giovedì 25 aprile 2013

Piccolo spazio pubblicità

Eccolo qua!



Perché la Liberazione non sia solo una data cerchiata di rosso



Condannato, dopo diversi anni di esilio e di fuga, a undici anni di reclusione dal tribunale speciale per la difesa dello Stato, Sandro Pertini si trova nel carcere dell'isola di Pianosa quando le sue condizioni di salute si aggravano. Incitata dagli amici del figlio, la madre scrive alle autorità per chiedere la grazia, ma Pertini si dissocia immediatamente dalla richiesta con una sconfessione dai toni durissimi e carica di dignità: "mi sento umiliato - scrive Pertini - al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà": 


Mamma,
con quale animo hai potuto fare questo? Non ho più pace da quando mi hanno comunicato, che tu hai presentato domanda di grazia per me. Se tu potessi immaginare tutto il male che mi hai fatto ti pentiresti amaramente di aver scritto una simile domanda.
Debbo frenare lo sdegno del mio animo, perché sei mia madre e questo non debba mai dimenticarlo. Dimmi mamma, perché hai voluto offendere la mia fede? Lo sai bene, che è tutto per me, questa mia fede, che ho sempre amato tanto. Tutto me stesso ho offerto ad essa e per essa con anima lieto ho accettato la condanna e serenamente ho sempre sopportate la prigione. E’ l’unica cosa di veramente grande e puro, che io porti in me e tu, proprio tu, hai voluto offenderla così? Perché mamma, perché? Qui nella mia cella di nascosto, ho pianto lacrime di amarezza e di vergogna – quale smarrimento ti ha sorpreso, perché tu abbia potuto compiere un simile atto di debolezza?
È mi sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà. Tu che mi hai sempre compreso, che tanto andavi orgogliosa di me, hai potuto pensare questo? Ma, dunque, ti sei improvvisamente cosi allontanata da me, da non intendere più l’amore, che io sento per la mia idea?
Come si può pensare, che io, pur di tornare libero, sarei pronto a rinnegare la mia fede? E privo della mia fede, cosa può importarmene della libertà? La libertà, questo bene prezioso tanto caro agli uomini, diventa un sudicio straccio da gettar via, acquistato al prezzo di questo tradimento, che si è osato proporre a me.
Nulla può giustificare questo tuo imperdonabile atto.
Lo so, più di te sono colpevoli coloro che ti hanno consigliata di compierlo. Vi sono stati spinti dall’amicizia che per me sentono e dalla pietà che provano per le mie condizioni di salute?
Ma pietà ed amicizia diventano sentimenti falsi e disprezzabili, quando fanno compiere simili azioni. Mi si lasci in pace, con la mia condanna, che è il mio orgoglio e con la mia fede, che è tutta la mia vita. Non ho chiesto mai pietà a nessuno e non ne voglio. Ma mi sono lagnato di essere in carcere e perché, dunque, propormi un cosi vergognoso mercato? E tu povera mamma ti sei lasciata persuadere, perché troppo ti tormenta il pensiero, che io non ti trovi più al mio ritorno. Ma dimmi, mamma, come potresti abbracciare tuo figlio, se a te tornasse macchiato di un così basso tradimento? Come potrei vivere vicino, dopo aver venduto la mia fede, che tu hai sempre tanto ammirata?
No mamma, meglio che tu continui a pensarlo qui, in carcere, ma puro d’ogni macchia, questo tuo figliuolo, che vederlo vicino colpevole, però, d’una vergognosa viltà.
Che male ho fatto per meritarmi questa offesa?
Forse ho peccato di orgoglio, quando andavo superbo di te, che con fiera rassegnazione sopportavi il dolore di sapermi in carcere. E ne parlavo con orgoglio ai miei compagni. E adesso non posso più pensarti, come sempre ti ho pensata: qualche cosa hai distrutto in me, mamma, e per sempre. È bene che tu conosca la dichiarazione da me scritta all’invito se mi associavo alla domanda da te presentata. Eccola: “ La comunicazione, che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore, mi umilia profondamente.
Non mi associo, quindi, ad una simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più d’ogni altra cosa, della mia stessa vita, mi preme”.
Per questo mio reciso rifiuto la tua domanda sarà respinta. Ed adesso non mi rimane che chiudermi in questo amore, che porto alla mia fede e vivere di esso. Lo sento più forte di me, dopo questo tuo atto.
E mi auguro di soffrire pene maggiori di quelle sofferte fino ad aggi, di fare altri sacrifici, per scontare io questo male che tu hai fatto. Solo così riparata sarà l’offesa, che è stata recata alla mia fede ed il mio spirito ritroverà finalmente la sua pace. Ti bacio tuo Sandro.
P.S. Non ti preoccupare della mia salute, se starai molto priva di mie lettere.
Pianosa, 23 febbraio 1933

