mercoledì 31 gennaio 2018

L'allenatore delle notti magiche



C’è stato un tempo in cui il mio personale calendario procedeva a intervalli regolari di quattro anni, un tempo scandito dall’appuntamento con i mondiali di calcio. Quello del 1990 è stato il mio ultimo mondiale da minorenne. Andavo per i diciassette ed ero un ragazzo tutto casa, scuola e calcio. Finivamo di allenarci e scendevamo in piazza per giocare ancora a pallone (che a volte era una pallina o una lattina schiacciata), o in pineta, per le strade, ovunque. Qualche anno prima, categoria esordienti, pur di disputare la partita il giorno dopo un’abbondante nevicata, tra ragazzini facemmo una colletta per comprare sale grosso da spargere sul campo di prima mattina. Ne uscì fuori un incontro epico in un pantano che quello famigerato di Perugia in confronto è una barzelletta. Ricordo con tenerezza quella passione smisurata, ora che qualche capello bianco e un calcio completamente cambiato da quello ancora romantico della mia giovinezza mi fanno seguire questo sport con minore passione. Ma il calcio per me sarà sempre una vecchia fidanzata che mi ha fatto sognare e che mi ha trasmesso emozioni fortissime, sia sul rettangolo di gioco che con l’orecchio attaccato alla radiolina o seduto davanti allo schermo della televisione.
Il 1990 è stato l’anno della mia prima, fortissima, delusione calcistica. Sì, c’erano già state le due eliminazioni dell’Inter in Coppa Uefa contro il Real Madrid (quella della biglia lanciata dagli spalti che colpì Bergomi e l’altra ai supplementari), ma un mondiale è un mondiale: qualcosa di indescrivibile per tutto ciò che può provare un tifoso in novanta minuti di pura trance agonistica. Nel 1982 avevo già vinto un mondiale, insomma a nove anni vantavo già un palmares di tutto rispetto. Quello del 1986 aveva un destino segnato, lo capimmo da subito. Era una squadra di reduci che si erano coperti abbondantemente di gloria, una sorta di ringraziamento finale che Bearzot aveva voluto tributare agli eroi del Bernabeu: ma il destino di quella squadra era segnato, per cui la delusione non fu cocente.
Nel 1990 fu diverso. Mondiali giocati in casa e una nazione intera che sembrava di vivere dentro una favola, quella delle “notti magiche” cantate da Edoardo Bennato e Gianna Nannini, degli ormoni giovanili impazziti per le gambe di Alba Parietti, arrampicata con le sue provocanti minigonne sullo sgabello dal quale conduceva una trasmissione sportiva.
Una nazionale figlia di Azeglio Vicini, tecnico federale a lungo selezionatore dell’Under 21, che l’aveva plasmata a sua immagine e somiglianza. Un esercito di fedelissimi che macinava gioco e risultati con la sicurezza di chi è consapevole di essere il più forte. Difesa granitica con Bergomi, Ferri, Baresi e il giovane Maldini, l’astro nascente Baggio, la fantasia di Donadoni e la forza fisica di Berti e Vialli. E poi lui: Totò Schillaci. I suoi occhi spiritati sembravano usciti da una favola bella, fatta di sacrifici, fame e tanta gavetta. In quell’estate del 1990 tutti gli dei del mondo si erano messi d’accordo, ogni volta che Totò toccava palla faceva gol. A ogni triplice fischio, tutti nelle strade per sfilare, protagonisti anche noi di un sogno dal quale non avremmo mai voluto svegliarci.
E invece. L’uscita sciagurata di Zenga, allora il più forte portiere del mondo, fu una secchiata d’acqua gelida. Uscimmo dal mondiale in semifinale, senza perdere una partita. La mia fu un’amarezza doppia, perché Zenga era l’idolo dell’Inter dei record. Un doppio tradimento.
Salì sul tetto del Bar Mario, allora nei locali dell’ex cinema di via Carusa. Il ferro al quale era attaccata la bandiera della nazionale è ancora piegato: e furono lacrime amare, lacrime di rabbia, lacrime che solo per amore si possono versare.
 

