono i tuoi genitori da assistere, come hai sempre fatto. Ricordi? Ti chiamavamo “Peppe due chilometri”, perché la distanza della tua abitazione dal liceo era tanta: tu la percorrevi ogni mattina a piedi ed eri il più puntuale di tutti. </div><div>Sai, tempo fa avevo deciso di intervistare tuo padre, uno dei pochi che ricorda la Varia che si organizzava a Sant’Eufemia. Grazie ad un amico comune ero riuscito a fissare un incontro che poi non c’è stato. La vita è così: quando ti sembra che vada da una parte, svolta all’improvviso. </div><div>Però spero di riuscire a raccoglierla questa testimonianza, a patto che tu sia presente. </div><div>Ad ogni notte segue il giorno, ad ogni temporale la schiarita: ti aspetto.
</div>Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-76929744608519618692020-09-19T20:48:00.001+02:002020-09-19T20:48:27.417+02:00Tito Fedele: Ricordanze e riflessioni<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh29a7qQw33mWfSGR-U0WHi7RwKFHAGFJJK1QcTpMjm_TKiNOqgpLRk4NEaAxAXDuj4njbzdOdUyXIz0JXdsQuSyi-tiEYlyLSzGMM9daTMcwJRxqdgbhd9AZcOKiHdVd_-njVbWeX3ITI/s1300/119938062_1741258962706851_2654126945982835450_o.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1300" data-original-width="900" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh29a7qQw33mWfSGR-U0WHi7RwKFHAGFJJK1QcTpMjm_TKiNOqgpLRk4NEaAxAXDuj4njbzdOdUyXIz0JXdsQuSyi-tiEYlyLSzGMM9daTMcwJRxqdgbhd9AZcOKiHdVd_-njVbWeX3ITI/s320/119938062_1741258962706851_2654126945982835450_o.jpg" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><i><span style="font-family: "Times New Roman",serif;">La mia prefazione alla ristampa del libro di Tito Fedele: Ricordanze e riflessioni (2020)</span></i></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">A
cosa servono i ricordi? Qual è la loro natura? Perché nascono e si incastonano
nella mente, a volte sfidando anche la nostra stessa volontà? Se ha ragione
Cesare Pavese nel considerare che delle nostre vite ricordiamo gli attimi, non
i giorni, può rivelarsi utile imitare il clown di Heinrich Böll e farne “collezione”.
È ciò che fa Annunziato Fedele in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ricordanze
e riflessioni</i>, compiendo un’operazione che non sempre cede al rimpianto,
nemmeno quando prevale la nostalgia per persone, luoghi, storie lontane.</span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Esiste
una sottile distinzione tra questi due sentimenti. Il rimpianto è causato da un
passato che opprime, un passato che è ancora presente perché avremmo voluto
fare qualcosa e vi abbiamo rinunciato o perché abbiamo compiuto un’azione che,
nel presente, consideriamo un errore. La nostalgia può invece avere anche un’accezione
positiva, nonostante la sua etimologia (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">nostos</i>:
ritorno; <i style="mso-bidi-font-style: normal;">algos</i>: sofferenza) indichi –
ad esempio in Milan Kundera – il dolore suscitato dal desiderio inesaudito di “ritornare”
ad una condizione di felicità perduta. È il caso dei ricordi piacevoli, che
provocano uno stato d’animo di serenità interiore. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">I
ricordi e le riflessioni di Fedele confermano l’immagine popolare, strettamente
connessa alla molteplicità dei rapporti interpersonali che comporta lo
svolgimento della professione di “medico di paese”, di un uomo dal vasto sapere
e dalla grande umiltà. La familiarità con la quale riesce a “colloquiare” con gli
scrittori classici conferisce alla sua formazione la solidità delle radici nodose
e robuste di quei vecchi ulivi più volte richiamati nel libro. Letture
preziose, certamente favorite dalla presenza, in casa, della fornitissima
libreria appartenuta allo zio sacerdote: tomi “pergamenati”, testi sacri, libri
di storia e di diritto ecclesiastico, grandi classici e poeti latini minori. Ma
anche Shakespeare, Goethe, Hugo: raffinatissimo il rimando a <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I miserabili</i> per descrivere la malattia
che in gioventù lo tiene “stretto come Jean Valjean quando cadde in mano ai
vili Thenardier”. </span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">I
riferimenti letterari di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ricordanze e
riflessioni</i> impreziosiscono i ricordi di Fedele rivestendoli di un’aurea nobile,
così come i ricorrenti “intermezzi musicali”, dotte citazioni da musicofilo con
la passione per le sinfonie dei grandi compositori, ereditata dal padre. Quel
padre che suona il violino in chiesa e che si diletta a pizzicare le corde del
suo mandolino per i figli raccolti attorno al braciere, la sera dopo avere
consumato la cena. Spesso sono proprio le melodie del grammofono a mettere in
moto la macchina dei ricordi, a fare da sottofondo musicale alle conversazioni
dell’autore con la propria anima e con la vita fuggita, a illuminare i visi degli
amati congiunti. </span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">I
ricordi di Fedele sono istantanee che fissano sul foglio immagini suggestive,
paradigmatiche della realtà eufemiese nella prima metà del XX secolo. Una
società rurale composta da uomini e donne semplici che vivono all’interno di un
sistema produttivo di pura sussistenza, fondato per lo più sull’autoconsumo e nel
quale il baratto svolge ancora una funzione economica rilevante. Quella in cui
Fedele nasce e cresce è la Sant’Eufemia della ricostruzione avvenuta dopo il
terremoto del 1908, caratterizzata dall’urbanizzazione degli anni Venti e
Trenta nell’area denominata “Pezzagrande”, che però mantiene il centro
propulsore nel vecchio sito (Paese Vecchio o Vecchio Abitato), dove continua a
risiedere il ceto storicamente dominante sotto il profilo culturale, politico
ed economico. Un universo popolato da gente umile, scomparsa tra le pieghe del
tempo, i cui “racconti costituivano meravigliose pagine di inedite storie”. Agricoltori,
pastori, lavoratori a giornata, calzolai, sarti, falegnami e artigiani che oggi
sopravvivono nei racconti di Nino Zucco e nella memoria collettiva. </span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Sono
tempi di stalle, di asini e di muli: tempi di mercanti provenienti dai paesi
ionici della provincia reggina che pernottano a Sant’Eufemia, per poi ripartire
all’alba. Molte famiglie vivono nelle baracche senza acqua, prive di corrente
elettrica e dei servizi igienici. L’alimentazione è povera, la carne quasi
sconosciuta, mentre molto praticata è la tecnica dell’essicazione degli
alimenti. I fratelli piccoli ereditano gli indumenti dei fratelli più grandi,
ma può anche capitare che un cappotto passi dal figlio al padre. La mortalità
infantile è alta, così come il tasso di analfabetismo. La vita dei contadini è
duro lavoro dalla mattina alla sera, quando – scrive il poeta eufemiese
Domenico Cutrì – “seduti scalzi sull’acciottolato/ davanti alla porta di casa/
farfugliavano nel vuoto/ aspettando pensierosi il domani/ per chi riusciva a
vederlo”: loro unico svago, la cantina nei giorni di festa. Le donne sono
raccoglitrici di olive (“partivano molto presto la mattina, silenziose, mobili
ombre nel buio della notte”), braccianti agricole che a casa devono anche
badare a nidiate di figli affamati e sporchi. </span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">In
questo contesto socio-economico vanno inseriti i “brevi scritti” di Fedele, nei
quali le vicende familiari assurgono a paradigma della storia di un’intera
comunità. Nel libro scorrono i volti di congiunti e di conoscenti; si avverte
il respiro di un secolo trascorso troppo rapidamente, che induce alla
malinconia. Un po’ quel che accade leggendo i titoli di coda di un film che
affascina e che si desidererebbe non finisse mai: si vorrebbe riavvolgere il
nastro per farlo ripartire ancora, dall’inizio. Allo stesso modo, al tramonto
della propria esistenza, Fedele rimette in ordine pensieri, ricordi e persone che
hanno accompagnato il suo cammino, affinché volti e fatti siano cornice pregiata
del suo testamento spirituale: “gli anni seguirono agli anni, innumerevoli
tramonti ed altrettante aurore”. </span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Ricordanze e riflessioni</span></i><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">
si compone di tre parti, che hanno come filo rosso l’attenzione bozzettistica
dell’autore, la precisione nella descrizione di paesaggi, colori e voci della
natura, sui quali posa uno sguardo indulgente e paterno. O delicato, come
quando “dipinge” l’amata dimora, edificata negli anni Trenta sopra i ruderi di
un’antica abitazione patrizia distrutta dai terremoti succedutisi nel tempo a
Sant’Eufemia. </span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Colpisce
