mercoledì 28 febbraio 2018

Il lassativo di Sgarbi



Nel mentre ci godiamo il finale di una campagna elettorale surreale, ricordiamo i punti più bassi raggiunti da questo circo Barnum, anche se ancora manca qualche giorno e potrebbero essere necessari ulteriori aggiornamenti.

1. FAKE NEWS. Ormai per “fare politica” non serve avere una preparazione specifica. Basta avere l’abilità di fare diventare virale il falso e, al contempo, di parlare alla pancia dell’elettore. Conoscere le sue paure (immigrati, sicurezza), le sue idiosincrasie (privilegi, sprechi) ed esacerbarle mettendo in giro notizie artatamente contraffatte.
2. VOLGARITÀ. Cito soltanto Emma Bonino e Laura Boldrini perché contro le donne c’è sempre uno sgradevole (e non casuale) surplus di accanimento. La prima denigrata per il suo aspetto fisico, senza alcun rispetto per la battaglia contro il cancro che da anni sta conducendo. La seconda bersaglio dei razzisti di ogni risma che, tra l’altro, le attribuiscono una famiglia talmente numerosa che, ci fosse stato ancora “Lui”, certamente avrebbe conquistato il premio natalità.
3. BASTA GOVERNI NON ELETTI DAL POPOLO. Ancora siamo qua a spiegare che nella storia della repubblica italiana non è mai esistito un presidente del consiglio eletto dal popolo. La nostra è una repubblica parlamentare: comunque vadano le elezioni, in Parlamento si dovrà formare una maggioranza che sostenga il governo. Il presidente della Repubblica affiderà l’incarico a chi gli assicurerà questa maggioranza. Oh, ma siete duri di testa!
4. RESPONSABILI PREVENTIVI. La strepitosa definizione è del giornalista Pierluigi Battista. I “responsabili” nelle passate legislature sono stati quei parlamentari che “per senso di responsabilità” (mica per interesse personale) hanno sostenuto qualsiasi governo. Nello scenario di una probabile situazione di stallo, si profila all’orizzonte l’evoluzione di quel prototipo: il responsabile “preventivo”, che già prima del risultato del voto sa che darà la fiducia a qualsiasi governo, per salvare se stesso. Occhi puntati sui grillini espulsi dal movimento.
5. IL COMPAGNO CASINI. Ho a lungo pensato che la fotografia che ritrae Pierferdinando Casini in una sede del Partito Democratico con alle spalle il pantheon della sinistra (Togliatti, Gramsci, Di Vittorio e Matteotti) fosse un fotomontaggio. Invece no, è vera. Un premio speciale andrebbe assegnato senza ombra di dubbio al fotografo malizioso.
6. DI MAIO AL QUIRINALE. In genere, appreso l’esito delle elezioni, il presidente della repubblica convoca al Quirinale i leader dei partiti e dei gruppi parlamentari per avviare le consultazioni in vista della formazione del governo. Di Maio invece ha giocato d’anticipo e, irritualmente, si è presentato al Colle. Ovviamente non è stato ricevuto da Mattarella, che non può prestarsi a simili giochini, bensì dal segretario generale. Non contento, ieri ha replicato inviando una email contenente la lista dei ministri di un ipotetico governo Di Maio che nessuno ha aperto. La costituzione non è un optional, vaglielo a spiegare.
 7. IL PHOTOSHOP DELLA MELONI. Vabbè che viviamo in una società succube dell’immagine. Vabbè che apri Facebook e vedi persone che poi fatichi a riconoscere per strada, “depurate” degli 80.000 filtri che applicano alle proprie fotografie. Ma alzi la mano chi, vedendo il volto stampato sui manifesti, vi riconosca la donna che ogni giorno si fa provocatoriamente un selfie con sullo sfondo i suoi contestatori, nella vana speranza che qualcuno perda la testa. Che è quello che vorrebbe lei.
8. BERLUSCONI PRESIDENTE. Unico caso al mondo di un “candidato non candidabile” che infatti, proprio in quanto non candidabile, non lo è. Però firma da Bruno Vespa un altro “contratto con gli italiani”, come se il futuro presidente del consiglio dovesse essere lui. Dimenticando, tra l’altro, che “la prima volta è tragedia, la seconda farsa”. E magari ci chiediamo perché il video con il monologo del comico John Oliver sia diventato virale, facendo ridere di noi mezzo mondo.
9. IL VANGELO SECONDO SALVINI. Anche Salvini si vede già presidente del consiglio. I primi a non volerlo sono i suoi alleati di coalizione, ma si tratta di un dettaglio sul quale il “capitano” può tranquillamente sorvolare. È impegnatissimo a giurare su un vangelo che probabilmente non ha nemmeno letto (altrimenti non si spiegherebbe) o a mettersi in posa come premio del concorso “vinci Salvini” (giuro che esiste). Cosa volete gli freghi degli alleati. Parafrasando l’odiato Umberto: «Foera di ball!».
10. IL LASSATIVO DI SGARBI. Provate a immaginare De Gasperi seduto sul water, con i pantaloni abbassati, che urla: «Togliatti fa cagare!». O Andreotti, ingobbito sulla tazza, che chiama a sé con il dito il cameraman: «Berlinguer, il lassativo che non vi abbandona, il lassativo che vi aiuta!». Lo so, non riuscite a immaginarlo. Neanche io. Nella galleria degli orrori di questa campagna elettorale, Sgarbi merita la palma d’oro.
Restiamo comunque fiduciosi. Toccato il fondo, non abbiamo alternative: possiamo soltanto risalire.