venerdì 26 gennaio 2018

Per non dimenticare



La forma più nobile di omaggio alle vittime di ieri è il ricordo di oggi: è questo il senso del “Giorno della memoria”, riconosciuto dalle Nazioni Unite e celebrato in Italia a partire dal 2001. La data (27 gennaio) ricorda l’arrivo, nel 1945, delle truppe sovietiche nel campo di Auschwitz e la fine di un incubo. La commemorazione delle vittime del nazismo non deve però essere una mera ritualità: il rischio, altrimenti, è quello di provocare addirittura una sorta di assuefazione nei confronti della Shoah.
L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia si chiede: «Quando resteremo soli, quando anche l’ultimo testimone della Shoah non sarà in vita, saremo capaci di continuare a trasmettere la memoria della Shoah alle nuove generazioni?». Con il trascorrere degli anni inevitabilmente scompaiono, uno ad uno, i testimoni diretti di quella tragedia immane. Da qui il dovere di continuare a fare memoria, ripetendo con forza le parole di Primo Levi: «Siamo figli di quell’Europa dove è Auschwitz: siamo vissuti in quel secolo in cui la scienza è stata curvata, ed ha partorito il codice razziale e le camere a gas. Chi può dirsi sicuro di essere immune dall’infezione?».
Cos’è un lager? Se lo chiede Francesco Guccini in una canzone (“Lager”) meno famosa della citatissima “Auschwitz”, che ricorda l’orrore delle vittime gassate con il famigerato Zyklon B e “passate” per il camino dei forni crematori («Son morto con altri cento/ son morto ch’ero bambino/ passato per il camino/ e adesso sono nel vento»). La risposta del cantautore modenese interroga le nostre coscienze su quanto possa essere pericoloso pensare al lager come a un qualcosa confinato nel passato, accaduto per colpa di altri, non più riproponibile: «È una cosa come un monumento/ e il ricordo assieme agli anni è spento/ non ce n’è mai stati/ solo in quel momento:/ l’uomo in fondo è buono/ meno il nazi infame». Che un po’ richiama Hannah Arendt e la “banalità del male”: «Il male non è fuori, ma dentro ognuno di noi».
Eccolo, il rischio concreto: convincersi che quel periodo storico è ormai morto e sepolto, che tragedie simili non possano più accadere. Purtroppo non è così: nel mondo di oggi sono milioni gli uomini e le donne che subiscono soprusi e vessazioni, che pagano con la morte l’appartenenza a una razza o a una confessione religiosa.
Le politiche di sterminio nel Novecento non sono un’esclusiva nazista, anche se la pianificazione di quell’orrore è inarrivabile: il genocidio degli armeni, le vittime dei gulag sovietici e quelle di Pol Pot e dei Khmer rossi in Cambogia, la pulizia etnica nella ex-Jugoslavia e in Ruanda, i gas di Saddam Hussein contro il popolo curdo. E ancora, ai nostri giorni, la persecuzione dei Rohingya in Myanmar, degli Uiguri nella Cina comunista, dei popoli del Centroafrica in fuga da guerre e carestie. Popoli ai quali vengono sistematicamente negati i più elementari diritti umani.
Il ricordo della Shoah come antidoto contro ogni fanatismo. Studiare il passato per evitare di commettere gli stessi errori, in una fase storica caratterizzata da un drammatico disagio sociale ed economico che genera odio e intolleranza, mentre il vento del razzismo soffia forte e minaccia le ragioni stesse della civile convivenza.
La memoria come dovere morale, quel dovere morale che spinse Shlomo Venezia ad andare su e giù per le scuole di tutta Italia a raccontare l’Olocausto, l’orrore dal quale si era salvato, anche se – ripeteva – “qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda, il mio spirito torna sempre nello stesso posto… Non si esce mai, per davvero, dal crematorio”. Shlomo Venezia, scomparso qualche anno fa, ebreo di Salonicco ma di nazionalità italiana: uno dei pochi sopravvissuti del Sonderkommando di Auschwitz-Birkenau, la squadra speciale selezionata tra i deportati che faceva “funzionare” alla perfezione la macchina di sterminio nazista: erano loro ad accompagnare i prigionieri alle camere a gas, li aiutavano a svestirsi, tagliavano i capelli ai cadaveri ed estraevano dalle loro bocche i denti d’oro, infine li trasportavano nei forni. Un’organizzazione del lavoro geometrica nell’inferno che trasformò in non-uomini gli uomini.
Ricordare è necessario per smontare le fandonie scellerate dei negazionisti, ma anche per controbattere alla cinica considerazione che “una morte è una tragedia, milioni di morti sono una statistica”. Dietro a ogni numero ci sono un volto, una storia, una vita spezzata. Bambini che non hanno avuto la fortuna di giocare, di diventare adulti, di avere dei figli. Anziani ai quali non è stato concesso di morire in maniera dignitosa. Adulti che ebbero la “colpa” di credere nel Dio della Torah o di essere omosessuali, prigionieri di guerra, oppositori politici, zingari, disabili.
Se ancora c’è gente che pensa che le camere a gas siano un’invenzione, che non vi sia stata la volontà criminale e preordinata di cancellare dalla faccia della terra gli ebrei e tutte le categorie considerate inferiori vuol dire che il “Giorno della Memoria” è più che mai indispensabile per mantenere vivo il ricordo di ciò che è accaduto e per esorcizzare il male di cui l’uomo è capace.

