venerdì 26 aprile 2019

«Ora e sempre Resistenza». Ecco perché è sempre attuale.


Nell’edizione odierna del Quotidiano del Sud, un mio intervento sul significato del 25 aprile e la risposta di Annarosa Macrì.

Cara dottoressa Macrì, manca qualcosa a questo Paese, se gli eventi che dovrebbero essere occasione di unità provocano invece così aspre contrapposizioni. Manca la capacità di tenere insieme ragioni e torti, soprattutto quando ci si scontra con le contrapposizioni territoriali scaturite dal processo di unità nazionale o dall’irriducibile antinomia fascismo/antifascismo. In questo preciso momento storico, l’incapacità politica e culturale di cui sopra si salda pericolosamente con la tendenza a rimettere tutto in discussione, finanche i valori fondanti della democrazia affermatasi in Italia con la Resistenza.
La Resistenza è stata tutta rose e fiori? No, lo sappiamo. Ci sono stati eccessi e crimini storicamente accertati, regolamenti di conto che poco avevano a che fare con la conquista della libertà dopo il ventennio di dittatura fascista. Male ha fatto una certa storiografia a tentare di nascondere questa pagina nera. Ma il revisionismo storico non va confuso con quello pataccaro che infesta le cloache del web, apodittico in quanto decontestualizzato e decontestualizzante, oltre che tendenziosamente strumentale ad una narrazione politica falsa e pericolosa.
Ha ancora senso celebrare il 25 aprile? Certamente sì. Ha senso proprio perché non si tratta di un “derby” tra fascisti e comunisti. Chi sostiene questo evidentemente non ha idea del contributo fornito alla causa da personalità quali Alfredo Pizzoni, Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, Edgardo Sogno. Si tratta, e dovrebbe essere chiaro anche a chi non è dotato di particolari strumenti culturali, di interiorizzare la replica di Vittorio Foa a Giorgio Pisanò: «Abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare senatore, avessi vinto tu io sarei ancora in carcere». Sta tutta qua la differenza tra fascismo e antifascismo. Ed è una differenza dirimente.
Non si possono mettere sullo stesso piano coloro che lottavano per la libertà e i seguaci del nazifascismo. Claudio Magris sostiene che “è triste dovere difendere la Resistenza”: non dovrebbe essercene bisogno. La vittoria dei partigiani ha portato in Italia la democrazia, quella dei repubblichini di Salò l’avrebbe trasformata in un campo di concentramento nazista. Insomma, c’erano una parte giusta e una sbagliata: chi non accetta questo compie un’operazione storicamente disonesta e moralmente indecente.
Il 25 aprile non segna soltanto la fine di una sanguinosa e fratricida guerra civile. È l’atto fondante della Repubblica italiana, la rinascita della nazione dopo la seconda guerra mondiale, la riconquista di quell’onore che il fascismo aveva oltraggiato con la dittatura, con la soppressione di tutte le libertà, con le leggi razziali e con l’ingresso in guerra al fianco della Germania nazista.
Ecco perché suona ancora attuale la chiusura dell’epigrafe composta da Piero Calamandrei per la celebre lapide “ad ignominia” dedicata al criminale di guerra Albert Kesserling: «Ora e sempre Resistenza».
Domenico Forgione – Sant’Eufemia d’Aspromonte