l’incastro del registro lirico con quello scientifico, che spesso convivono senza
stonare. Il linguaggio letterario, elegiaco e a tratti raro, caratterizzato da
un ampio ricorso alla figura retorica della similitudine, richiama lo spirito
di Omero, Virgilio, Lucrezio, Euripide, Eschilo, Tacito, Esiodo, Ovidio e di tutti
i grandi classici latini e greci. Così, il mare viene presentato come il “ponto
profondo” del mito greco e, per descriverlo, Fedele declama un repertorio inesauribile
di aggettivi qualificativi. A volte, è la stessa costruzione della frase a
riprodurre lo stile latino, in particolare nella posizione del complemento di specificazione,
posto dinanzi al sostantivo: “i cui rami pendenti lambivano del fiume le acque
loquaci”.</span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">L’Arcadia
di Fedele ha i suoni e i colori di “Campanella”, che egli paragona alla Pieria:
il luogo della mitologia greca dove, secondo Esiodo, furono generate le Muse. La
“ridente conca” nella quale il genitore costruisce una piccola casa, che
diventerà la residenza estiva della famiglia, è il suo posto delle fragole, il
luogo incantato della sua spensierata fanciullezza. </span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Tra
la nebbia del tempo prendono forma e si fanno largo, squarciandola, le figure
dei propri cari. Il padre scampato al terremoto del 1908 soltanto perché alle
5.20 di quell’infausto 28 dicembre era già uscito di casa per recarsi negli
uliveti. La madre, originaria di Bagnara Calabra e figlia di un capitano di
lungo corso morto durante un viaggio verso l’Argentina. I fratelli: Nino, nella
seconda guerra mondiale tenente pilota e subito dopo emigrato negli Stati
Uniti, dove si afferma come critico musicale per “Il progresso italo-americano”,
il più diffuso quotidiano statunitense in lingua italiana nel Novecento. Mimì,
che sul fronte greco-albanese contrae una malattia pleuropolmonare che presto lo
porterà alla morte. Diego, più volte sindaco di Sant’Eufemia tra gli anni
Sessanta e gli anni Ottanta, con il quale ha un rapporto di affetto
particolare, definito dal ricorso alla similitudine con i Dioscuri: “Forse,
nell’infinito spazio percorrendo le eterne vie degli astri e delle comete, ci
accosteremo, brillando, con smarriti occhi, ai luoghi dove transitò, con la
durata di un sogno, la nostra vita, dove fuggirono le nostre stagioni”.
Celestina, che muore tra le sue braccia (“ho poggiato la mia mano sinistra
sulla tua fronte e la destra sulle tue mani diafane, per far fluire in te un poco
del mio calore e della mia stessa vita”). Sarino, con il quale da adolescente scavalca
la cinta del cimitero per portare fiori sulla tomba di Mimì. Marietta,
“modellatrice fine di antica oggettistica muraria dal sinistro aspetto”.
Ancora: lo zio Diego, “abile oratore” e podestà in epoca fascista: è lui, nel
1926, il gran cerimoniere dell’inaugurazione del nuovo palazzo comunale e
dell’acquedotto, alla presenza del gerarca e deputato di origine paolana
Maurizio Maraviglia, al quale viene conferita la cittadinanza onoraria; lo
scrittore, pittore e scultore Nino Zucco; il pittore Carmelo Tripodi e il
figlio Domenico Antonio, che “dipinge pure il soave” poiché è riuscito a
trasferire sulla tela i versi della Divina Commedia; Francesca, ragazza di
umilissime origini accolta in casa che, dopo la morte, viene tumulata nella
cappella di famiglia.</span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Le
riflessioni di Fedele toccano gli arcani temi dell’esistenza, gli interrogativi
che gli uomini si pongono, spesso senza riuscire a darsi una risposta, sin
dalla notte dei tempi: contemplando la volta celeste o rimanendo incantati
davanti alle innumerevoli prove della perfezione del creato. Soltanto il mito e
la Bibbia (“ambedue storie sacre”) sono in grado di dare risposte al mistero
della vita e della morte, a rassicurare sull’esistenza dell’Aldilà, dove sarà
possibile rivivere in eterno i momenti felici della vita terrena. </span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">I
pensatori dell’inizio della civiltà alleviano la sete di conoscenza, stimolata
dalla consapevolezza dei limiti che gravano la condizione umana come pesante e
intollerabile fardello. Un esercizio emozionante e crudele nello stesso tempo,
che però consente all’autore di visitare le dimensioni più intime e arcane dell’esistenza
umana. Ad esempio, quella onirica: il sogno è il luogo dell’incontro metafisico
con i defunti, che si materializzano portando con sé messaggi che Fedele si
sforza di interpretare. E se la figura del padre svanisce come l’anima di
Patroclo alla vista di Achille, gonfi di lacrime sono gli occhi dei pazienti
che, da lontano, scrutano il loro vecchio medico curante. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">I
ricordi tengono insieme tutto: passato e presente, il senso stesso della vita.
Riscattano l’uomo dalle sue miserie quotidiane e lo elevano a un piano di
eternità. Quei ricordi che – ci insegna Enzo Biagi – sono la nostra fortuna,
perché contengono tutta la bellezza del mondo. </span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Ecco
la ragione per la quale è necessario conservarli con cura e tramandarli:
affinché non svaniscano come le stelle alle quali Fedele li paragona, puntini
luminosi posti al di sotto della costellazione di Andromeda che nel volgere di
poco tempo si dissolvono nel mare. </span></p>
<p style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;"> </span></p>
<b></b><i></i><u></u><sub></sub><sup></sup><strike></strike><br /></div><b></b><i></i><u></u><sub></sub><sup></sup><strike></strike><br />Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-5048919757261049282020-02-11T20:09:00.001+01:002020-02-11T22:55:09.728+01:00Giornata mondiale del malato<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJ6CXVUz6rCZ6sGskF9T9GnKTOhENFKRddqDdlzTUx6xxFMoQl7_VD4MxkYkL7B3Nyz0sESowlrGq_rHyCfsWGRvfrZihSCGVbuXOiX31DjD6Y5nTllUDUOYofb119HO7ixUKLiAL35Xw/s1600/83270359_1505742102925206_5047371409353867264_n.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="591" data-original-width="768" height="246" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJ6CXVUz6rCZ6sGskF9T9GnKTOhENFKRddqDdlzTUx6xxFMoQl7_VD4MxkYkL7B3Nyz0sESowlrGq_rHyCfsWGRvfrZihSCGVbuXOiX31DjD6Y5nTllUDUOYofb119HO7ixUKLiAL35Xw/s320/83270359_1505742102925206_5047371409353867264_n.jpg" width="320"></a><br>
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Dal 1992, quando fu istituita da Papa Giovanni Paolo II, l’11 febbraio ricorre la Giornata mondiale del malato. Il tema di questa XXVIII edizione è tutto nelle parole del Vangelo di Matteo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». Papa Francesco ha invocato occhi che vedano l’umanità ferita perché capaci di guardare in profondità, occhi che “non corrono indifferenti, ma si fermano e accolgono tutto l’uomo, ogni uomo nella sua condizione di salute, senza scartare nessuno, invitando ciascuno ad entrare nella sua vita per fare esperienza di tenerezza”. Spesso sappiamo tutto di quello che succede nel mondo, ma non ci accorgiamo della sofferenza del nostro vicino di casa. E di sofferenza ce n’è tanta: basta entrare nelle case, soffermarsi, non passare oltre; lottare contro uno dei mali più gravi di questi nostri tempi: l’indifferenza.<br>
La Giornata del malato è tra le iniziative più significative che l’Associazione di volontariato cristiano “Agape” celebra ogni anno, articolandola in tre momenti. Durante la mattina sono state effettuate le visite domiciliari agli ammalati e la consegna di una statuetta della Madonna di Lourdes. Il pomeriggio è stato invece dedicato alla preghiera, sotto la guida del parroco don Marco Larosa. Presso la struttura residenziale per anziani “Mons. Prof. Antonino Messina” (alla quale l’Associazione ha donato un rosario), don Marco ha condotto la recita del Santo Rosario e impartito il sacramento dell’unzione degli infermi, alla presenza della statua della Madonna di Lourdes, portata all’interno della RSA dai volontari dell’Agape. Infine, la celebrazione della Santa Messa nella chiesa di Sant’Eufemia, conclusa con la “Preghiera per la XXVIII Giornata Mondiale del Malato”, nel corso della quale il presidente dell’Agape Iole Luppino ha ricordato i volontari dell’Associazione che non sono più tra di noi: «Signore, noi volontari Ti ringraziamo per quello che Anna, Adelina, Antonella e Marco ci hanno dato e insegnato in tanti anni di amicizia e di condivisione. Ti chiediamo che dal tuo Paradiso essi possano vegliare sulle loro famiglie e sull’Agape, di rafforzare in ogni volontario il desiderio di impegnarsi per gli altri e di risvegliare nei giovani il desiderio di scoprire la bellezza del donarsi».