lunedì 26 febbraio 2018

Il custode di vite


Tutto quello che avevo da dire è sulle mie tele senza cornice. Mi siedo e le guardo, senza capirci più di tanto ad essere sincero. Ma quello era il mondo che mi portavo dentro, i fantasmi che in qualche modo mi circondavano e che mi facevano compagnia. Ora sono svaniti, andati via. Con i miei anni oziosi e con le mie ciocche bianche, stanche anche loro, impregnate della polvere e della muffa dei pochi metri quadrati di tre stanze su due piani.
Eppure ho anche avuto paesaggi luminosi e colorati nella testa, alberi e fiumi e cieli azzurri e tramonti rosso arancio che avevano bisogno di prendere aria. Per questo dipingevo. Per questo ero circondato da ragazzi stupiti che mi chiedevano come si fa, con quali pennelli, se olio o tempera.
Osservo tra le pieghe dei miei ricordi per ritrovare brandelli di vita: una nebbia metà sogno e metà racconto di favole antiche, attorno al braciere fumante bucce di mandarini.
Nella città grande c’ero stato, ma quanta fatica per lo spirito quando devi pensare solo alla pancia. Lavorare, mangiare, dormire. Tutti i santi giorni. E mai potersi riconoscere, con la spada del bisogno ondeggiante sopra la testa, minacciosa e opprimente. Non mi andava più di vendere cianfrusaglie nei mercati, non poteva essere vita quella. Non poteva essere la mia.
Non poteva essere la nostra, amore. Anche se non eri d’accordo. Ci salutammo come davanti alla bara: gelidi, già morti. Chissà cosa fai ora, se ci pensi ancora a quest’uomo strano, perso tra le nuvole e i colori di un mare che un tempo fu calmo.
Ti attendevo ad ogni estate, ricordi? Il compromesso durò poco, ma io ti aspetto ancora. Sì. Ti aspetto per una passeggiata in montagna o per il gusto di dividere quel piatto che ti faceva chiudere gli occhi. Tu felice come una bimba che assapora sui rami le ciliegie più grosse, quelle più rosse. Io a compiacermi dei quadri sparpagliati in pineta, il teatro afoso della caccia al tesoro con premio finale le mie visioni.
Sono sopravvissuto ai miei anni e ora voi vorreste seppellirmi. Davvero non capisco. Non capisco questo vostro cercarmi, le vostre preoccupazioni per un vecchio scorbutico ma desideroso di silenzio. Questo chiedere informazioni a vicini che odio. Che mi spiano dalle finestre per vedere cosa porto dentro le mie grandi buste.
Vorrei essere lasciato in pace, non sentirmi più addosso occhi inorriditi per i topi che sbucano rumorosi tra lattine, bidoni e sacchi gonfi, non appena entrate con il fazzoletto premuto contro il naso.
La mia missione è offrire un riparo alla solitudine del mondo. Raccolgo per strada cose che voi avete abbandonato e le conservo perché un giorno, forse, serviranno ad altri.
Bottiglie che hanno dissetato, cibo che ha sfamato, scarpe che hanno camminato.
Custodisco la vita che scivola via da mani distratte, per quando sarà ancora vita.