RISPOSTA
Sì, è triste dover difendere chi siamo, chi sono i nostri padri, qual è il Paese in cui siamo nati.
E’ come se qualcuno strappasse la nostra carta d’identità, di persone e di cittadini, ci costringesse a declinare le nostre generalità, noi le recitassimo e non fossimo creduti.
E’ triste perché se è vero che la libertà non è un concetto finito e definito, è un’acqua di cui si ha sete perenne e che non disseta mai fino in fondo, e, di generazione in generazione, apre nuove praterie da percorrere e nuovi diritti da conquistare, la liberazione dal Fascismo, quella, non può essere messa in discussione, perché i fatti storici sono fatti, e, al di là delle interpretazioni, sono stati, e sono, causa ed effetto, di altri fatti: anelli di una catena che è pericolosissimo spezzare.
E’ triste perché il revisionismo becero che spira in questo Paese è un furto. Non dei valori in cui crediamo, che non sono, vivaddio, merce negoziabile, ma di tempo. Sì, di tempo. Io provo fastidio, un grande fastidio a dover partecipare a dibattiti, o solo ascoltarli, che mettono in discussione storia e storie acquisite, perché sento di essere governata da gente non solo ignorante o in malafede, ma di perditempo, che cerca di disfare, inutilmente, quell’arazzo faticosamente e dolorosamente tessuto da tutti gli Italiani, che si chiama “Novecento”, ed è lo sfondo “naturale” della nostra contemporaneità.
Ma la festa, quelli là, non riescono a rovinarcela. Semplicemente perché è impossibile, e perché Liberazione fa rima con Costituzione, e la Costituzione è lo scudo della Storia e della libertà.
Ieri ho ricevuto tanti auguri laici e tanti ne ho dati, e i giardini pubblici di Roma – dove in questo momento mi trovo –, al centro e in periferia, erano pieni di gente, moltissimi i giovani!, che cantavano e brindavano e ridevano.
Enzo Biagi, durante i momenti più bui del berlusconismo, diceva: “vedrete, “loro” se ne andranno e noi, invece, rimarremo”; beh, in fondo aveva ragione.
Anche se altri “loro” sono arrivati, peggiori di quelli di prima, noi siamo qua. E finché ce la raccontiamo e siamo capaci di far festa, viva la Libertà e viva la Liberazione!

mercoledì 10 aprile 2019

La matematica non è un'opinione



Nell’edizione odierna Il Quotidiano del Sud ha pubblicato nella rubrica “Lettere e interventi” alcune mie considerazioni relative ad un recente sondaggio sull’operato del presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio. Di seguito la mia lettera e la risposta di Annarosa Macrì.

Gentile dott.ssa Macrì, Il Sole 24 Ore ha diffuso i dati di un sondaggio sulla fiducia dei cittadini nei confronti del proprio presidente della Regione. Mario Oliverio ha avuto un gradimento pari al 38,1%, da cui si deduce che il 61,9% ne ha bocciato l’operato.
Sono stato un sostenitore di Oliverio e sarei ingeneroso se non considerassi il disastro che ereditò al momento dell’insediamento. Però non posso negare la grande delusione della sua gestione: nessuno dei problemi strutturali della Calabria è stato, non dico risolto, ma neanche affrontato adeguatamente. Inoltre, qualche scivolone a livello di immagine gli ha parecchio nuociuto: se dici che ti incateni a Roma per protestare contro il commissariamento della sanità, poi devi farlo; se dici che fai lo sciopero della fame contro l’ingiustizia dell’obbligo di dimora, poi devi farlo. Quanto meno per una questione di credibilità personale.
È singolare, ma non sorprende, leggere sui social i commenti al limite dell’entusiasmo dell’inner circle oliveriano. Evidentemente, si tratta di gente che preferisce guardare i 2/5 di bicchiere pieno e ignorare i 3/5 del bicchiere vuoto. Capisco la fedeltà e il senso di appartenenza, ma la freddezza dei numeri non dovrebbe consentire divagazioni sentimentali.
La Calabria è sempre più il paese dei Peppinielli. Certamente ricorderà la scena di “Miseria e nobiltà”, celebre commedia teatrale di Eduardo Scarpetta adattata cinematograficamente da Mario Mattoli con uno strepitoso Totò nei panni del protagonista Felice Sciosciammocca: il maggiordomo don Vincenzo dice a Peppiniello che, per restare nella casa di don Gaetano, deve dire di essere suo figlio. Peppiniello non ha esitazioni: «Don Vince’, basta che mi date da mangiare io vi chiamo pure mamma!».