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghJ4ypOZ8zSJSEKp_PrG3ayWQ-zgUeRHHxa4U5_hTVMPTJBSaJImR_An04qB1k-1PMECgmZI8zSFU_ToNXzq-E36jNnojcwDrEaGC5GQhov7_Xg_1myOAeViTZIVr2glSfp82iRqU-d8w/s1600/83690981_1505742049591878_4429405252743069696_n.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="371" data-original-width="720" height="165" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghJ4ypOZ8zSJSEKp_PrG3ayWQ-zgUeRHHxa4U5_hTVMPTJBSaJImR_An04qB1k-1PMECgmZI8zSFU_ToNXzq-E36jNnojcwDrEaGC5GQhov7_Xg_1myOAeViTZIVr2glSfp82iRqU-d8w/s320/83690981_1505742049591878_4429405252743069696_n.jpg" width="320"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwlZKRobe4gZ3TaAOUtJ0yrwntNEEg79ge-n6ZoiGKuO2948-pmxcUvYWVrXd4iWcJIIB-OAyk9RHlbLbCIk1IR7fvkkd17hHFC6F__M5yQ_q-XxSn2p1ks7Wv8HBD1yXWmzOokmIBrnk/s1600/83828712_1505742009591882_7483846621969514496_n.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="542" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwlZKRobe4gZ3TaAOUtJ0yrwntNEEg79ge-n6ZoiGKuO2948-pmxcUvYWVrXd4iWcJIIB-OAyk9RHlbLbCIk1IR7fvkkd17hHFC6F__M5yQ_q-XxSn2p1ks7Wv8HBD1yXWmzOokmIBrnk/s320/83828712_1505742009591882_7483846621969514496_n.jpg" width="181"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhemT7kd0tknbQpfuCpjG0LIqoErjJAESybKbKLkeJLHeq_u4OaksZg3TEcwxT6WVQiVFQuEhKSeRSSqCBVB4W5AupW7PjZvxAr_upE-Kqt_p89iOWULcrnQzqfZw_FAdRlb_dIhf7LWQE/s1600/84032824_1505929542906462_4622587422813716480_o.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="724" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhemT7kd0tknbQpfuCpjG0LIqoErjJAESybKbKLkeJLHeq_u4OaksZg3TEcwxT6WVQiVFQuEhKSeRSSqCBVB4W5AupW7PjZvxAr_upE-Kqt_p89iOWULcrnQzqfZw_FAdRlb_dIhf7LWQE/s320/84032824_1505929542906462_4622587422813716480_o.jpg" width="241"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzxWx0jXVx682lBB_2VCYfRjX6WH0QSofZtdq-kso-t-vZPu8GTBvwZVVS82n1asBV2S1mIJk48KiqPGPlJWCNvO3AEhN8bUBlFE6qgaP8J6UWZfkwHqnlE3LWpDMV3XrjyprVPEE36qk/s1600/84316466_1505741932925223_8701553709621968896_n.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="539" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzxWx0jXVx682lBB_2VCYfRjX6WH0QSofZtdq-kso-t-vZPu8GTBvwZVVS82n1asBV2S1mIJk48KiqPGPlJWCNvO3AEhN8bUBlFE6qgaP8J6UWZfkwHqnlE3LWpDMV3XrjyprVPEE36qk/s320/84316466_1505741932925223_8701553709621968896_n.jpg" width="180"></a>
Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-38363177737402026022020-02-08T15:45:00.000+01:002020-02-08T15:45:07.268+01:00Lettera ai vertici di Poste Italiane<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihNPYGN6egQGj2kchDURA9FfnR-s6c7tJfOG2Y7RZu27AxOY9H-JyDNO5giCR3SVjBpnfSx5E193ttG2e6uoLieRJExNu6Flpu5AbLEGKKQlviDrlcV5tVDJASJqyse9Mz6t66BvN3Y9g/s1600/Gazzetta_del_Sud+8+febbraio+2020.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="591" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihNPYGN6egQGj2kchDURA9FfnR-s6c7tJfOG2Y7RZu27AxOY9H-JyDNO5giCR3SVjBpnfSx5E193ttG2e6uoLieRJExNu6Flpu5AbLEGKKQlviDrlcV5tVDJASJqyse9Mz6t66BvN3Y9g/s320/Gazzetta_del_Sud+8+febbraio+2020.jpg" width="197" /></a><br />
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Sulla Gazzetta del Sud di oggi, la mia segnalazione a Poste Italiane del disagio patito dall’utenza di Sant’Eufemia a causa dell’elevato numero di operazioni svolte quotidianamente dall’Ufficio, a fronte della presenza di due soli sportelli, attivi con turni di lavoro antimeridiani. Ho scritto alla direzione centrale Risorse Umane Organizzazione e Servizi di Roma, a quella per il Sud di Napoli e a quella di Reggio Calabria. Ho chiesto pertanto l’adozione di opportuni provvedimenti, in particolare l’apertura di un terzo sportello e la collocazione del “totem giallo” all’interno dell’Ufficio postale, essendo il “numerino” inidoneo allo smistamento del lavoro sulla base delle diverse tipologie di servizio richiesto dagli utenti.
Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-55343695387031556712020-02-06T21:38:00.004+01:002020-02-07T10:33:42.185+01:00Rosario Lalà <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpXUfK1zM_nyMXYupw5M_Q1FIzRfjFZd9ybLF_YnFFjGJH5HE-haYzDGxy8Sgj0WcovycbYuvUmPJMeCzY3K5WIxVgqN3I9bUsglaXoSzPXItGpgM9w1j3yvzTBqp3UfJSgcS4uJaYN-U/s1600/Lal%25C3%25A0+.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="681" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpXUfK1zM_nyMXYupw5M_Q1FIzRfjFZd9ybLF_YnFFjGJH5HE-haYzDGxy8Sgj0WcovycbYuvUmPJMeCzY3K5WIxVgqN3I9bUsglaXoSzPXItGpgM9w1j3yvzTBqp3UfJSgcS4uJaYN-U/s320/Lal%25C3%25A0+.jpg" width="227" /></a><br />
La storia di Sant’Eufemia è fatta da tantissimi personaggi anonimi, gente poverissima e affamata che a fatica, negli anni della grande miseria, riusciva a racimolare tutti i giorni un misero boccone. Tra le due guerre e nei primi anni del secondo dopoguerra non era inusuale che nelle numerosissime famiglie del tempo si saltasse più di un pasto, o che questo si riducesse a un po’ di pane accompagnato da qualche oliva. Molto triste era poi la condizione di chi viveva da solo e non svolgeva nessun mestiere. A questi poveracci non restava che affidarsi alla carità altrui. Potrebbe sembrare paradossale, ma non lo è: in una condizione di indigenza generale, slanci di umanità alleviavano la fatica del vivere di questi sfortunati. Si divideva il poco che si aveva.<br />
Lalà (al secolo, Rosario Sabino) era “un innocuo vagabondo”. Così lo definisce Nino Zucco nell’omonimo racconto (<i>Fuoco a Diambra</i>, Bonacci Editore, Roma 1956). Un randagio senza parenti e senza un tetto, che dormiva sopra un giaciglio di “mattoni e pietre con calcinacci” in una vecchia casa terremotata. Indossava vestiti laceri, spesso sacchi rattoppati, i baffi sporchi e la barba ispida. Era letteralmente “a brandelli” e aveva i piedi spaccati dal gelo: «Sembrava che nei talloni gli avessero dato dei colpi d’accetta».<br />
Raccoglieva per terra i mozziconi di sigaretta per alimentare la sua pipa e “si nutriva con il piatto della carità umana”, oppure con la frutta che rubava negli orti. Quando poi la fame diventava troppa, non disdegnava le galline morte “con il morbo”, che arrostiva nella forgia di mastro Rocco il maniscalco.<br />
Il suo era per lo più un parlare senza senso: «Non sapeva fare altro che ridere e dire parole sconnesse». Il massimo del suo divertimento era attendere alla fermata della corriera l’arrivo delle bagnarote “cariche di mercanzie, che vendevano o barattavano con olio e ortaggi”: le seguiva attendendo il momento propizio per sollevare le loro vesti esclamando: «Bella Madonna!», ma spesso finiva inseguito e picchiato dalle possenti donne del mare.<br />
Le buscava spesso Lalà. Era infatti il bersaglio preferito dei ragazzi del paese, che lo prendevano a colpi di pietra per strada oppure si introducevano di notte nel suo nascondiglio, per svegliarlo di soprassalto. Quegli stessi ragazzi che però si presero cura di lui quando si beccò la polmonite: «Rantolava rincantucciato in un angolo umido e fetido», eppure «voleva vicino i suoi ragazzi, e ad essi chiedeva un po’ di cibo e un po’ di vino, soprattutto vino».<br />
Quella volta si salvò, ma una seconda polmonite gli fu fatale. Finiva così la vita di Lalà, il cui corpo, benedetto dal parroco (“che ebbe sempre pietà di lui”), fu portato via dagli spazzini.<br />
<br />
A Lalà, tipico “personaggio” di paese, dedicò un suo componimento il poeta eufemiese Domenico Cutrì:<br />
<br />
Parivi scemu, ma scemu non eri,<br />
armenu a modu toi, tu ragiunavi,<br />
si ’ncunu ti parrava l’ascurtavi<br />
’mpocu sedutu e ’mpocu standu ’mperi.<br />
Cu eri? Chi facivi? Chi speravi?<br />
La to testa paria senza penseri,<br />
non avivi famigghia, né mugghieri,<br />
ridivi sempri e sempri caminavi.<br />
Tenivi stritta ’nmanu na cortara<br />
di crita, vecchia, rutta e nigru e lordu<br />
tu eri sempri di ’n testa a li peri.<br />
Na cosa avivi bona, lu ricordu,<br />
ca ringraziavi tantu volenteri<br />
cu ti stindiva ndi la manu ’n sordu!<br />
<br />
*La fotografia è tratta dal libro di Domenico Cutrì, <i>Cascami. Poesie dialettali</i>, Tipografia La Cartografica, Palermo 1965, p. 90 (a pagina 91, la poesia).
Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-22660649572227244472020-02-04T00:20:00.002+01:002020-02-04T07:37:15.815+01:00My long distance friend Tina e l'Agape<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAOvPu_McZTJpdTFbTe9TLqHLcabR2TxZLItOb1NQ6EDbiCXBVbvW6c6rm9q9OZnOUeDpFy3hEEfznQxEZFZH3ySmDbwCSXwswHtX-r2YoyPgMRyxTGP3X8YOxmXQnuwQ-zNC8LCqJr8E/s1600/83801122_1499584556874294_3232621111157981184_o.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="452" data-original-width="960" height="151" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAOvPu_McZTJpdTFbTe9TLqHLcabR2TxZLItOb1NQ6EDbiCXBVbvW6c6rm9q9OZnOUeDpFy3hEEfznQxEZFZH3ySmDbwCSXwswHtX-r2YoyPgMRyxTGP3X8YOxmXQnuwQ-zNC8LCqJr8E/s320/83801122_1499584556874294_3232621111157981184_o.jpg" width="320" /></a><br />
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Racconto questa bella storia per tre ragioni: perché la protagonista mi ha autorizzato a renderla pubblica; perché le belle persone vanno indicate come modelli positivi di cittadini del mondo; perché spesso i social sono un luogo dove prevale l’odio, mentre questa storia dimostra che fortunatamente non sempre è così. Puoi utilizzare un martello per attaccare un quadro ad una parete, in modo da renderla più bella; puoi utilizzare lo stesso martello per spaccare la testa a qualcuno che non ti sta particolarmente simpatico. La differenza è sostanziale e sta tutta nell’uso che di un determinato strumento viene fatto.<br />
Con Tina (Fortunata) Ciccone Sturdevant ci siamo “conosciuti” su Facebook nell’aprile del 2016, un mese dopo la pubblicazione negli Stati Uniti di “Through the Circles of Hell: A Soldier’s Saga”, la testimonianza sulla Prima guerra mondiale di Giuseppe Ciccone, suo padre. Una sorta di diario in versi tenuto in un baule fino al 1971, quando viene consegnato dall’anziano genitore alla figlia, che insieme al nipote J. Richard Ciccone (professore presso l’Università di Rochester) decide di darlo alle stampe quarantacinque anni dopo averlo ricevuto, con una traduzione inglese a fronte.<br />
Da allora siamo rimasti sempre in contatto: “keep in touch” è infatti la chiusura delle nostre email e lettere, che firmiamo “your long distance friend”. All’inizio utilizzavamo entrambi l’inglese, poi qualche volta io l’italiano e lei l’inglese, infine entrambi l’italiano.<br />
Tina è infatti nata e cresciuta a Sant’Eufemia. Ha ricordi della vita in paese e di alcuni suoi personaggi degli anni Trenta e Quaranta: ad esempio mi ha più volte scritto del dottore Giuffrè-Napoli (’u medicu da ’rrina), la cui abitazione ha frequentato. Nel 1950, raggiunge con la mamma negli Stati Uniti il padre, due fratelli e una sorella; successivamente sposa Ernest Sturdevant e dà alla luce quattro figli: Gary, Donna, Lisa e Linda. Oggi vive a Silver Spring (Maryland) ed è una nonna e bisnonna felice.<br />
Gli articoli del mio blog hanno restituito a Tina le radici, facendole anche recuperare quella lingua italiana che non utilizzava più da mezzo secolo: così mi ha scritto più volte lusingandomi parecchio, perché lo scopo principale di “Messaggi nella bottiglia” è proprio il recupero della nostra memoria storica. “Fatti di oggi, memorie di ieri” è il sottotitolo del blog: e tra i fatti di oggi ci sono anche le iniziative dell’Agape. Parlare di volontariato non vuol dire “sentirsi belli”: è un tentativo di allargare il campo, di spingere soprattutto i giovani a provare questa esperienza utile per sé e per la comunità nella quale si vive.<br />
Tina ha sempre dimostrato di apprezzare le nostre attività: talmente tanto da decidere di “dare una mano”, nonostante la distanza. Così, inaspettata, è giunta in questi giorni una donazione per la nostra associazione: «Voglio mandare un regaluccio per i bambini aiutati dall’Agape». Un assegno a nome mio, da girare all’Agape “per un programma di tua scelta”, che ha suscitato in tutti noi volontari emozione e gratitudine.<br />
Il contenuto della lettera di accompagnamento è tra i riconoscimenti più belli che abbia mai ricevuto, ma quello lo tengo per me. Grazie, grazie, grazie, mia cara “long distance friend”.
Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-44701041936877989842020-01-30T16:23:00.000+01:002020-01-30T16:23:20.867+01:00A proposito delle prossime elezioni comunali<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjshGqMKu-OKAMCy9Qct5rxMqxHAUmkwQZ15wpD3XFRQ1b8-RNbw4XchswWqKU1_D4biuqCAqswRpdU8BIwIbcGj2jOeaMcK8dJ0c6ksA46Hq54RcPQevLhEZi4poPPeuEQawOrkU6JT54/s1600/83897098_1495809747251775_4238789368581455872_n.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="636" data-original-width="720" height="283" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjshGqMKu-OKAMCy9Qct5rxMqxHAUmkwQZ15wpD3XFRQ1b8-RNbw4XchswWqKU1_D4biuqCAqswRpdU8BIwIbcGj2jOeaMcK8dJ0c6ksA46Hq54RcPQevLhEZi4poPPeuEQawOrkU6JT54/s320/83897098_1495809747251775_4238789368581455872_n.jpg" width="320" /></a><br />
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Con l’elezione del sindaco di Sant’Eufemia Domenico Creazzo a consigliere regionale, al quale auguro buon lavoro e faccio i complimenti (così come faccio i complimenti anche all’altro candidato Giuseppe Gelardi che, pur non centrando l’obiettivo, ha ottenuto un eccellente risultato), si apre inevitabilmente la partita delle prossime elezioni comunali. Sussistendo infatti causa di incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e quella di sindaco, entro sei mesi Creazzo dovrà dimettersi, dopodiché si andrà a nuove elezioni.<br />
Già lunedì, a urne ancora calde, ho ricevuto parecchi messaggi e, ovviamente, la fatidica domanda, sentita anche nei giorni successivi: «Ti ricandiderai?». Al quesito rispondo pubblicamente, con franchezza: chi sarà il prossimo candidato a sindaco, per il mio modo di intendere la politica, è l’ultimo dei problemi. Ho sempre odiato le personalizzazioni e le autocandidature. Il vero quesito, dunque, dal mio punto di vista è un altro: di questo nostro paese cosa vogliamo fare? Quanta gente c’è disposta a fare uno sforzo di generosità per mettersi al servizio della comunità e, soprattutto, di un progetto che voli alto, che tenti di scardinare vecchie logiche e dia la speranza di un’inversione di rotta anche nella quotidianità amministrativa del comune?<br />
Se non c’è il sogno, non c’è politica, ma soltanto gestione di (poco, pochissimo ormai nei comuni) potere. E io non posso esserci.<br />
Se c’è il sogno, se ci sono giovani e meno giovani innamorati di questo nostro paese che accettino di mettersi in gioco e che, soprattutto, accettino di metterci la faccia (perché, dopo, è facile lamentarsi perché “al comune ci sono sempre gli stessi”), che accettino di diventare protagonisti attivi e non spettatori disincantati della fase che si è ora aperta, allora io ci sarò.<br />
Credo di avere sempre dato prova di non coltivare ambizioni personali. È notorio che nelle passate elezioni ero disposto a fare non uno, ma dieci passi indietro, pur di arrivare ad una soluzione di lista unitaria. Cosa che allora non è stata possibile, con mio grande rammarico. Ci sarà questa possibilità? Non lo so. So però che dall’ipotesi di un progetto che sia il più inclusivo e condiviso possibile dipenderà o meno la mia presenza. A queste condizioni potrò esserci, con il ruolo che, tutti insieme, decideremo per tutti coloro che accetteranno la sfida. Tutti insieme.<br />
Ho sempre fatto politica con spirito di servizio e di lealtà nei confronti dei miei compagni di viaggio, sia quando sono stato protagonista, sia quando ho avuto un ruolo più defilato. Spirito di servizio significa che le decisioni vanno prese collegialmente: elaborazione di un programma elettorale, selezione dei candidati a consigliere, decisione su chi sarà il candidato o la candidata a sindaco (l’ordine non è casuale).
Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-956747077934210142020-01-10T18:54:00.000+01:002020-01-10T18:54:42.443+01:00La cura<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUBxjRSG9MClu6G-jaera8PFqBUES74ECnk0z5DB_QhTjw1Xhk5wko-sRmP8HUIxx_zmSj1vOLgHO_f4dFWvjU4_L3PiljGPmkh7bMoIOSB9QTawD6QuHvO9O9r7vsJroP3sEv2Yc96k8/s1600/Battiato.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="767" data-original-width="1198" height="205" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUBxjRSG9MClu6G-jaera8PFqBUES74ECnk0z5DB_QhTjw1Xhk5wko-sRmP8HUIxx_zmSj1vOLgHO_f4dFWvjU4_L3PiljGPmkh7bMoIOSB9QTawD6QuHvO9O9r7vsJroP3sEv2Yc96k8/s320/Battiato.jpg" width="320" /></a><br />
Ero poco più che un adolescente quando cominciai ad ascoltare Franco Battiato nelle musicassette EMI. All’inizio mi incuriosiva questo personaggio singolare, anche se non riuscivo a cogliere tutti i riferimenti culturali che le sue canzoni suggerivano. Mi affascinavano la profondità del pensiero e l’eclettismo di una produzione improntata sulla sperimentazione artistica. Intuivo che i suoi testi contenevano più livelli di lettura anche quando l’orecchiabilità del brano poteva trarre in inganno, come nelle celeberrime “Centro di gravità permanente” e “Bandiera bianca”. Tutto questo mi bastava: è stato il punto di partenza per entrare in mondi a me sconosciuti; mi ha suggerito letture e domande sul mondo, sugli uomini e sul rapporto con il divino.<br />
Mi è venuto in mente questo mio “incontro” con Battiato, ascoltando per caso alla radio “La cura” (album: “L’imboscata”, 1996). Con la tristezza nel cuore per le condizioni di salute che hanno determinato il ritiro di Battiato dalle scene e alimentato le voci di una misteriosa malattia che ne avrebbe intaccato le facoltà mentali. La più atroce delle condanne per chi ha cercato di spingere la mente oltre i gretti accadimenti terreni e materiali.<br />
Ho chiuso gli occhi e ho cercato di concentrarmi sui versi composti da Battiato e dal filosofo Manlio Sgalambro, per “respirarli” a pieni polmoni. Non so se “La cura”, come qualcuno sostiene, sia la più bella canzone d’amore italiana. Graduatorie di questo genere sono antipatiche. Come si fa a stabilire se sia più bella di “Caruso” (Dalla), “La costruzione di un amore” (Fossati), “Vorrei” (Guccini), “Sempre e per sempre” (De Gregori)? Si potrebbe continuare a lungo.<br />
“La cura” non è una semplice canzone d’amore. Tratta dell’amore nella sua forma più alta e universale, quella capace di elevare lo spirito e di condurre l’uomo alla scoperta della sua vera essenza, temi che Battiato ha sviluppato attraverso lo studio delle dottrine religiose orientali e la pratica del sufismo. Se il verso “tesserò i tuoi capelli come trame di un canto” è un inno d’amore, “percorreremo assieme le vie che portano all’essenza” richiama il misticismo già affrontato nel brano “E ti vengo a cercare”.<br />
Per qualcuno, l’io narrante della canzone è Dio stesso. Sarà Dio a prendersi cura dell’artista, un “essere speciale”. Lo proteggerà da paure, turbamenti, ingiustizie, inganni, fallimenti. Gli porterà il silenzio e la pazienza. Percorrerà al suo fianco le vie che portano all’essenza. Gli donerà le leggi del mondo.<br />
Mentre le parole libravano nell’aria, pensavo a Battiato oggi. Forse sofferente, forse “non presente a se stesso”: o forse, finalmente al di là del tempo e dello spazio, nella condizione di pace inseguita per tutta la vita.
Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-22537046569268994872020-01-07T13:47:00.002+01:002020-01-07T17:08:02.366+01:00Salviamo Favazzina<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQDnvoixVu6DPWURvcS7KvVxhfOr6Z-QJa0jK6g1AuIqurNYCPPWR8QHzKP4YZBOq3ElQ_1LvojJG0mXhb5fy7jKuzBM-gRyK6nI4jra71XSoF5Q0jp-yWH7fqFxz2JWsBC9N9KK2wAos/s1600/01.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="386" data-original-width="720" height="172" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQDnvoixVu6DPWURvcS7KvVxhfOr6Z-QJa0jK6g1AuIqurNYCPPWR8QHzKP4YZBOq3ElQ_1LvojJG0mXhb5fy7jKuzBM-gRyK6nI4jra71XSoF5Q0jp-yWH7fqFxz2JWsBC9N9KK2wAos/s320/01.jpg" width="320" /></a><br />
Dopo le mareggiate del 23-24 dicembre, Favazzina è uno strazio. Il mare ha travolto le sue caratteristiche e graziose spiaggette, portando via tutto. Quel che è rimasto somiglia tanto a un campo di battaglia subito dopo un bombardamento. Terra arata, rivoltata, franata. Spaccature lungo il poco di spiaggia rimasta, profonde come ferite dell’anima.<br />
Favazzina è uno dei miei luoghi dell’infanzia. A Favazzina mio padre mi ha insegnato a nuotare, quarant’anni fa. Favazzina è stata teatro delle gare di resistenza in apnea tra bambini. A Favazzina mi sono tuffato per la prima volta dagli scogli sull’acqua limpida. Gli stessi scogli che, adolescente, ho esplorato a caccia delle patelle, da staccare con il coltello e divorare subito dopo una veloce sciacquata sulle piccole onde.<br />
Tutte le estati degli anni 80 le ho trascorse a Favazzina, gli occhi felici e il sale sulla pelle, spruzzi e tuffi, gol e parate. Favazzina sono i miei fratelli e i miei cugini francesi, sarabanda giocosa con seguito di ombrelloni e borse frigo gigantesche con dentro frutta, panini e bibite. Favazzina è la Toyota Corolla di mio zio Carmelo, nello stereo le musicassette di Johnny Hallyday e Adriano Celentano per un mese di fila, mentre mia zia Gigì gli intima di andare piano non appena supera i 100 km/h.<br />
Alla fine degli anni 90, Favazzina fu per me una piacevole riscoperta, fatta insieme a tanti altri amici e a tanti bambini, ospiti dell’Orfanotrofio Antoniano di Sant’Eufemia, che per tutto il mese di luglio con i volontari dell’Associazione “Agape” accompagnavamo al mare. Una colonia estiva che per un decennio abbiamo organizzato portando a Favazzina bambini di Altamura e Napoli, ma anche disabili e ragazzini di Sant’Eufemia provenienti da nuclei familiari disagiati.<br />
Da qualche anno Favazzina mi attende a settembre, il periodo in cui preferisco andarci per lasciarmi cullare dalle onde e dal silenzio. Nella solitudine della “mia” spiaggia ho letto <i>Horcynus Orca</i> di Stefano D’Arrigo ed è stata una doppia emozione.<br />
Ora è tutto molto doloroso. La strada d’accesso è crollata e della stessa spiaggia non è rimasto quasi niente: una lingua ristretta di massi sputati dal mare. La furia del mare si è abbattuta anche sui miei ricordi di bambino, di adolescente, di adulto. Come se abbia portato via anche una parte di me.<br />
Favazzina deve continuare a vivere anche per noi, suoi innamorati. Sul sito charge.org Carmen Santagati ha promosso una petizione (“<a href="https://www.change.org/p/regione-calabria-ricostruiamo-favazzina-di-scilla-distrutta-dal-maremoto?recruiter=37964492&utm_source=share_petition&utm_medium=facebook&utm_campaign=psf_combo_share_initial&utm_term=psf_combo_share_initial&recruited_by_id=06be23c0-38c8-0130-d77b-38ac6f16cbb1&share_bandit_exp=initial-19817193-it-IT&share_bandit_var=v3&utm_content=fht-19817193-it-it%3Av2" target="_blank">Ricostruiamo Favazzina di Scilla distrutta dal maremoto</a>”), che ho sottoscritto e che chiedo di sottoscrivere ai tanti che come me amano quest’angolo di Paradiso.<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9mKwUx1OjzFjgLNdtlwFa7oCUAvGFHGa5_9VNINByRGCkNRNceSm4nakpti9ddxdLaKKFvt6-LWXm4NjbCvgzS7C38uRAlGZnwU5XLrbCuUR6AMlznP8ebg1nffcNVcB4b7W6ACtjJG8/s1600/02.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="382" data-original-width="720" height="170" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9mKwUx1OjzFjgLNdtlwFa7oCUAvGFHGa5_9VNINByRGCkNRNceSm4nakpti9ddxdLaKKFvt6-LWXm4NjbCvgzS7C38uRAlGZnwU5XLrbCuUR6AMlznP8ebg1nffcNVcB4b7W6ACtjJG8/s320/02.jpg" width="320" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgV98SZQdvMazfW6dg8L6ynH3T6SyOCBbAfbxmKaNX4DXeB1DxwiTFzuIiAa-YDOu7mL1FD8MMHuE2FNEMqtaV6kLaR5egF5kt-dLEPoZFxIfqvqN2uOnUbF12hWNybDcgYVwFWfEFcJoY/s1600/03.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="386" data-original-width="720" height="172" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgV98SZQdvMazfW6dg8L6ynH3T6SyOCBbAfbxmKaNX4DXeB1DxwiTFzuIiAa-YDOu7mL1FD8MMHuE2FNEMqtaV6kLaR5egF5kt-dLEPoZFxIfqvqN2uOnUbF12hWNybDcgYVwFWfEFcJoY/s320/03.jpg" width="320" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJW8S7iyE-gFuDfYiFhGxXDjhAwcJjp5trs63KDaxMhIxI6Ly5ER9D1wqySEQNSl7PH8q7_ohjNzgSmtDz59BHsE1TvcnQ34reePwaCCux2DAsfN1sJfdLA7GG_bB9BpFjLgLmRbbkEc4/s1600/04.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="391" data-original-width="720" height="174" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJW8S7iyE-gFuDfYiFhGxXDjhAwcJjp5trs63KDaxMhIxI6Ly5ER9D1wqySEQNSl7PH8q7_ohjNzgSmtDz59BHsE1TvcnQ34reePwaCCux2DAsfN1sJfdLA7GG_bB9BpFjLgLmRbbkEc4/s320/04.jpg" width="320" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgHZvjQNagDTfGXFQF4GO-Mo-dAam9igLlw9TIzTdwLvx57dJCI4keFohhipNqYgwvUARrKtryeXhl3lTgIxfhLTS6TAly76ma2rg7YqD1LYyMp26vAwNyNXbwhbjJsmfMo7BOC3Fg4bA/s1600/05.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="405" data-original-width="720" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgHZvjQNagDTfGXFQF4GO-Mo-dAam9igLlw9TIzTdwLvx57dJCI4keFohhipNqYgwvUARrKtryeXhl3lTgIxfhLTS6TAly76ma2rg7YqD1LYyMp26vAwNyNXbwhbjJsmfMo7BOC3Fg4bA/s320/05.jpg" width="320" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5yEHT7s_9NBatZYopRoMmkxt4DWxwnM2xTikhHo2e0k-5yIJh0vKXqZz9PS2vCexBGXflJNMj28TFs0NKNyoa5djWgNIilr_j_nnDY6w7tPhr7bjMQ2kWJU0jwVSBnMTmtEY8BpMinfc/s1600/06.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="395" data-original-width="720" height="176" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5yEHT7s_9NBatZYopRoMmkxt4DWxwnM2xTikhHo2e0k-5yIJh0vKXqZz9PS2vCexBGXflJNMj28TFs0NKNyoa5djWgNIilr_j_nnDY6w7tPhr7bjMQ2kWJU0jwVSBnMTmtEY8BpMinfc/s320/06.jpg" width="320" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisSALGww2YlJiD2ldLyFzJTI5c2VYiGgqZbgT1FZNWVCqvVklMc99CAqgVzRgqPg3fgYbGajxm5ZZgHPrPkgE3_5mUIYBgEfpJ0qsGmZMTW1MAS6avtIhod_rkxIbfuY58ITP9lXV24Ik/s1600/07.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="398" data-original-width="720" height="177" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisSALGww2YlJiD2ldLyFzJTI5c2VYiGgqZbgT1FZNWVCqvVklMc99CAqgVzRgqPg3fgYbGajxm5ZZgHPrPkgE3_5mUIYBgEfpJ0qsGmZMTW1MAS6avtIhod_rkxIbfuY58ITP9lXV24Ik/s320/07.jpg" width="320" /></a>
Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-42561828274553170282020-01-02T21:28:00.003+01:002020-01-02T21:28:58.444+01:00Mozione contro la riapertura della discarica di contrada “La Zingara”<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdTzRzpkqzRWvpfV-PZF3hIJm84AqwlMSuFSMYui8qle8nTmd74rl0J_PtLMq4FSY6xYAoli24E6d4Il-SXeTcuXpOWqfNX90o5qbOCQol59rBttdfYP0CeOQTiouXiRME20ms73ghU08/s1600/IMG_20190908_173525.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="899" data-original-width="1600" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdTzRzpkqzRWvpfV-PZF3hIJm84AqwlMSuFSMYui8qle8nTmd74rl0J_PtLMq4FSY6xYAoli24E6d4Il-SXeTcuXpOWqfNX90o5qbOCQol59rBttdfYP0CeOQTiouXiRME20ms73ghU08/s320/IMG_20190908_173525.jpg" width="320" /></a><br />