lunedì 22 aprile 2013

Il ritorno di re Giorgio

Sul suicidio politico del partito democratico, unico vero grande sconfitto nella partita incominciata con il dopo-voto di febbraio e conclusa con la riconferma di Giorgio Napolitano al Quirinale, c’è poco da aggiungere a quanto già detto in questi giorni. Il bon ton suggerisce anzi di non infierire con gli sconfitti, che ora dovranno decidere cosa fare di quel che (forse) fu un partito e che oggi – evidentemente – non lo è più. Sarebbe già il segnale di un cambio di marcia riuscire a staccarsi dall’immagine della patacca, proposta puntualmente ad ogni debacle, che produce un partito nuovo in mano alle stesse facce. Cosmesi politica pura.
Intanto, all’orizzonte si profila il governo del presidente, formula che sottintende un ruolo da protagonista assoluto per la prima carica dello Stato. Giorgio II non sarà un semplice notaio della Costituzione, ma rappresenterà il vertice politico al quale i partiti che daranno vita al già annunciato governo di larghe intese dovranno dare conto per quanto concernerà composizione, programma e timing.
L’esecutivo sarà politico perché l’assunzione di responsabilità, cui Napolitano ha richiamato gli schieramenti, passa necessariamente da una sua dimensione “politica”, nonostante la probabile riconferma di qualche tecnico del governo Monti.
Il programma, aggiustato e integrato, attingerà a piene mani dal recente lavoro dei dieci “saggi”, mentre la durata non dovrebbe superare i 12-18 mesi: d’altronde, se un governo di “salvezza nazionale” non riesce a salvare il Paese nel giro di pochi mesi, ha fallito la propria mission. Meno di due anni di tempo per cercare anche di disinnescare Grillo, mediante l’approvazione dei provvedimenti più attesi e invocati dai sostenitori del M5S (e non solo): costi della politica, riforma elettorale, riforme istituzionali.
Esaurito il mandato, l’esecutivo si farà da parte, mentre Napolitano scioglierà le Camere, indirà nuove elezioni e – subito dopo – si dimetterà.
Cosa cambia rispetto a due mesi fa? Cambiano i poteri del presidente della Repubblica, che ora sono pieni, non depotenziati dal semestre bianco. Per cui, o i partiti dimostreranno di essere capaci di fare cambiare rotta al Paese, o andranno presto tutti a casa.
Si poteva fare diversamente? Ovvio che sì. E sarebbe stato anzi auspicabile un messaggio di discontinuità e di rinnovamento. Ma, per uscire dal cul de sac in cui si era precipitati dopo i primi quattro scrutini, migliore soluzione forse non c’era. E questo spiega molto dell’imbuto in cui si sta strozzando il sistema politico italiano.

domenica 21 aprile 2013

Record Store Day con i Pink Floyd

Ieri si è festeggiata la giornata mondiale del vinile. Arrivo con un giorno di ritardo, prendendo a prestito tutte le copertine degli album dei Pink Floyd (manca il doppio album Pulse, pubblicato nel 1995 soltanto in formato cd).
Quando Luis scoprirà che ho profanato il suo tempio per me sarà la fine. Per dare un'idea del livello di sacralità: dopo che li comprò, questi album furono suonati una sola volta, per essere copiati nelle musicassette.

 

venerdì 19 aprile 2013

E anche Romano è andato

Che Prodi non ce l’avrebbe fatta al quarto scrutinio era scontato. Non ci si aspettava però – almeno non in queste proporzioni – che il risultato avrebbe consegnato un partito completamente allo sbando. L’obiettivo di compattare il partito, dare una dimostrazione di forza e presentarsi al quinto scrutinio come “un sol uomo” per cercare di forzare la mano a qualche grillino “possibilista” è miseramente fallito. Mi chiedo, anzi mi richiedo, se questi prima di presentarsi in Aula discutano e decidano sul da farsi. Perché poi ognuno va in ordine sparso; per cui, bisognerebbe almeno avere il pudore di non indicare la “posizione ufficiale” del partito, visto che non si è in grado di garantire l’esistenza di una posizione ufficiale.
Credo che per Bersani sia arrivato il capolinea; e forse anche per il Partito democratico, a meno che la dirigenza del partito non prenda atto del fallimento, vada a godersi la pensione da qualche parte (purché lontano dal Parlamento) e lasci il partito ad una nuova generazione.
Ma non credo che accadrà. Questi non vanno via neanche con le cannonate. Piuttosto cercheranno nuovamente l’accordo con il Pdl. Ora che è sufficiente la maggioranza assoluta potrebbe rispuntare Marini o D’Alema, da molti indicato come il carnefice del Pd e il regista occulto di queste elezioni presidenziali.
Però che tristezza, noi che avevamo creduto in una sinistra moderna, in un partito democratico interprete delle istanze di cambiamento provenienti dalla società e capace di guardare al futuro con fiducia. Anche se l’abbiamo fatto a corrente alternata e con molte, troppe riserve, fa male lo stesso.