RISPOSTA
Ho letto anch’io, carissimo. “Miracolo Oliverio”, ha scritto qualcuno, più oliveriano, evidentemente, dello stesso Oliverio, provando contestualmente ad ubriacarsi per la gioia. Invano: il bicchiere è drammaticamente mezzo vuoto. Del 23 per cento di consensi che Oliverio ha perso, strada facendo e governando faticosamente questa, glielo riconosciamo, faticosissima regione. Da dove si continua a partire per lavorare (i giovani), per curarsi (quelli di mezza età), per andare a fare da baby-sitter ai figli dei figli (i vecchi).
E se uno amministra una regione così, e non prova a inventarsi qualcosa, un’idea, un progetto, un’illusione, più che il bravo governatore, può solo aspirare a fare il bravo capostazione. Altro che “miracolo”! a parte il fatto che la parola “miracolo”, così come la sua cuginetta “boom”, mi fa aggricciare la pelle…
Per non parlare dei “peppinielli”, come li chiama lei, signor Forgione… i quali, a dire il vero, tutti i torti non ce l’hanno: il 38 e uno per cento di gradimento, in un sondaggio rilevato peraltro in marzo, quando il Nostro era “al confino” e non erano chiari i contorni di una vicenda giudiziaria che si è rivelata una bolla di sapone, seppure avvelenato, beh, non è poco…
Secondo me, lo stesso Oliverio, detto anche “il lupo”, uno che avrà mille difetti, ma gli altri lupi del branco li conosce benissimo, per non parlare degli agnelli, si sarà sorpreso moltissimo, così tanto da rimanere basito, e non proferire, prudentemente, parola (mi pare che non ci sia nessun suo commento in giro), ma, tra sé e sé, si sarà detto: Sila maiala… il bicchiere è mezzo pieno…
E’ che i “peppinielli” dovrebbero spiegargli (ma lui lo sa benissimo) che quel 38 e uno per cento non è un voto di gradimento a lui, ma di s-gradimento di quelli che potrebbero prendere il suo posto, la Destra, insomma, che sia Forza Italia, o, peggio, la Lega… perché le (cinque) stelle, mi sa, stanno a guardare… chiamasi insomma “sindrome della diligenza”: l’assalto è feroce, serriamo le fila, i vecchi e i nuovi barbari stanno arrivando…
Riuscirà la diligenza a imbarcare – ragiono come la casalinga di Voghera e mi perdoni – l’altro 12 e nove per cento che le serve per superare la Destra? Difficile. Anche perché una bella parte dell’era della giunta oliveriana, la penultima che, insieme allo sprint finale, è tradizionalmente quella pre-elettorale, è stata obbiettivamente azzoppata dalla bolla di sapone avvelenato preparata dai magistrati. E poi perché non c’è Pagnoncelli o Noto o Ghisleri che tengano: i Calabresi, da che esiste la Regione, hanno sempre votato per l’alternanza, illudendosi che “cambiando il campo”, possano cambiare le cose.
E io dico: a ’sto giro, purtroppo. Anzi, aggiungo: fatemi salire sulla diligenza. Mi basta un predellino, mi accontento di poco, di molto poco.

sabato 6 aprile 2019

Ciao, Franco



Ciao Franco, in questi giorni ho riguardato le fotografie dei momenti che abbiamo trascorso insieme grazie all’Agape. I tuoi sorrisi, i tuoi abbracci. Ti abbiamo ricordato tra di noi, ognuno raccontando un aneddoto, qualcosa che ci riportasse indietro a quei giorni di allegria. La magia del mondo del volontariato è questa bolla sospesa che si crea nelle vite di ciascuno di noi. Il tempo ha un ritmo suo, particolare: le lancette dell’orologio battono in maniera diversa che nelle nostre affannate giornate di routine.
Non c’è fretta, non c’è ansia, non ci sono preoccupazioni. Si sta insieme per il piacere di stare insieme, per godere della genuinità di sentimenti semplici e naturali che i pensieri della vita quotidiana tendono a comprimere, a tenere rilegati in un angolo nascosto.
Amavi il mare. I nostri ricordi più belli sono legati alle colonie estive. Abbiamo giocato come bambini; siamo stati allegri come bambini: noi, una ciambella e gli spruzzi dell’acqua. Niente altro, in un tempo sospeso e profumato di felicità.
La tua compagnia è stata un dono. La tua risata così forte e irrefrenabile la sento anche oggi. Mi piace pensare che sia il tuo saluto speciale e fragoroso: non un addio, ma un arrivederci a quando ci incontreremo e faremo ancora una volta festa.
Ci chiederai come stiamo e come stanno i nostri parenti. Troverai una ragione per chiedere “scusa”: lo facevi sempre quando qualcuno ti aiutava in qualcosa che non riuscivi a fare da solo. Quella parola, pronunciata da te, ha interrogato le nostre anime e le interroga ancora.
Ci hai insegnato che un volontario deve avere quattro, sei, otto occhi, leggere gli sguardi e possedere un alto senso di responsabilità. Non dobbiamo concederci neanche un secondo di distrazione, perché persone speciali come te ci vengono affidate dalle famiglie e tutto deve andare per il meglio. È stato bello sentire addosso la fiducia di tua sorella e la tua: è stato tutto quando eravamo più giovani e lo è ora che siamo diventati adulti, con altri amici come te che rendono le nostre estati uniche.
Siamo gli incontri che facciamo, quelli che cerchiamo e quelli che arrivano inaspettati, come una benedizione.
Ti ringraziamo perché con la tua presenza hai reso le nostre vite più ricche di significato.
Buon viaggio, Franco