<i>La mia richiesta segue quella analoga presentata da Adone Pistolesi, del gruppo consiliare “Rinascita per Bagnara”, in occasione del consiglio comunale tenuto a Bagnara il 30 dicembre 2019 (la cui votazione è stata rinviata). Essa segue ad altre due mie azioni sulla vicenda: la prima (2 settembre 2019), la richiesta al sindaco Creazzo di “farsi promotore di un’iniziativa (un incontro o un consiglio comunale aperto) che coinvolga le realtà associative della nostra comunità e la sua popolazione, per fare il punto della situazione e per valutare quali eventuali azioni possiamo tutti insieme intraprendere per difendere il nostro territorio”; la seconda (12 dicembre 2019), una nota nella quale lamentavo che “ad oltre tre mesi di distanza questo auspicato coinvolgimento dell’opposizione, delle realtà associative e della popolazione di Sant’Eufemia” non c’è ancora stato. Ritengo che una determinazione ufficiale da parte del consiglio comunale possa essere utile e rafforzare la posizione di contrarietà alla riapertura della discarica espressa dal sindaco Creazzo in diverse circostanze</i>.<br />
<br />
Al Presidente del Consiglio comunale
di Sant’Eufemia d’Aspromonte<br />
<br />
<u>Mozione</u>: Richiesta di inserimento, come punto all’ordine del giorno del prossimo consiglio comunale, di una mozione contro la riapertura della discarica in contrada “La Zingara”, nel comune di Melicuccà<br />
<br />
Premesso<br />
che
con una nota stampa del 2 agosto 2019, il Settore rifiuti della Regione Calabria ha comunicato la volontà di riaprire entro 24 mesi la discarica di contrada “La Zingara”, ricadente nel comune di Melicuccà, ma confinante con Sant’Eufemia d’Aspromonte e con Bagnara Calabra;<br />
tra la popolazione e gli operatori economici del territorio ha generato molta preoccupazione il dissequestro della discarica, permanendo forti perplessità circa l’impatto negativo che la stessa, situata alle porte dell’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte, avrebbe sotto il profilo ambientale, turistico ed economico;<br />
già in anni abbastanza recenti le popolazioni locali hanno manifestato la propria contrarietà, mettendo in campo diverse iniziative di protesta che portarono al sequestro della discarica stessa;<br />
è necessario mettere in campo una serie di iniziative conseguenti, con il coinvolgimento della popolazione, delle associazioni del territorio e delle amministrazioni dei Comuni limitrofi<br />
Chiedo<br />
l’inserimento, come punto all’ordine del giorno del prossimo Consiglio comunale, di una mozione contro la riapertura della discarica di contrada “La Zingara” di Melicuccà.<br />
<br />
Il Consigliere comunale
Domenico Forgione – “Per il Bene Comune”<br />
Sant’Eufemia d’Aspromonte, 31 dicembre 2019
Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-85573504694294682472020-01-01T11:54:00.000+01:002020-01-01T11:54:06.660+01:00Buon 2020 <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAYb8JljPNWGV_0aISvrP21pOuzO4WJMVd4HGoDZwjGjdRb3y57Qa9c9g-zZekDZ7vFWqeGPOlMng3LF-RhIbUZbAbMK6AkG4TBGxV_Gd1ym4KIG6oW4Embom4aU3MR4e_D11eBcNwC30/s1600/c415bf63-951a-49c1-ba9e-5b3869fd27fc.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="440" data-original-width="660" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAYb8JljPNWGV_0aISvrP21pOuzO4WJMVd4HGoDZwjGjdRb3y57Qa9c9g-zZekDZ7vFWqeGPOlMng3LF-RhIbUZbAbMK6AkG4TBGxV_Gd1ym4KIG6oW4Embom4aU3MR4e_D11eBcNwC30/s320/c415bf63-951a-49c1-ba9e-5b3869fd27fc.jpg" width="320" /></a><br />
<br />
Buon anno<br />
a chi non ci sperava<br />
a chi vede il bicchiere mezzo pieno<br />
a chi stringe forte quando abbraccia<br />
a chi si prende cura degli altri<br />
a chi rispetta la natura<br />
a chi non odia<br />
a chi fa collezione di attimi<br />
a chi canta sotto la doccia<br />
a chi singhiozza nel buio di un cinema<br />
a chi ripensa al finale di un romanzo<br />
a chi crede in qualcosa<br />
a chi non smette di cercare<br />
a chi ama<br />
a chi corre per strada<br />
a chi danza sotto la pioggia<br />
a chi si commuove guardando le stelle<br />
a chi si fa cullare dal silenzio<br />
a chi trattiene il fiato<br />
a chi fa sogni colorati<br />
a chi tenta la giocata di tacco<br />
a chi beve in compagnia<br />
a chi si ribella<br />
a chi trova una ragione per sorridere<br />
a chi pianta un seme<br />
a chi resiste e vive, vive e resiste.
Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-36471348451147900292019-12-25T10:47:00.000+01:002019-12-25T10:47:03.110+01:00Buon Natale<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkBKVx9j57eVgXN5cQTC0NtCkYjVsfKK-dS_YwdV-rUf_J4pDE6Z-pc_naLP2LvvuWqOBGtuqHq9YMMYoZ681pfK9gXlsa-cOGYs8XyLnIPIAvqy9zeTwXCA_RENKIOVLU-kY_eThbg7Y/s1600/80698591_1460284200804330_3996752353540702208_o.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="605" data-original-width="960" height="202" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkBKVx9j57eVgXN5cQTC0NtCkYjVsfKK-dS_YwdV-rUf_J4pDE6Z-pc_naLP2LvvuWqOBGtuqHq9YMMYoZ681pfK9gXlsa-cOGYs8XyLnIPIAvqy9zeTwXCA_RENKIOVLU-kY_eThbg7Y/s320/80698591_1460284200804330_3996752353540702208_o.jpg" width="320" /></a><br />
Don Tonino Bello ci insegna che le ferite sono un’occasione speciale nella vita di ciascuno di noi, se siamo capaci di trasformarle in feritoie attraverso le quali farvi passare nuova luce. La bravura sta nel riuscire a cogliere il bagliore, nell’aprire i cuori al cambiamento che quelle ferite reclamano. E quale occasione più suggestiva della Natività? Vivere è rinascere ogni mattina, dare alla propria esistenza un senso, ricercare nuovi orizzonti.<br />
Siamo all’altezza di un impegno così gravoso? Non possiamo saperlo, ma abbiamo il dovere di provarci. Il dovere di farlo guardando al bimbo della mangiatoia. Un neonato che parla a tutti, credenti e non credenti, con la potenza del suo messaggio di pace e di amore. Contro ogni violenza fisica e morale, contro ogni forma di sopraffazione, contro ogni tentativo di comprimere la personalità altrui. Contro le volgarità, le offese, le parole che diventano clave. Contro l’indifferenza, il male peggiore di questa nostra società.<br />
La pace nasce dall’incontro con l’altro. Dalla chiusura nel recinto degli egoismi e degli interessi nasce la desertificazione dell’anima. Come in guerra: “hanno fatto il deserto e lo chiamano pace”. Le immani tragedie della storia sembrano non avere insegnato niente.<br />
Occorre uno sforzo. Non girarsi dall’altra parte, non pensare che riguardi sempre altri distanti da noi. Sentire su di sé le ingiustizie del mondo. Ricercare i volti. Spogliarsi della propria identità e indossare i vestiti dell’altro. Riconoscere la dignità ad ogni individuo che si incontra nel proprio cammino. È aberrante l’idea che anche soltanto un membro del genere umano possa essere considerato un rifiuto della società. Purtroppo accade, oggi come ieri. Ma la cultura dell’odio e dello scarto, più volte denunciata da Papa Francesco, si può sconfiggere soltanto con la solidarietà: è lei la strada capace di condurre ad un mondo più giusto.<br />
Non ci sono alibi. Viviamo in quest’oggi e con esso bisogna fare i conti, tenendo bene a mente le parole di Sant’Agostino: «Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene ed i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi».<br />
Auguri
Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8318848240695672844.post-15600176591620678882019-12-22T18:41:00.002+01:002019-12-22T21:01:50.094+01:00Il Natale di solidarietà dell'Agape <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkZvS-L1JD92eUPG7BQVfr3ztQQwStvbNoxxJ1R9vWQanDKBonBYPGDE4O7IYNMCmih_Lx0BRX5F7TepOh6PUBdkwyyMb5YVlTjq7bgllsjVA6wHoN0v2X5ZQknYa4XaP4ocGrFs3RW2Q/s1600/79869365_1457917987707618_8586028731561148416_n.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="636" data-original-width="960" height="212" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkZvS-L1JD92eUPG7BQVfr3ztQQwStvbNoxxJ1R9vWQanDKBonBYPGDE4O7IYNMCmih_Lx0BRX5F7TepOh6PUBdkwyyMb5YVlTjq7bgllsjVA6wHoN0v2X5ZQknYa4XaP4ocGrFs3RW2Q/s320/79869365_1457917987707618_8586028731561148416_n.jpg" width="320"></a><br>