giovedì 18 aprile 2013

Bye bye, Marini

Il sogno è durato dodici ore appena. Poi si è tramutato in incubo. Troppo brutto per non pensare che non fosse tutto preventivato. Insomma: ne avranno parlato alla riunione di ieri sera quelli del Partito democratico. Quindi, perché spaccare il partito? Perché fare di Franco Marini l’agnello sacrificale di questo primo giro di votazioni? Non voglio pensare che Bersani sia un fesso, né che sia così masochista da disintegrare un partito che, a questo punto, non ha neanche ragione di esistere. E quindi? L’ennesima dimostrazione che i destini e le ambizioni personali vengono prima di tutto. Prima, anche, degli interessi dell’Italia e finanche del proprio partito.
Fatto sta che con un sol colpo, Bersani è riuscito nell’impresa record di rafforzare Grillo, Renzi e Berlusconi (che ci ha fatto un figurone, lasciando sbranare tra di loro i democrats e passando – lui – per responsabile uomo di Stato). Al modico costo della distruzione del propria “ditta”. Roba da guinness dei primati.
Sia chiaro che il problema non è Marini, anche se il “patto della crostata” e la responsabilità del “lupo marsicano” nell’abbattimento del primo governo Prodi fanno parte di un curriculum non invidiabile.
Il problema è la puzza di oligarchia che spande da un’operazione sfacciatamente di vertice; il problema è la strafottenza di un ceto dirigente che se ne sbatte degli umori della base e delle proteste fuori dal Parlamento. Al solito, è insopportabile la presa per il culo.
Tutto da rifare, per dirla alla Bartali. Cosa ci sia da salvare, a questo punto, è poco chiaro. Sarebbe già un risultato accettabile riuscire a non farsi insultare.

