I fatti sono ormai noti. Il grugnito di Calderoli, che dà dell’orango al ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge, in seguito derubricato dall’esponente leghista a battuta da comizio, frasario indispensabile per sintonizzarsi con la pancia del proprio elettorato, ma da inquadrare “in un ben più articolato e politico intervento di critica” alla politica del governo sul tema dell’immigrazione e dei diritti degli immigrati.
La sollevazione del mondo politico, con la richiesta di dimissioni dalla carica di vicepresidente del Senato avanzata dallo stesso premier Enrico Letta.
La reazione della società civile, con la petizione per chiedere le dimissioni di Calderoli lanciata da Stefano Corradino e Beppe Giulietti di Articolo 21 su change.org, che in pochi giorni è già stata sottoscritta da 172.000 sostenitori.
Nulla di nuovo, verrebbe da dire. Ognuno fa il suo gioco.
Compresi i giornalisti.
La violenza delle randellate scagliate contro Lidia Ravera da Luca Mastrantonio sul “Corriere della Sera” non l’ho capita, ad esempio. Vabbè che si vive anche di urla, ma ripescare un articolo di quasi nove anni fa per proporre un’inverosimile analogia tra l’attuale assessore alla Cultura e allo Sport della Regione Lazio e l’ex ministro leghista a me è sembrato scorretto e abnorme. Oltre che falso nel merito.
Cosa sostiene infatti Mastrantonio? Che nel 2004 Ravera avrebbe paragonato a una scimmia Condoleezza Rice, sottosegretario di Stato nella seconda amministrazione Bush jr.
Se però si va a leggere l’articolo in questione, come invita a fare la scrittrice assurta alla notorietà con lo pseudonimo “Antonia”, coautrice insieme a Marco Lombardo Radice (“Rocco”) del libro cult Porci con le ali (1976), la forzatura interpretativa salta immediatamente agli occhi. Si concordi o meno con il tono molto aspro della critica all’esultanza delle femministe italiane per l’incarico affidato alla Rice (il tema era questo), di razzismo – a mio avviso – è difficile trovarne.
Lidia Ravera denuncia in sostanza la “manipolazione” e la “strumentalizzazione” operate da Mastrantonio grazie all’affiancamento delle “due paroline magiche” (donna e scimmia, quando invece la giornalista si riferiva a una donna che “scimmiotta”).
Alla replica di Ravera sul “Corriere”, Mastrantonio ha controreplicato: “Ammettere che la metafora, per lei lapalissiana, possa suonare anche ignobile avrebbe reso più credibile la sua denuncia di quanto ignobile sia l’uscita di Calderoli”. Un artificio antico e diffuso un po’ ovunque quello di riservarsi l’ultima parola.
Questi gli ingredienti della polemica, che è paradigmatica di un certo modo di fare giornalismo.
Non so a voi, ma a me l’intervento di Mastrantonio è sembrato un’entrata a gamba tesa con pallone lontano dal gioco.
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1 commento:
apprendo dal tuo post che lidia ravera è assessore a roma...dopo ripenso al gioco delle parti di pirandelliana memoria e dico...strafottetevi!!!
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