lunedì 22 gennaio 2018

Una strada gruviera / 2



Le condizioni della strada che porta all’ex svincolo autostradale sono ulteriormente peggiorate. Nell’attesa dei lavori annunciati di prossima realizzazione e dell’intervento strutturale di 7,1 milioni di euro del quale ancora si attende la progettazione, come gruppo consiliare “Per il Bene Comune” continueremo a segnalare il disagio sofferto quotidianamente dalla popolazione del nostro territorio. Di seguito la nota per la stampa.

Purtroppo siamo stati facili profeti nel prevedere, due settimane orsono, che alla nostra denuncia sullo stato disastroso della Strada Provinciale 2 che collega Sant’Eufemia all’ex svincolo autostradale sarebbe seguito un intervento di riparazione alla meno peggio delle buche più pericolose, ma assolutamente insufficiente. E così è stato. Morale della favola: siamo di nuovo al punto di partenza, se non in una situazione addirittura più grave. La pioggia insistente di questo periodo ha provveduto ad aprire altri crateri, il resto lo sta facendo la nebbia persistente degli ultimi giorni che, aiutata dall’impercettibilità delle strisce stradali (laddove ci sono), sta creando disagi inaccettabili alle centinaia di automobilisti che quotidianamente hanno necessità di uscire da Sant’Eufemia, Sinopoli e dall’intero comprensorio per lavoro o per qualsiasi altra incombenza e che si ritrovano con qualche ruota scoppiata.
Ci appelliamo ad Anas e alla Città Metropolitana affinché battano un colpo e diano a queste popolazioni dimenticate da Dio e dagli uomini un segnale di vita. Chiediamo al Sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà e al consigliere delegato alla viabilità Demetrio Marino di fare una passeggiata da queste parti per verificare personalmente lo stato pietoso di un’arteria stradale così importante e per valutare essi stessi se è dignitoso, per la stessa Città Metropolitana, che una vasta e importante porzione del suo territorio subisca uno stato di abbandono così mortificante.

*I consiglieri comunali “Per il Bene Comune”
Domenico Forgione
Pasquale Napoli





martedì 16 gennaio 2018

L'Asp non riesce a garantire la normale manutenzione dei mezzi del 118


La mia nota sulla situazione incresciosa della manutenzione delle ambulanze del 118, che crea disagi anche alla nostra popolazione perché l'ambulanza della postazione di Sant'Eufemia spesso viene chiamata per intervenire in comuni generalmente serviti da altre postazioni, lasciando così scoperto il nostro territorio.