sabato 24 febbraio 2018

Il primo consiglio comunale di Sant’Eufemia dopo l’Unità d’Italia


Gli storici hanno definito “Italia dei notabili” o “Stato monoclasse” il Regno d’Italia proclamato il 17 marzo 1861. Nello stato unitario il voto è appannaggio esclusivo di coloro che sono considerati i “migliori” per capacità professionale e patrimonio personale: in linea di massima, l’aristocrazia e la borghesia terriera. Tale diritto appartiene all’1,9% della popolazione e si fonda sui criteri del sesso, del censo e della capacità: possono votare i maschi venticinquenni (per essere eletti ne occorrono invece trenta) che pagano 40 lire di imposte dirette e che sono in grado di leggere e scrivere. In assenza del requisito del censo, il voto viene tuttavia concesso a diverse categorie professionali: laureati, professori, funzionari, magistrati, farmacisti, notai, ragionieri, geometri, veterinari, ecc.
Su 5852 abitanti (censimento del 1861), nel 1863 a Sant’Eufemia d’Aspromonte gli aventi diritto al voto politico sono 69. Leggermente meglio vanno le cose per il diritto di voto amministrativo. In questo caso il corpo elettorale è composto dai cittadini che, al compimento del ventunesimo anno di età, godono dei diritti civili e sono contribuenti comunali per una cifra che varia in base alla dimensione del comune: 10 lire a Sant’Eufemia, comune compreso tra 3.000 e 10.000 abitanti. Nel 1868, primo anno del quale sono disponibili i dati, gli aventi diritto sono 187 (115 i votanti).
Il consiglio comunale, composto da venti membri, dura in carica cinque anni e viene annualmente rinnovato per un quinto. Si procede alla sua elezione con “lista maggioritaria”: in pratica non vi sono liste contrapposte, ma è l’elettore a comporre una lista di nomi pari al numero di consiglieri da eleggere. La giunta municipale (quattro componenti titolari e due supplenti) viene invece rinnovata ogni anno al 50%. Il sindaco, nominato dal re su proposta del ministro dell’Interno, dura in carica tre anni ed è rieleggibile al termine del mandato: di fatto, viene scelto dal prefetto fra i consiglieri comunali eletti.
Con regio decreto del 30 luglio 1861, il proprietario Antonino Occhiuto (fu Nicola) diventa il primo sindaco di Sant’Eufemia dopo l’Unità, entrando così di diritto nella storia amministrativa del comune insieme ai consiglieri comunali eletti: Agostino Chirico, Antonino Condina (proprietario), Luigi Condina (proprietario), Giovanni Cutrì (farmacista), Michele Fimmanò (avvocato), Gaetano Gioffré (farmacista), Giuseppe Gioffré (proprietario), Domenicantonio Ietto (avvocato), Raffaele Monterosso (macellaio), Antonino Occhiuto di Luigi (proprietario), Luigi Oliverio (geometra), Giuseppe Papalia, Vincenzo Papalia (ramaio), Francesco Pentimalli (avvocato), Antonio Pietropaolo (negoziante), Annibale Rechichi (sacerdote), Giuseppe Versace (farmacista), Vincenzo Visalli (proprietario), Giacinto Zangari (proprietario).