lunedì 15 aprile 2013

La mia terna per il Quirinale

È il giochino del momento, tanto che perfino Ruzzle ha perso il suo fascino. Beppe Grillo ha addirittura indetto le “quirinarie” per scegliere il candidato che il Movimento Cinque Stelle sosterrà a partire da giovedì 18, giorno in cui inizieranno le votazioni nel Parlamento riunito in seduta comune. E pazienza se il capogruppo alla Camera Roberta Lombardi ignora il requisito anagrafico previsto dall’articolo 84 della Costituzione (compimento del cinquantesimo anno di età): “formalismi” che nell’era della e-democracy non hanno più ragione d’esistere.
Gli elettori chiamati a deporre la scheda dentro la grande cesta di vimini sono 1007: 630 deputati, 315 senatori, 58 delegati regionali (tre per regione, ad esclusione della Valle d’Aosta, cui ne spetta uno soltanto), quattro senatori a vita (Emilio Colombo, Giulio Andreotti, Mario Monti e il presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi). Nei primi tre scrutini è richiesta la maggioranza qualificata dei 2/3 degli elettori, pari a 671 voti; dal quarto scrutinio in poi è sufficiente la maggioranza assoluta (504 voti). Gli scenari prevedibili vanno dalla rapida elezione di un presidente di “garanzia”, un nominativo espressione della più ampia maggioranza possibile (Pd-Pdl-centristi e, possibilmente, qualche grillino), al presidente “di parte”, eletto con i voti del centrosinistra e il contributo di una frangia del M5S (sulla falsariga di quanto accaduto con Grasso al Senato).
Degli undici presidenti della Repubblica che si sono succeduti dal 1948 ad oggi, ho visto all’opera gli ultimi cinque: Giovanni Leone è infatti uno sbiadito ricordo in bianco e nero.
Sandro Pertini, il presidente partigiano, simpatico, iracondo, diretto: il primo capo dello Stato che dismette i panni di “notaio” della Costituzione e fa sentire alta la sua voce contro le inefficienze della politica (emblematica la vicenda del terremoto in Irpinia).
Francesco Cossiga, democristiano sui generis con qualche scheletro nell’armadio, che dopo cinque anni da burocrate diventa Externator e comincia a picconare quel sistema al quale era stato organico.
Oscar Luigi Scalfaro, eletto in uno dei momenti più drammatici della storia repubblicana (la strage di Capaci) e protagonista di un settennato molto controverso, caratterizzato dall’aspro scontro con Silvio Berlusconi.
Carlo Azeglio Ciampi (con Pertini il più amato: è stato l’unico ad avere visitato tutte le province italiane), il presidente che ha ridato linfa al sentimento di unità nazionale e di italianità.
Giorgio Napolitano, accusato ora di eccessiva “distrazione” (promulgazione leggi ad personam), ora di esorbitante protagonismo (operazione che ha portato Mario Monti a Palazzo Chigi).
Per i prossimi sette anni, la mia preferenza va a una candidatura femminile. Credo che i tempi siano maturi per affidare a una donna la carica più alta del nostro ordinamento. Tra i nomi che circolano, Emma Bonino è il nominativo sul quale potrebbero convergere voti trasversali agli schieramenti politici. Radicale, paladina dei diritti delle donne e protagonista delle più importanti battaglie di civiltà della storia repubblicana, ha carisma ed esperienza, sia nazionale che internazionale: commissario europeo, ministro del governo italiano, vicepresidente del Senato. In seconda battuta, Laura Boldrini, fresca presidente della Camera, da oltre due decenni impegnata negli scenari più desolanti e tragici del pianeta, dal 1998 portavoce dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu. Se invece dovesse sfumare la possibilità delle “larghe intese”, il partito democratico dovrebbe procedere a maggioranza. Dal quarto scrutinio tutto è possibile: anche una convergenza con il M5S su Romano Prodi, con il quale il Pd è parecchio in debito: due volte il professore bolognese ha condotto il centrosinistra alla vittoria, due volte è stato fatto fuori dai suoi. Il curriculum non si discute, mentre sul piano personale si tratterebbe di un risarcimento. Con buona pace di Berlusconi e delle sue minacce di espatrio: se il Cavaliere vuole andare, che vada pure.

sabato 13 aprile 2013

Zucco scrittore e il suo tempo




Testo del mio intervento al convegno “Nino Zucco: pittore, scultore, scrittore, cantore della memoria eufemiese”, svoltosi l’8 aprile presso la Sala del consiglio comunale di Sant’Eufemia d’Aspromonte.


Qualche mese fa avevo sollevato la questione dell’oblio ingiustamente caduto su Nino Zucco (Nessuno è profeta in patria: Nino Zucco), proprio mentre nella vicina Palmi l’artista eufemiese veniva celebrato con i dovuti onori. Non ho difficoltà ad ammettere che fino a non molti anni fa ignoravo l’esistenza di questo artista poliedrico: pittore, scultore e scrittore, come recita il titolo del convegno. Nessuno me ne aveva parlato e reperire i suoi libri è un’impresa non da poco. Nella biblioteca comunale di Sant’Eufemia se ne trova soltanto uno; per gli altri, occorre rivolgersi altrove: Palmi, Polistena, Reggio Calabria.
Il mio primo “incontro” con Nino Zucco è avvenuto sulle colonne di un quotidiano locale, grazie alla lettura di un articolo che segnalava l’organizzazione del convegno “Nel centenario della nascita: Nino Zucco, una vita per l’arte” (2010), a cura dell’associazione culturale “Le Muse” di Reggio Calabria, presieduta dal professore e critico d’arte Giuseppe Livoti. Risale invece a qualche mese fa la notizia che il figlio, Antonello, aveva consegnato all’amministrazione comunale di Palmi una ventina di opere del padre (taccuini, oggetti personali, acquarelli, grafiche, sculture).
A Sant’Eufemia, prima di oggi, il silenzio più assoluto. Riflettendo su questo, consideravo quanto fosse triste constatare come il paese d’origine di una personalità così significativa nel panorama culturale nazionale non avesse mai pensato di perpetuarne in qualche modo il ricordo. Anche soltanto procurando i libri scritti da Zucco, per custodirli presso la biblioteca comunale e metterli a disposizione della collettività. L’articolo registrò le immediate repliche di Antonello Zucco e di monsignore Giorgio Costantino (nipote dell’artista eufemiese), alle quali fece seguito l’azione dell’amministrazione comunale, che ha tempestivamente accettato la donazione di sette opere d’arte proposta da Antonello Zucco e che, in breve tempo, ha organizzato il convegno odierno.