Non è la prima volta che organizzazioni sindacali denunciano le carenze strutturali e strumentali del SUEM 118 nella provincia di Reggio Calabria. Una situazione drammatica ribadita, da ultimo, dalla Cisl – Funzione Pubblica il 2 gennaio scorso, in seguito al contemporaneo guasto delle ambulanze di Reggio Calabria, Scilla, Locri e Taurianova. In mancanza di un contratto con un’officina di riferimento (perché nessuno vuole convenzionarsi con l’Asp? Forse perché non si ha certezza sui tempi di pagamento?) diventa un’odissea realizzare anche soltanto interventi di routine quali il cambio delle pasticche dei freni o della batteria, per cui si rende necessario l’aiuto di privati che supportano il servizio pubblico sostituendosi di fatto ad esso.
Ad essere penalizzati dall’inefficienza dell’Asp di Reggio non sono soltanto i cittadini dei comuni che dovrebbero essere serviti dalle ambulanze pubbliche. Ne sanno qualcosa i cittadini di diversi comuni dell’entroterra aspromontano, ogni volta che la postazione del 118 di Sant’Eufemia d’Aspromonte viene utilizzata per trasferimenti fuori provincia o per effettuare interventi di sostituzione a Scilla, Bagnara o Villa San Giovanni, finendo così per lasciare inevitabilmente scoperto il territorio nel quale operano abitualmente. Una situazione che diventa più grave nella stagione invernale, considerato che l’ambulanza in questione è a trazione integrale, indispensabile per prestare soccorso nelle zone innevate dell’Aspromonte o presso la stazione sciistica di Gambarie.
La tempestività del 118 è chiaramente un’arma vincente quando si ha a che fare con arresti cardiaci, ischemie, incidenti stradali. Che questa tempestività possa mancare perché l’Asp non riesce a garantire ai propri mezzi la normale manutenzione indigna profondamente, al di là di ogni incontestabile vincolo di solidarietà e del dovere di intervenire in caso di emergenza: è già capitato che un ragazzo con una frattura esposta del femore e con una grave emorragia sia stato soccorso con notevole ritardo perché l’ambulanza del 118 di Sant’Eufemia era fuori provincia, per cui si è dovuto attendere un mezzo di soccorso proveniente da Gioia Tauro. In quella circostanza la tragedia non si compì, ma soltanto grazie alla benevolenza del fato.
Una sorta di guerra tra poveri per queste popolazioni che quotidianamente si scontrano con una sanità vergognosamente inefficiente. Figli di un dio minore che vivono in una realtà nella quale un diritto costituzionalmente garantito viene mortificato, nella quale problemi risolvibili con un normale intervento del 118 possono risultare fatali perché l’Asp impiega quindici giorni, un mese, o anche oltre, per fare riparare guasti ordinari alle proprie ambulanze.

*Link originale:
http://www.costaviolanews.it/index.php/politica/13268-l-asp-non-riesce-a-garntire-la-normale-manutenzione-dei-mezzi-del-118-la-denuncia-di-domenico-forgione

sabato 13 gennaio 2018

Che disastro avete combinato?