<i>È iniziato ieri il “Natale di solidarietà” dell’Agape, con il pranzo presso la RSA “Prof. Mons. Antonino Messina”. Con la struttura per anziani di Sant’Eufemia, un’eccellenza nel settore, sin dalla sua fondazione abbiamo un rapporto privilegiato. È stato bello ed anche emozionante vedere che eravamo in tanti, tra volontari, parenti degli assistiti e personale della struttura, impegnati ognuno a fare qualcosa per portare un paio d’ore d’allegria. Denso di significati il presepe impersonato da due anziani della struttura e da una bambina nata pochi mesi fa. Bravissime le sei coppie della scuola di ballo Olympus, che ha aderito con entusiasmo al nostro invito. Non era un palazzetto dello sport per una delle tante medaglie vinte, ma anche ieri i giovani ballerini hanno sicuramente portato a casa una bella vittoria. Il “Natale di solidarietà” ha altri due importanti appuntamenti: le visite domiciliari domani e il veglione giorno 29. Pubblico di seguito il messaggio scritto e letto dalla volontaria dell’Agape Gresy Luppino, che con le sue parole ha saputo interpretare il pensiero di tutti noi</i>.<br>
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Cari amici, cari pazienti, caro parroco, cari collaboratori e operatori.<br>
Siamo quasi giunti al termine di questo emozionante 2019 e, come di consueto, siamo sempre abituati a tirare un poco le somme di quel che è stato di noi e della nostra associazione. Nel nostro bilancio rientrano le cose che abbiamo fatto e quelle che, magari, avremmo voluto fare ma per le più svariate ragioni non siamo riusciti a fare. Ma ci sono soprattutto le persone che abbiamo incontrato. Tra quelle persone ci siete state anche voi. Mentre scriviamo abbiamo chiaro in mente il viso di ognuno di voi, anche quello di chi è giunto al termine della sua corsa per la vita. Ci passate davanti agli occhi, uno ad uno, e per ognuno si accendono un ricordo, un sorriso e una storia che sanno di amore, che sanno di malattia, che sanno di famiglia, che sanno di affanni ma anche di tanta gioia. In ogni vostra stretta di mano e in ogni sguardo limpido, abbiamo riacquistato i valori più grandi che a volte si perdono per strada e, in ogni singolo racconto, abbiamo visto riflettersi l’immagine di qualcuno che conoscevamo bene e che vi assomigliava un po'. Vorremmo quindi dirvi Grazie: grazie perché avete riposto in noi dubbi e paure, perché ci avete affidato le vostre storie, perché ci avete insegnato a non arrenderci e a non rassegnarci. Perché per noi siete stati dei maestri e come tali ci avete insegnato più di quanto qualsiasi scuola, master o corso possano fare. Grazie perché ci avete aiutato a non perdere mai la fede e perché, consapevolmente o inconsapevolmente, la direzione spesso ce l’avete indicata voi confermandoci che nulla è facile ma niente è impossibile da superare.<br>
Grazie alla direttrice dottoressa Rossana Panarello e al personale della RSA Antonino Messina, tutti eccellenti professionisti dotati di gran cuore. Vi osserviamo con infinita ammirazione per i sorrisi e l’abnegazione con cui avete portato avanti il vostro compito, senza mai dimenticare che il paziente è prima di tutto una persona e non un numero. Grazie per i pranzi squisiti con i quali avete deliziato il nostro palato, per gli abbracci lunghissimi, per la disponibilità e per la riconoscenza che avete avuto nei nostri riguardi aprendoci le porte della vostra casa residenziale e permettendoci di amare e pregare con i vostri affezionatissimi pazienti speciali.<br>
Grazie ai piccoli e talentuosi ragazzi della scuola ballo <i>Olympus</i>, seguiti dai maestri Federica e Saverio, per avere allietato questo incontro con la loro esibizione, nella certezza che anche loro non hanno solo offerto un dono, ma l’hanno ricevuto.<br>
Grazie, infine, e di certo non per ordine di importanza, al nostro parroco Don Marco, presente alle nostre iniziative e disponibile ad ogni nostra richiesta. Attento ai bisogni della comunità e di questi uomini e di queste donne che gli rivolgono sempre sorrisi e ripongono in lui grande fiducia. Grazie per aver pregato per tutti noi e per essere stato guida e forza.<br>
Con affetto<br>
I ragazzi dell’Associazione di volontariato cristiano Agape.<br>
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href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhy5_Dmi0lnEzoTmblIV3lSPp2mKlQn32Np1IPUW7WOShI-CvTCw8N285QkT6QB_O-uqJv5S_9W0TjX8S1OjmJGh8NZlI1L2H-aM4_o5g-H_-2u-T_dxrkDV_1uez8OpfnsIe8AMyKHEGs/s1600/80035275_1457748497724567_5771890709531459584_n.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="960" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhy5_Dmi0lnEzoTmblIV3lSPp2mKlQn32Np1IPUW7WOShI-CvTCw8N285QkT6QB_O-uqJv5S_9W0TjX8S1OjmJGh8NZlI1L2H-aM4_o5g-H_-2u-T_dxrkDV_1uez8OpfnsIe8AMyKHEGs/s320/80035275_1457748497724567_5771890709531459584_n.jpg" width="320"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkxh7USqC8T8F4jOSSXmq9jbaMFCD4bS3u_v9aD6SgYZf6UPSiuPgXUthX-J8SE7L6pW7o6E7Bd-J_vq7vKRb-2m9zHH0JD3p-t7Kun_G8hBHZFUTvWUWhnWQyIyHHQ_xlRYxVhsJ-goA/s1600/80518544_1457917901040960_4870914005142601728_n.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="542" data-original-width="960" 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Il mio albero di Natale è del 1972 e arriva dall’Australia. Cinque anni dopo viaggiò verso l’Italia insieme a ciò che rimaneva degli anni vissuti nella terra “down under” dai miei genitori: tra le altre cose, tre bambini. Un alberello transoceanico, che mamma e papà avevano acquistato per festeggiare il loro secondo ed estivo Natale australiano.<br />
Anche la gran parte dei suoi addobbi solcò l’oceano, in uno dei bauli che da Fawkner, alle porte di Melbourne, riportò in Italia pure il corredo matrimoniale della ragazza dai lunghissimi capelli neri.
Ogni anno aspetta il suo momento, certo che arriverà. Qualche volta è stato tirato fuori all’ultimo momento, il 23 o addirittura il 24 dicembre. Quegli anni che non hai tanta voglia di festeggiare. Senza, sarebbe stato comunque qualcosa di definitivo e irredimibile. Meglio esserci, anche senz’allegria.<br />
Non è soltanto un albero. È il riassunto di tante vite. Una storia della quale vado fiero, ma che è possibile rileggere negli occhi di chi, in ogni angolo della terra e in qualsiasi tempo, cerca con dignità di costruirsi la speranza di un futuro migliore. È “fare e disfare… battere e levare”: la strada fatta, le corse e le frenate. Ricorda da dove veniamo e quanto sia importante non smettere mai di inseguire un sogno o una possibilità.<br />
Da quando ci sono i miei nipoti, tocca a loro sistemare luci, palline, nastri e qualche nuova decorazione. Un lungo filo rosso tenuto da più mani.<br />
Si vive di gioie talmente piccole che spesso sgusciano via silenziose. E invece soltanto di quelle ci ricorderemo, come alla fine è chiaro anche a Scrooge nel <i>Canto di Natale</i> di Dickens. Le piccole cose che riempiono la vita.<br />
Sul mio albero ci attacco i miei anni. Uno dopo l’altro. Ci appendo gli sprazzi di gioia e le nuvole di tristezza, le carezze di chi c’è e quelle di chi non c’è più.<br />
Le sue lucine sono desideri che si accendono e si spengono. Tanti inseguiti e altrettanti abbandonati, seguendo l’umore dei momenti vissuti o lasciati andare. Vicini o lontani. Vicini e lontani.
Domenicohttp://www.blogger.com/profile/02906004585630929213noreply@blogger.com0