Molto è stato detto sul valore artistico di Zucco pittore e scultore. Meno note, invece, sono le sue qualità letterarie, anch’esse di livello e apprezzate da fior di critici.
I suoi racconti, in genere ispirati dai luoghi della memoria (Diambra, Mistra, Muraglio), possono essere accostati ad alcuni bozzetti di Giovanni Verga o di Luigi Capuana, i maestri del verismo italiano. Già a una prima lettura appare evidente un tratto inconfondibile, che svela l’influenza esercitata dall’arte pittorica sullo stile narrativo. La parola si fa pennello; così come la tela diventa un foglio bianco sul quale scrivere storie vissute o ascoltate. Nino Zucco è questo: uno scrittore che dipinge e un pittore che racconta.
Il suo primo libro è Fuoco a Diambra (1956), raccolta di racconti con protagonisti alcuni “personaggi” del paese natio. Il titolo rievoca uno dei tanti incendi verificatisi nella storia di Sant’Eufemia e fornisce all’autore lo spunto per soffermarsi sulla storica rivalità tra gli abitanti del “Vecchio Abitato” e quelli della “Pezzagrande”. Una vicenda che rimanda a quanto accaduto dopo il terremoto del 1908, quando – al termine di una polemica molto aspra – fu deciso di ricostruire il paese nel nuovo rione della “Pezzagrande”, mantenendo però anche il precedente sito (da allora, “Paese Vecchio” o “Vecchio Abitato”), che la fazione più “tradizionalista” si rifiutava di abbandonare.
Il volume è impreziosito dall’autorevole recensione di Arrigo Benedetti, noto giornalista che si era formato alla scuola di Leo Longanesi, sulle pagine della rivista “Omnibus”. Proprio insieme a Longanesi e a Mario Pannunzio, altro nome di primo piano del giornalismo italiano, Benedetti aveva firmato, su “Il Messaggero” del 26-27 luglio 1943, l’editoriale che annunciava la fine del Ventennio fascista, dopo l’approvazione dell’ordine del giorno “Grandi” e l’incarico per la formazione del nuovo governo affidato da Vittorio Emanuele III al generale Pietro Badoglio. Fondatore e direttore di alcune tra le riviste italiane di maggiore successo (“Oggi”, “L’Europeo”, “L’Espresso”), Benedetti diresse inoltre “Il Mondo” e “Paese Sera”.
A proposito di Fuoco a Diambra, Benedetti scrive:

In questi racconti, tutti pervasi da una calda umanità, l’Autore, da acuto osservatore, delinea aspetti della vita del nostro tempo. Sia che rappresenti con crudo realismo personaggi della sua Calabria, sia che, portato a scrutare in profondità gli aspetti deteriori della società, ne scopra il volto più ignorato, egli raggiunge, attraverso una felice creazione di caratteri, un’efficacia descrittiva che fa dei suoi racconti un tipico e genuino esempio di narrativa moderna. Lo stile dei RACCONTI DI DIAMBRA, scarno e privo di inutili orpelli, non sconfina mai – come forse gli argomenti trattati potrebbero suggerire – nella facile retorica, ma si mantiene costantemente su un tono elevato che contribuisce a mantenere desto l’interesse del lettore.

Nel 1977 Zucco dà alle stampe I racconti di Mistra, volume che ebbe una vicenda editoriale singolare. Nello stesso anno vede infatti la luce Viaggio all’alba (sottotitolo: I racconti di Mistra), che contiene gli stessi racconti, con identiche impaginazione e numerazione delle pagine. Di fatto, lo stesso libro, pubblicato nel medesimo anno, con una copertina diversa (il dipinto dell’autore dal titolo “Tramonto”). Altra differenza, la presenza, nel risvolto di copertina, di un precedente giudizio critico dello scultore Michele Guerrisi (deceduto nel 1963), la cui bottega romana Zucco frequentò e con il quale ebbe un rapporto di profonda amicizia. Proprio al 1977 risale il lungo articolo scritto da Zucco per la rivista reggina “La Procellaria”: Michele Guerrisi: scrittore, scultore, filosofo.
Il suggestivo toponimo “Mistra” trae origine dall’omonima città del Peloponneso, dalla quale provenivano i fondatori di Sant’Eufemia, greci al seguito dei monaci basiliani che intorno al IX secolo emigrarono per sfuggire alle persecuzioni degli imperatori iconoclasti. Una delle strade più antiche di Sant’Eufemia è appunto “via Mistra”; pertanto, si legge “Mistra” (come, altrove, “Diambra” o “Muraglio”), ma deve intendersi “Sant’Eufemia”. L’autore, introducendo i racconti, osserva:

Mistra pare abbia mille anni di vita: lo si desume da alcuni atti custoditi nell’Archivio di Stato di Napoli. Mistra è un nome greco. Si vuole che i primi ad arrivare lassù e a fondare il borgo siano stati i basiliani, gli stessi monaci che pare abbiano piantato i grandi boschi di uliveti che dalle falde dell’Aspromonte degradano per colline e piani fino al mare di Medma e Locri. Mistra è situata in una di queste colline, ai piedi del monte. A nord e a sud è delimitata da orti rigogliosi e fertili che producono frutta succosa e ortaggi saporiti e teneri. L’acqua scende dalle gole dell’Aspromonte limpida e fresca. Verso l’alto, i viottoli degli orti sono coperti da fitti pergolati di uva “olivella” e “ruggia”, così chiamata perché i chicchi, grossi come noci, hanno il colore della ruggine.

Nel 1983 esce il romanzo Il Muraglio. Cronaca di ieri. Prefatore del libro è Mario De Gaudio, giornalista originario di Cosenza che fu capo del servizio esteri e redattore capo del quotidiano romano “Il Messaggero”. Esperto di questioni sudamericane, seguì le vicende del colpo di Stato di Augusto Pinochet in Cile (1973) e fu il primo giornalista occidentale a raccogliere la testimonianza della moglie di Salvador Allende, fuoruscita dal Cile subito dopo la morte del marito. Poeta e scrittore, per diversi anni presidente del Centro studi “Corrado Alvaro” di Roma, nel presentare Il Muraglio, De Gaudio annota:

Nelle sue narrazioni, Nino Zucco, con l’una e con l’altra qualità di scrittore e di pittore, ha reinterpretato i protagonisti di una umanità meridionale cruda e pertinace. Figure d’altri tempi, ma moderne per il male di vivere che li circonda, per le angosce inespresse, ma presenti nella filosofia segnata da bibliche dannazioni. Figure che sembrano uscite da una tela, dove il nero incornicia volti di donne straziate da logoranti attese di morte [e qui la mente corre, necessariamente, al quadro “Donne di Mistra”, riprodotto nella copertina dei “Racconti di Mistra” e che fa da sfondo alla locandina della manifestazione odierna]. Ma innanzi questa morte c’è lo splendore di una natura percepita in lontananza e ferma davanti ad un destino ostinatamente chiuso alla gioia.