Da diversi giorni assistiamo allo spettacolo sgradevole allestito da questa Amministrazione Comunale per salutare il 2017 e dare il benvenuto al 2018. Un inizio peggiore non era immaginabile nemmeno dalla più sfrenata fantasia!
Siamo indignati come tutti i cittadini che si sono visti recapitare a casa le intimazioni per il pagamento di tasse comunali non dovute perché già corrisposte o dall’importo elevatissimo. L’Amministrazione ha cercato di metterci una pezza scaricando ogni responsabilità sulla società che gestisce il servizio di riscossione, dalla quale – è stato dichiarato – si pretenderanno le scuse e il pagamento dei danni al comune. Benissimo: chi ha sbagliato deve pagare. Proprio per questo sarebbe cosa giusta che l’Amministrazione Comunale desse il buon esempio e cominciasse, essa per prima, a chiedere scusa ai cittadini! Sarebbe un bel gesto di umiltà, che non guasta mai.
Esistono RESPONSABILITÀ POLITICHE che non si possono nascondere sotto il tappeto e che ricadono, inevitabilmente, su coloro che amministrano. La responsabilità politica è negli atti mandati nelle case dei contribuenti, intestati “Comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte” e sottoscritti da un funzionario responsabile. Non sono stati risparmiati neppure i defunti, anche a cittadini morti da vent’anni sono arrivate bollette da pagare!
Chi sono quindi i responsabili di questo scempio? Davvero credete che i cittadini non sappiano valutare cos’è accaduto con il “pasticciaccio brutto” delle vostre bollette? Nelle notifiche relative al pagamento dell’IMU si legge che l’avviso “è stato redatto in base alle informazioni in possesso di questa Amministrazione” (in particolare, grazie alla documentazione disponibile presso l’Ufficio Tributi, ai versamenti ordinari e ai ravvedimenti operosi): di chi è quindi la responsabilità?
Un amministratore responsabile ha il dovere di gestire la cosa pubblica con la diligenza del “buon padre di famiglia”. SIETE STATI NEGLIGENTI e la vostra inadeguatezza grava purtroppo sulle casse comunali: avete speso migliaia e migliaia di euro che potevano essere utilizzate per fare qualcosa di utile per la collettività, invece di inviare ai cittadini bollette che sono carta straccia, da strappare e cestinare una volta che verranno eseguiti i necessari accertamenti.
Se proprio non ce la fate a dimettervi, abbiate almeno il pudore di chiedere scusa ai cittadini per la vostra manifesta incapacità di amministrare la cosa pubblica.

I Consiglieri Comunali “Per il Bene Comune”
DOMENICO FORGIONE
PASQUALE NAPOLI
Sant’Eufemia d’Aspromonte, 12 gennaio 2018

domenica 7 gennaio 2018

Una strada gruviera



Ringrazio l’emittente regionale LaC e il giornalista Agostino Pantano per il servizio giornalistico andato in onda nell’edizione del telegiornale delle ore 14.00. Naturalmente, i tempi televisivi non hanno consentito di mandare in onda l’intervista mia e di Pasquale Napoli nella loro integralità. In ogni caso, credo che la qualità del lavoro sia eccellente perché sintetizza alla perfezione il contenuto di quanto da noi dichiarato e i termini della questione: lo stato disastroso del tratto della Strada Provinciale 2 che collega Sant’Eufemia all’ex svincolo autostradale, pericoloso anche per l’incolumità fisica di chi la percorre; l’abbandono del nostro territorio da parte di Anas e della Città Metropolitana; la doppia beffa della popolazione di quest’area che si è vista sottrarre lo svincolo e attende invano i lavori di compensazione/risarcimento che erano stati promessi per mettere un po’ a tacere una protesta sacrosanta.
La realtà è sotto gli occhi di tutti ed ha le caratteristiche di un percorso molto accidentato per via delle innumerevoli buche presenti sul manto stradale. Buche che provocano danni ai veicoli in transito oltre a creare situazioni di pericolo per gli automobilisti che, cercando di scansarne qualcuna, rischiano di sbattere contro chi procede dal senso opposto di marcia. Tutta questa situazione si aggrava con la presenza di una fitta nebbia che spesso quasi azzera la visibilità di un percorso scarsamente illuminato (laddove ci sono lampioni, funzionano a giorni alterni nella migliore delle ipotesi) e dalle strisce stradali impercettibili, se non assenti.
Si tratta di una strada utilizzata quotidianamente da centinaia e centinaia di automobilisti per lavoro o per altre esigenze, che rendono necessario raggiungere l’autostrada alla popolazione dell’intero comprensorio. Va inoltre evidenziato che più volte nel corso di una giornata essa viene percorsa dall’autoambulanza del 118, che a Sant’Eufemia ha la sua postazione: per chi deve salvare una vita non è proprio il massimo lavorare in queste condizioni. Senza dimenticare, infine, i molti ciclisti amatoriali provenienti da tutta la provincia per i quali è impossibile pedalare a bordo strada e che sono costretti a pericolosissime gimkane tra le buche.
È necessario un intervento straordinario, che peraltro era stato promesso. E poi bisogna intervenire con regolarità per eseguire quei lavori di manutenzione ordinaria che impediscano il periodico riproporsi di tali situazioni di emergenza.