lunedì 17 aprile 2017

Le uova rosse della tradizione pasquale romena



Dai miei vicini di casa romeni ho appreso un aspetto della loro tradizione pasquale che non conoscevo. In Romania, a Pasqua, si usa infatti dipingere le uova di rosso.
Le interpretazioni relative a questa tradizione sono diverse. Il rosso simboleggia infatti il supplizio ed il sangue versato da Gesù sulla croce. Non solo: secondo una vulgata molto popolare, le pietre che colpirono Gesù durante la flagellazione si trasformarono, subito dopo, in uova rosse; e anche le uova portate da Maria a Gesù sofferente si sarebbero miracolosamente colorate di rosso. Infine, sembra anche che mentre i Farisei banchettavano per festeggiare la morte del Cristo, qualcuno per dileggio pronunciò la seguente frase: “quando le uova che stiamo mangiando diventeranno rosse, allora resusciterà Gesù”. E così fu.
Le uova colorate possono anche essere decorate con motivi che rimandano ai temi della vita, della morte, dell’eternità, ecc.: un’usanza che è molto diffusa, in particolare, nella regione Bucovina.
La tradizione di dipingere le uova precede comunque la diffusione del cristianesimo e affonda le radici nella cultura cinese e in quelle della Persia e dell’antico Egitto, dove rappresentava la vita ma anche la rinascita della natura con l’arrivo della primavera. Venivano anche donate alle donne per propiziarne la fecondità.
Alle uova, che sono il simbolo della rigenerazione e della purificazione, viene infine anche attribuito un potere taumaturgico: il loro dono è quindi espressione di buon augurio.

   

*Per ulteriori approfondimenti:
http://www.ricetterumene.it/tradizioni_dettagli.asp?tradizione_id=8  (da qui è tratta la foto in basso)
http://www.imperialtransilvania.com/it/2016/04/29/leggi-notizia/argomenti/traditions/articolo/la-pittura-delle-uova-di-pasqua-in-romania-unarte-eternamente-viva.html

lunedì 10 aprile 2017

I libri insegnano ai ricordi



«I libri hanno bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro per continuare a vivere»: da diversi giorni questa frase mi rimbomba in testa, da quando Paola Monterosso – la figlia del mio caro e indimenticato professore Rosario Monterosso – l’ha pronunciata per spiegarmi il senso di un gesto che mi ha molto emozionato.
Conoscevo la biblioteca di suo padre, mio docente di storia e filosofia negli anni del liceo e in seguito amico generoso e prodigo di consigli: si trattasse di libri o di vita quotidiana. La conoscevo perché la sua biblioteca è sempre stata la biblioteca dei suoi alunni.
Averne ricevuto in dono la gran parte per volontà dei tre figli Paola, Giuseppe e Giovanni mi onora e, nello stesso tempo, mi frastorna. Alcuni di quei libri li avevo ricevuto in prestito venticinque anni fa: le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci, ad esempio, ma anche libri di storia, di saggistica e di narrativa che sono stati alla base della mia formazione.
Sarà come continuare le chiacchierate interrotte quasi cinque anni fa, anche se fa effetto ritrovarsi tra le mani il libro avuto in prestito nel 1992, o aprirne altri e trovare tra le pagine qualche foglietto con gli appunti, le note a margine, i richiami vergati dalla mano del professore Monterosso. Tuffarsi, così, nel mare aperto dei ricordi: «I libri insegnano ai ricordi, li fanno camminare», ci ricorda non a caso Erri De Luca.
Chissà se riuscirò a leggerli tutti, forse mi servirebbe un’altra vita. O più semplicemente avrei bisogno della testa di “Saro”, come lo chiamava la signora Anna Martino che da quasi un mese ha raggiunto il marito. A me piace pensarli ora insieme nel Paradiso immaginato da Borges: “una specie di biblioteca”.
Nel gesto di Paola, Giuseppe e Giovanni rivive la statura morale del padre, la sua generosità e il suo disinteresse per l’aspetto materiale delle cose: nonostante la sofferenza del distacco e la comprensibile tempesta affettiva. La profondità del suo pensiero e del suo agire.
Una lezione preziosa – che per questo ho inteso rendere pubblica – sui valori della vita, su ciò che realmente conta nelle nostre umane vicissitudini. E che per sempre porterò nel cuore come una delle più belle cose che mi sia mai capitata.

mercoledì 5 aprile 2017

Cinquecento messaggi nella bottiglia



Cinquecento articoli. Sette anni di parole scritte un po’ per gioco, un po’ per soddisfare l’esigenza personale di comunicare e di condividere notizie, riflessioni, ricerche storiche (mi auguro) interessanti per coloro che seguono il blog.
Tutto ebbe inizio con il post Minita (24 marzo 2010), in seguito diventato anche il titolo del libro che deve tutto ai “messaggi nella bottiglia” lasciati fluttuare, in questi anni, sulle onde virtuali del web.
“Minita” come il nome che io stesso mi ero dato da bambino perché, nel momento in cui mi sono trovato ad affrontare una fase di grande cambiamento e ad accantonare il sogno di una vita, non potevo che ricominciare dalle certezze di sempre, racchiuse proprio in quel nomignolo: la curiosità per tutto ciò che si muove nella società e il desiderio di interpretare gli avvenimenti, di comprendere le persone al di là di ciò che appare a una prima, sommaria, osservazione.
Il blog mi ha consentito di farmi conoscere da gente che non avrei mai immaginato e dato l’opportunità di intrecciare rapporti personali e di confronto con persone altrimenti per me irraggiungibili. Mi ha fatto anche capire che le parole sono importanti e che chi scrive ha una responsabilità non indifferente nei confronti dei lettori, soprattutto se giovani.
Come ogni cosa nelle vite di ciascuno di noi, anche questo sorta di diario in rete ha avuto una sua evoluzione. All’inizio scrivevo con più frequenza e su argomenti della più svariata natura. Con il tempo ho preferito affrontare per lo più questioni di interesse generale, dare libero sfogo alla fantasia in qualche mini-racconto, soprattutto dedicare una particolare attenzione ai temi della dimensione locale e dell’identità eufemiese.
Un tentativo di fare memoria attraverso gli avvenimenti e le biografie più significative degli ultimi due secoli della storia di Sant’Eufemia, ma anche la riscoperta di storie “minime” da incastrare come tessere di un unico e più grande mosaico. Frammenti di vite che fanno parte della nostra vita, del nostro essere comunità.
Inutile ribadire che sono molto affezionato a questa mia creatura. Antoine De Saint-Exupéry ci ricorda che “è il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”: io sono pienamente d’accordo con lui.