*FONTI:
ASRC, Gabinetto di Prefettura, inventario 34, busta 136 (“Sindaci, amministrazione comunale, elezioni amministrative. 1861-1875”), f. 6381
ASRC, Fondo Prefettura, inventario 17, busta 247 (“Sant’Eufemia d’Aspromonte”), f. 6

lunedì 5 febbraio 2018

Patente a punti e daspo per combattere chi incita alla violenza sul web


Complice una campagna elettorale dai toni altissimi, il web è diventato il moltiplicatore della violenza che quotidianamente vi circola da anni. Gli istinti primitivi trovano terreno fertile, innestandosi sui temi caldi della propaganda. E quale tema più caldo di quello dell’immigrazione? Quale bersaglio più facile di Laura Boldrini, al centro di un attacco mediatico violento e vergognoso sin dalla sua elezione alla terza carica dello Stato? Notizie incredibili, indecentemente false, che pure diventano virali quanto le centinaia e centinaia di bufale messe in circolazione da siti specializzati in fake news: spazzatura utile per soddisfare l’ego degli haters e il business dei clic.
Nel novembre scorso l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha istituito il “Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza dell’informazione sulle piattaforme digitali”, con l’obiettivo di “promuovere l’autoregolamentazione delle piattaforme e lo scambio di buone prassi per l’individuazione ed il contrasto dei fenomeni di disinformazione online frutto di strategie mirate”. All’iniziativa ha aderito Facebook con i suoi “suggerimenti per individuare le notizie false”: un vero e proprio decalogo che aiuta gli utenti più sprovveduti a districarsi nella giungla dell’informazione taroccata (clicca qui per leggerne il contenuto).
Bene, pugno duro contro gli spacciatori di falsità. Ma una severità ancora maggiore va applicata agli istigatori seriali di violenza. La rete non può essere una terra di nessuno, dove chiunque può impunemente incitare a sgozzare, stuprare, commettere ogni sorta di violenza. I fatti di Macerata insegnano che il passaggio dalle parole ai fatti non è complicato in questa realtà così caratterizzata dal disagio economico e sociale, dall’odio politico che ci riporta alle pagine più buie della nostra storia. Pagine di intolleranza e di caccia alle streghe, fatte di parole d’ordine semplici e immediate, che parlano alla pancia di una società sempre più incattivita e per questo pronta a scatenare la guerra dei poveri, lo scontro penoso dei penultimi contro gli ultimi.
Esistono le leggi, certo. Le indagini sul barbiere calabrese che ha condiviso l’ultimo raccapricciante fotomontaggio di Laura Boldrini sgozzata vanno nella direzione di applicare sul caso la normativa vigente in materia (art. 338 del codice penale). Ma a mio avviso non bastano leggi e sanzioni. Occorre regolamentare l’accesso e l’utilizzo dei social con l’istituzione di una sorta di “patente a punti”, associando a ogni profilo un solo documento d’identità: basta profili falsi, tanto per incominciare.
Come nella vita reale, anche nel mondo mica-tanto-virtuale della rete bisogna mettere la propria faccia sui contenuti che si pubblicano. Sarebbe una misura eccessiva? Non direi. Chi è abituato a vivere nella limpidità non avrebbe nessun problema ad accettare un “controllo” del genere.
Ad ogni violazione andrebbe quindi applicata la sottrazione di un punteggio, variabile a seconda della gravità dell’infrazione, fino all’azzeramento del bonus iniziale: eventualità che farebbe scattare la “squalifica” dai social per un tempo più o meno lungo, maggiorato nei casi di recidiva.
Tolleranza zero contro i violenti: è ragionamento superficiale ridurre la questione a semplice strumentalizzazione tipica delle campagne elettorali. Non è così. Il tema è molto più serio e generale, investe le regole stesse della civile convivenza.