mercoledì 3 aprile 2019

Il pane calpestato



Mi ha turbato molto vedere gente inferocita prendere a calci e calpestare il pane. Sono coltellate quelle parole piene di rabbia: «Devono morire di fame!».
Non voglio fare nessun ragionamento che possa apparire di parte, né utilizzare trenta bambini innocenti come scudi umani. Quale parte poi? Quella dell’umanità? Siamo arrivati al punto di dovere giustificare il gesto più nobile che un uomo possa compiere nei confronti di un suo simile?
I calci al pane, il piede che schiaccia la vita e la dignità dell’uomo: su questo bisognerebbe riflettere.
Ho ascoltato storie antiche che si perdono nella notte dei tempi. Quella notte che noi abbiamo voluto buia, per non pensare che accadevano pochi decenni fa; per non ricordare da dove veniamo; per cancellarle dal nostro album di famiglia.
Le storie dei contadini che scalavano a piedi i sentieri dell’Aspromonte con un tozzo di pane in tasca. Le storie di chi pranzava con pane e olive, di chi leccava una sarda e dava un morso a pezzo di pane, di chi ci sfregava sopra un tocco consunto di formaggio. Le storie di chi a 8-10 anni era già un uomo abile al lavoro: e proprio un chilo di pane era la sua paga giornaliera.
Ho visto mia nonna raccogliere il pane caduto a terra e baciarlo. L’ho visto fare a mia mamma. Lo faccio anch’io. Ho visto mia nonna girare dal “lato giusto” il pane poggiato sulla tavola “a faccia in giù”: perché il pane è il volto di Cristo, diceva. L’ho visto fare a mia mamma. Lo faccio pure io. Anche se non sono sicuro che il pane sia il volto e il corpo di Cristo. Ma so che il pane è il volto e il corpo dell’uomo, il suo sudore, la sua fatica, la sua dignità.
Questo mi basta per comprendere il sacrilegio di un gesto così disumano.