La sintesi del profilo biografico dei critici che hanno recensito i libri di Zucco avvalora la tesi di una collocazione tutt’altro che marginale dell’artista eufemiese negli ambienti intellettuali della Capitale. Per averne maggiore consapevolezza occorre però leggere il libro Incontri, pubblicato nel 1978.
Gli incontri in questione non si riferiscono ai rapporti di amicizia più significativi e intimi che Zucco coltivò con “la meglio gioventù” calabrese trasferitasi a Roma nella prima metà del Novecento: il compositore palmese Francesco Cilea, il pittore e scultore Michele Guerrisi (nato a Cittanova), lo scultore Alessandro Monteleone (originario di Taurianova), gli scrittori Corrado Alvaro (San Luca) e Leonida Repaci (Palmi).
Incontri presenta tutta una serie di protagonisti di rilevo del circuito artistico regionale, nazionale, ma anche internazionale (si pensi agli “incontri” con il direttore d’orchestra Leonard Bernstein e con il pittore Salvador Dalì) con i quali Zucco si relazionava, restituendo così al lettore l’atmosfera culturale che Zucco respirò.
Tra i corregionali, Raoul Maria De Angelis apprezzò molto Fuoco a Diambra. Giornalista, pittore e scultore, il romanzo più famoso dello scrittore nato a Terranova da Sibari è La peste a Urana (1943), che fu al centro di una querelle per le accuse di plagio rivolte ad Albert Camus, autore qualche anno dopo del capolavoro La peste. Significativo anche l’incontro con Antonio Piromalli (originario di Maropati), uno dei maggiori storici della letteratura italiana, autore dell’opera in due volumi La letteratura calabrese.
Zucco frequentò inoltre assiduamente lo scrittore, saggista e critico letterario Italo Borzi, uno dei massimi studiosi di Dante e Pirandello (presiedette l’Istituto di studi Pirandelliani), dei quali curò l’opera omnia per la casa editrice Newton Compton. L’artista eufemiese si recava a trovarlo presso la Fondazione Besso, dove Borzi leggeva e commentava magistralmente i canti della Divina Commedia.
Altra frequentazione capitolina, il critico letterario Giovanni Orioli, profondo conoscitore del poeta Giuseppe Gioacchino Belli, del quale curò la pubblicazione dello “Zibaldone”. Orioli presentò Fuoco a Diambra all’interno dello storico “Caffè Greco” di via Condotti e nella recensione redatta per la rivista “Nuova Antologia” inserì Nino Zucco tra gli eredi della scuola verista dell’Ottocento.
E poi Mario Dell’Arco (pseudonimo di Mario Fagiolo), architetto e poeta romano, con Pier Paolo Pasolini curatore per la casa editrice Guanda dell’antologia Poesia dialettale del Novecento (1952). In Incontri Zucco ricorda che Dell’Arco si affidava spesso alla sua “consulenza” per tradurre in lingua italiani i vocaboli più ostici del dialetto calabrese.
Infine, l’attore reggino Leopoldo Trieste, che collaborò con i più grandi registi cinematografici (Federico Fellini, Roberto Rossellini, Steno, Mario Monicelli, Dino Risi, Pietro Germi); il popolarissimo Mino Maccari, giornalista e scrittore, oltre che pittore e scultore; e tanti altri personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo.
L’incontro più importante fu però quello con Francesco Cilea, nelle cui vene scorreva un po’ di sangue eufemiese, dato che la nonna materna Rachele Parisi era nata a Sant’Eufemia, dove aveva contratto matrimonio, nel 1822, con il nonno del compositore (suo omonimo), un medico originario di Pentidattilo.
Zucco fu ospite assiduo della casa del compositore palmese, sia a Roma che a Varazze, in provincia di Savona, dove Cilea trascorse gli ultimi anni di vita. Un suo celebre quadro raffigura l’insigne musicista seduto al pianoforte della propria abitazione; un disegno a carboncino ne ritrae invece il volto sofferente, a pochi giorni dalla morte. Fu grazie alla sua opera di convincimento che la moglie di Cilea, inizialmente contraria, acconsentì di rilevare il calco del viso del marito, per realizzarne la maschera.
Nel 1981, a trent’anni dalla morte del maestro, Zucco diede alle stampe un devoto e affettuoso ricordo: Francesco Cilea. Ricordi e confidenze.

Queste brevi note bio-bibliografiche evidenziano lo spessore culturale di Nino Zucco. Con la realizzazione del convegno e con la collocazione di alcune sue opere nella pinacoteca comunale, Sant’Eufemia oggi rimedia agli errori del passato, anche se – purtroppo – è andata persa la possibilità di ricevere, a costo zero, una parte consistente del patrimonio pittorico di Zucco, che è finito a Palmi e che invece avrebbe potuto dare prestigio e bellezza a questo Palazzo municipale. Per una comunità, è colpa grave non valorizzare i talenti dei propri figli. Spesso si discute su cosa fare per rendere migliore l’ambiente in cui si vive e ci si perde in discussioni sterili sui massimi sistemi. In realtà, non ci vuole molto. È sufficiente, ad esempio, una manifestazione come quella di oggi. Un’iniziativa che io considero il modo in cui Sant’Eufemia si riconcilia con la propria storia e una forma di risarcimento nei confronti di Nino Zucco.
Pertanto, mi auguro che in futuro si possano realizzare altre iniziative analoghe. Occorre incoraggiare tutti i tentativi di fare memoria, per soddisfare quel bisogno naturale di identificarsi in una storia collettiva e di sentirsi parte di un destino comune.
Sono convinto che sarà la bellezza della cultura a salvarci. Perché la capacità di fare, divulgare e apprezzare la cultura rende gli individui migliori e più vivibile la società nella quale essi operano.
Ringrazio quindi il sindaco Creazzo e l’amministrazione comunale e li esorto a continuare su questa strada: la strada della cultura; la strada della riscoperta delle nostre radici; la strada delle nostre piccole e grandi storie; la strada che ci è stata indicata da concittadini illustri come Nino Zucco.

martedì 9 aprile 2013

Quelli che (reloaded)


