venerdì 27 settembre 2019

Oliverio sì, Oliverio no



Da mesi e mesi il quadro politico del centrosinistra calabrese è avvitato sul quesito “Oliverio Sì – Oliverio No”. Non proprio uno spettacolo edificante. Messa così la vicenda si presenta come una questione personale, più che politica. E forse lo è. La gestione del Partito democratico in Calabria nella legislatura che si sta per concludere è stata fallimentare. Lo certifica la fuga di diversi consiglieri regionali e di personalità che in questo quinquennio vi hanno giocato un ruolo di primo piano. I nomi di questi signori è possibile verificarli nelle cronache politiche di questi ultimi mesi, caratterizzati da copiose transumanze e dal fiorire di associazioni e movimenti che ruotano attorno ai fuorusciti, ovviamente già collocati o in cerca di collocazione in altri più accoglienti e (prevedono) vincenti lidi.
D’altronde, quando ciò che tiene insieme è soltanto il potere, quando manca la visione su ciò che si è, su ciò che si vuole fare e a vantaggio di chi, un partito finisce col diventare il contenitore di un pastone indigeribile.
Leggo di dirigenti del partito che ora, soltanto ora, chiedono una discussione. Giusto, giustissimo. Tuttavia, mi chiedo dove fossero questi dirigenti quando gli si faceva notare lo snaturamento del Pd, che si era consegnato al peggior trasformismo locale e aveva mortificato la storia di esperienze genuine. Allora si preferì mettere la testa sotto la sabbia e pensare che uno meno uno avrebbe dato zero: insomma, non sarebbe cambiato niente. E invece no: la matematica della politica poggia su teoremi più complessi. Fatto sta che chi è stato mortificato si è allontanato, chi vi era entrato per opportunismo ha abbandonato la nave alla prima onda leggermente più alta. Tutto questo è avvenuto senza che vi sia stata un reale dibattito, a nessun livello, e calpestando le più elementari regole democratiche (ad esempio nei tesseramenti).
E però… quando la finiremo di essere trattati come colonia? Sul principio che a decidere debbano essere gli elettori di centrosinistra della Calabria non dovrebbero esserci dubbi. Solo su questo mi sento di essere d’accordo con i sostenitori di Oliverio, al quale già la volta scorsa fu fatto di tutto per impedirne la candidatura. Lo affermo da ex sostenitore dello stesso Oliverio che in quell’occasione dovette pagare un prezzo altissimo, politicamente ma anche in termini di rapporti personali. Da presidente di un seggio delle primarie che dovette ingoiare la sfilata di votanti assurdi. Guarda caso, il candidato a governatore che sostenevano è oggi schierato apertamente con il centrodestra.
Ma non è questo il tema. È un altro ed ha a che fare con valori democratici che bisognerebbe sempre tenere in mente. Piaccia o no (personalmente non mi entusiasma), quella di Oliverio è l’unica candidatura in campo, alla luce del sole, che non vive nelle ombre dei palazzi romani. Se ci sono altri che legittimamente aspirano alla candidatura si facciano avanti e non si nascondano dietro le indicazioni interessate del partito nazionale. Non si può essere democratici a giorni alterni, un giorno invocare le primarie e un’altra volta impedirle. Perché l’antipolitica ingrassa proprio laddove la politica non riesce ad essere credibile.

sabato 21 settembre 2019

Socialisti senza partito

Noi socialisti senza partito ci riconosciamo da alcuni piccoli dettagli. Ad esempio, dalla presenza nelle nostre librerie dell’Almanacco socialista pubblicato in occasione dei 90 anni del Psi. Il sottotitolo recita “Cronistoria, schede, commenti, documentazione sul socialismo italiano”: ed è una storia della quale io personalmente vado orgoglioso. Anche se dopo la tempesta del 1992-94 ognuno di noi ha preso strade diverse, nelle case che ci hanno accolto abbiamo sempre provato disagio. Come quegli ospiti che hanno l’impressione di non essere molto graditi e ricambiano con altrettanto fastidio. La diaspora non si è mai conclusa: noi socialisti siamo anime erranti con sola bussola la forza di idee e valori che sentiamo ancora vivi, nonostante non li abbiamo ritrovati compiutamente da nessuna parte. Ci accomuna la rivendicazione delle lotte e delle conquiste che quel partito seppe condurre per l’emancipazione politica e sociale del popolo italiano.
A me piace inseguire con la mente il lungo filo rosso che inizia con le lotte di Andrea Costa per la libertà di opinione e di associazione, per il diritto di sciopero e per la giustizia sociale in un’epoca in cui la legislazione del lavoro sostanzialmente non esisteva. Tutte cose che oggi diamo per scontate e delle quali, proprio per questo, non riusciamo a cogliere l’importanza. D’altronde i nomi luminosi di Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Antonio Labriola oggi non dicono quasi niente. Le lotte per la democrazia con i suoi martiri della libertà le abbiamo dimenticate: provate a chiedere chi furono Giacomo Matteotti o Bruno Buozzi. Eppure, viviamo in un paese libero grazie alla generazione dei socialisti che tra le due guerre non ebbe paura di sacrificare tutto ciò che aveva nella lotta contro la dittatura fascista: Pietro Nenni, Sandro Pertini e tantissimi eroi anonimi, uccisi o finiti al confino per un ideale.
Dopo la conquista della libertà, giunse il tempo di raggiungere livelli più avanzati di democrazia: lo Statuto dei lavoratori di Giacomo Brodolini e Gino Giugni, la legge sul divorzio di Loris Fortuna. Nel solco di quel riformismo che è stato il tratto prevalente nella storia del socialismo italiano e che negli anni Ottanta produsse l’unico concreto ed organico tentativo di modernizzazione del Paese, a partire dal suo assetto istituzionale.
Quella che portò al crollo della Prima Repubblica fu una crisi “di sistema” e la via giudiziaria al suo superamento fu una comoda scorciatoia per evitare di affrontare politicamente i veri nodi di quella vicenda, in primis la questione del finanziamento della politica, sollevata da Bettino Craxi con un discorso storico alla Camera il 3 luglio 1992, che nessuno in Parlamento osò controbattere.
Occorrerà ancora del tempo prima che su quella stagione si possa pronunciare un giudizio obiettivo, scevro da cedimenti emotivi. D’altronde, la contemporaneità è un limite quando si scrive di storia.
Non so se ha ancora senso l’esistenza di un partito socialista. So però che ha ancora senso lottare per la libertà e per la giustizia sociale, continuare a credere con Nenni che “il socialismo è portare avanti tutti quelli che sono nati indietro”.