lunedì 1 aprile 2019

A proposito dell’incontro al municipio sulla vicenda dello svincolo autostradale


Avevo assicurato agli organizzatori dell’incontro “SOS Viabilità Aspromonte” un mio intervento, che effettivamente era in scaletta. Ma l’evento, iniziato alle 17.30, ha registrato tanti interventi (alcuni oggettivamente estenuanti) e alle 20.15 sono dovuto andare via senza potere esporre il mio pensiero. Di questo mi scuso con gli organizzatori, con i rappresentanti istituzionali e con i cittadini intervenuti. Il tema dello svincolo è molto sentito dalla nostra popolazione: grande merito va riconosciuto al “Comitato per lo svincolo” che da anni conduce questa battaglia e ad Ambrogio Pancanno che si è fatto promotore di questo incontro con tre parlamentari del Movimento 5 Stelle: i deputati Giuseppe D’Ippolito ed Elisabetta Barbuto, il senatore Giuseppe Fabio Auddino.
Ho ascoltato con attenzione gli interventi dei rappresentanti del Movimento e quelli successivi, finché sono rimasto nell’aula consiliare. Non ho avuto sensazioni positive, come tanti dei presenti e di coloro che hanno preso la parola. Nel mio piccolo ho sostenuto questa battaglia insieme al consigliere comunale Pasquale Napoli e al responsabile provinciale del PD per le politiche del territorio, Giuseppe Pinto. Abbiamo più volte tentato di accendere i fari su questa annosa vicenda, con lettere indirizzate al Ministero Infrastrutture e Trasporti, al governatore della Regione Calabria Oliverio, al sindaco della Città Metropolitana Falcomatà, al prefetto di Reggio Calabria, ad Anas. Poi siamo usciti dal PD, ma questa è un’altra storia.
Il ripristino dello svincolo era stata una promessa elettorale nelle passate regionali. La legislatura è finita e, credo, anche il tempo delle promesse. D’altronde l’intervento odierno del consigliere regionale Gianni Nucera è stato subito stoppato dalla replica dell’On. Barbuto, che ne ha sostanzialmente smentito la rappresentazione dei fatti.
Noi una risposta l’abbiamo avuta l’anno scorso e quella avrei voluto leggere, per sgombrare il campo dagli equivoci e per puntualizzare alcune questioni centrali, che a mio avviso sono state affrontate con un po’ di vaghezza e di approssimazione. È la risposta di Anas a una delle tante nostre lettere, datata 19 febbraio 2018. In un passaggio si legge: «Nonostante gli approfondimenti di Anas per inserire il nuovo svincolo, includendo anche la possibilità di intervenire sulle gallerie di recente costruzione, la suddetta proposta progettuale non ha ottenuto valutazione positiva da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Ministero Infrastrutture e Trasporti, in considerazione dell’impatto dell’opera sulla sicurezza stradale, visti i molti vincoli che caratterizzano il contesto, nonché della rilevanza funzionale ed economica delle connesse misure mitigative, attesi i costi di demolizione e ricostruzione di opere di nuova realizzazione. Anche per la successiva ipotesi di “svincolo parziale” (contemplate le sole rampe da e per Reggio Calabria), individuata da Anas, onde evitare almeno di intervenire sulle gallerie già realizzate, non si è registrata la valutazione favorevole del MIT, a fronte degli aspetti legati alla sicurezza stradale e alla sostenibilità tecnico-economica dell’intervento. Pertanto, in merito alla richiesta di un nuovo svincolo autostradale per Sant’Eufemia, i pareri formulati dalle autorità preposte, MIT e CSLLPP, non rendono prospettabile l’inserimento di tale nuova opera, ancorché caratterizzata da sole manovre parziali, visti i vincoli oggettivi presenti».
Gli interventi ascoltati oggi sono stati un tiro a segno contro Anas, ma – carte alla mano – la questione appare leggermente diversa.
Avrei voluto chiedere se dall’anno scorso ad oggi sono cambiati i tecnici del MIT e la composizione del CSLLPP. In caso contrario oggi si è fatta soltanto aria fritta: e non è neanche detto che altri tecnici siano così propensi a smentire il parere di altri colleghi e una decisone che, nero su bianco, è nella risposta che Anas ha inviato alla prefettura di Reggio Calabria.
Il deputato D’Ippolito ha avuto l’onestà di ammettere che nel Contratto di Programma 2016-2020 lo svincolo non c’è. Per cui, in ogni caso, se ne potrebbe riparlare soltanto nella successiva programmazione.
Credo sia comprensibile la diffidenza dei cittadini, che condivido. Se ne sono viste talmente tante che ormai risulta difficile credere ad ulteriori promesse. Se poi i parlamentari oggi presenti a Sant’Eufemia saranno in grado di ribaltare la situazione cristallizzata nella lettera di Anas, noi saremo i primi a gioirne e ad applaudire. Ma prima vogliamo vedere i mezzi al lavoro per ripristinare ciò che ci è stato tolto, ingiustamente e con grave danno per la nostra comunità. Le rassicurazioni non bastano più.