Quelli che sono i migliori al mondo
Quelli che tutti gli altri sono schiappe
Quelli che si impegnano per il bene della collettività
Quelli che gli altri non fanno mai niente 
Quelli che se lo fanno gli altri c’è sotto un tornaconto personale
Quelli che partecipano
Quelli che gli altri non hanno la statura morale per partecipare
Quelli che ci sono i soldi ma non si spendono
Quelli che i soldi non si devono spendere
Quelli che i soldi si potevano spendere meglio
Quelli che piove… governo, regione, provincia, comune ladri
Quelli che quando c’è il sole è merito loro
Quelli che è sempre colpa degli altri
Quelli che commentano i post degli altri
Quelli che cancellano i commenti degli altri
Quelli che “postano” articoli scritti da altri
Quelli che non citano la fonte e fingono sia roba loro
Quelli che con uno tocca a loro
Quelli che con due tocca lo stesso a loro
Quelli che loro sono liberi
Quelli che tutti gli altri sono schiavi
Quelli che sono pronti a morire per le loro idee
Quelli che le idee degli altri sono cazzate
Quelli che guardano il dito
Quelli che abbaiano alla luna
Quelli che gli altri non sono coerenti
Quelli che di secondo nome facevano il nome di un partito
Quelli che improvvisamente hanno cambiato partito e nome
Quelli che poi si è capito il perché

venerdì 5 aprile 2013

Incontro su Nino Zucco

Si terrà la mattina dell’8 aprile presso il Palazzo municipale l’evento che, tributando finalmente i giusti onori all’artista Nino Zucco, riappacifica Sant’Eufemia con un pezzo importante della propria storia.
Inutile nascondere la soddisfazione personale per avere sollevato la questione dell’oblìo ingiustamente caduto su Zucco (23 gennaio 2013).
Alle repliche su questo blog del figlio Antonello e del nipote don Giorgio Costantino (qui) era infatti seguita l’immediata presa di posizione dell’amministrazione comunale (qui), che ha accettato la donazione delle opere dell’artista eufemiese e si è messa in moto per realizzare la manifestazione di lunedì prossimo, in collaborazione con il Liceo scientifico “Enrico Fermi” e con l’Archivio di Stato di Reggio Calabria: l’inaugurazione della Pinacoteca comunale, destinata ad accogliere quadri di artisti eufemiesi e all’interno della quale una parete sarà dedicata alle opere di Nino Zucco, cui seguirà il convegno “Nino Zucco: pittore, scultore, scrittore, cantore della memoria eufemiese”.



mercoledì 3 aprile 2013

Sconfitta e metodo democratico nelle parole di don Luigi Sturzo

In esilio ormai da dieci anni, nel febbraio del 1936 don Luigi Sturzo scriveva sulle colonne del giornale spagnolo “El Matì” un articolo con il quale si rivolgeva agli amici cattolici spagnoli, alleati del Fronte Nazionale, dieci giorni dopo le elezioni che avevano visto la vittoria del Fronte Popolare. Di lì a poco sarebbe scoppiata la guerra civile terminata nel 1939 con l’instaurazione della dittatura di Francisco Franco. Quella di Sturzo è una lezione di umiltà e un avvertimento sui pericoli che può determinare la contrapposizione feroce tra le forze politiche. L’esempio italiano, caratterizzato dall’incomunicabilità tra socialisti, cattolici e liberali, da questo punto di vista era emblematico e l’affermazione del fascismo, nel 1922, stava lì a dimostrarlo.


Altra utilità, che viene dalla sconfitta, è studiarne oggettivamente le cause […]. Non è a credere che gli avversari abbiano sempre torto, e che noi abbiamo sempre ragione. La sconfitta ci deve dare un senso di umiltà (che spesso non abbiamo) in confronto ai nostri avversari.
È applicabile al caso la massima ascetica che nessuno si deve credere migliore di qualsiasi persona. La ricerca delle ragioni morali della sconfitta (più che quelle politiche o tattiche) ci conduce a rivalutare tutti i problemi della vita pubblica.
Ma su tutti questo problema, che è fondamentale: nella vita pubblica non siamo soli, non siamo sempre dominatori […]. Ciò significa che si deve avere sempre presente il proposito di non portare la lotta politica a fondo per la distruzione dell’avversario, di non rendere impossibile l’intesa con i partiti che si combattono, di non tagliare mai i ponti sul terreno elettorale e parlamentare.
L’errore enorme di ridurre il paese a due blocchi fermi e chiusi per l’eliminazione del competitore dovrebbe essere bandito con ogni cura […]. Non bisogna mai portare le lotte sul piano di una guerra civile.
[Don Luigi Sturzo]