sabato 14 settembre 2019

Le donne e la Grande Guerra

Tra le carte di Domenico Occhiuto Laudi di particolare interesse sono una ventina di lettere che il fratello Francesco gli scrive tra il 1914 e il 1919, periodo in cui si trova sotto le armi per l’addestramento, la partecipazione alla Prima guerra mondiale e il congedo dopo la smobilitazione, a conflitto terminato. Di queste lettere però scriverò in un’altra occasione.
Oggi parlerò del “retro” della lettera datata 5 agosto 1918. Sì, proprio del retro, che è quello che vedete in foto. Non sempre infatti, al fronte si aveva grande disponibilità di carta per scrivere, per cui ci si arrangiava con quello che il convento passava. In questo caso, Francesco utilizza come carta da corrispondenza il retro di un volantino della propaganda italiana.
La Prima guerra mondiale è “mondiale” non solo per l’alto numero di Paesi belligeranti: è mondiale anche perché essa coinvolge settori della società che fino ad allora erano rimasti ai margini dei conflitti. La Grande Guerra segna l’ingresso delle donne nella storia, dalla quale fino ad allora erano state escluse. Le donne sostituiscono gli uomini impegnati al fronte, nelle fabbriche, nei campi, nei luoghi di lavoro; sono infermiere e crocerossine nelle retrovie e negli ospedali da campo. Diventano, insomma, protagoniste.
Un ruolo significativo lo giocano nello sforzo propagandistico di sostegno alla guerra, con appelli come questo dell’Associazione Madri dei combattenti”, i cui comitati sorsero in tutte le maggiori città italiane con lo scopo di “tener alto il morale dei combattenti al fronte, con un’azione fatta di affettuoso, intenso incoraggiamento”.
L’appello del 12 marzo 1918 giunge nel momento cruciale della guerra. L’esercito italiano si era appena riorganizzato dopo la tremenda disfatta di Caporetto. Di lì a poco la “battaglia del Solstizio” (giugno 1918) avrebbe fermato sul Monte Grappa e sul Piave l’ultima grande offensiva dell’esercito austroungarico e preparato la controffensiva finale conclusasi con il trionfo di Vittorio Veneto.
In un’ora così importante per le sorti del conflitto le madri esortano i figli a combattere “per la salvezza e per la grandezza d’Italia”: «Noi non vi pensiamo uniti alla visione della morte! No: noi vi pensiamo uniti alla gloria, all’Immortalità. Perché il cuore di ogni madre italiana, anche se sanguinante, anche se dilaniato, esulta del valore di tanti figli, vi benedice, vi ama di raddoppiato amore e, preparato a tutto sopportare purché l’Italia sia salva e grande, purché il domani arrechi una Pace di Civiltà e di Giustizia, invoca da voi, o figli adorati e lontani, la liberazione del sacro suolo della Patria dall’aborrito nemico!».

domenica 8 settembre 2019

Tempo di partenze



Partono senz’allegria. Partono senza dolore. Sanno che si deve, come la medicina che va presa nonostante il suo sapore amaro. È una storia che si ripete, che si tramanda come gli occhi scuri o le spalle larghe. Sono le strade dei nostri nonni, dei nostri genitori. Di quelli rimasti a casa di Cristo e sepolti lontani. Di quelli tornati per i propri figli, perché a loro fossero risparmiati gli addii sulle banchine.
Invece no. Si parte ancora. Sui treni, con le auto, in aereo. Come un sortilegio. Giovani con i trolley imbottiti di speranza e adulti con gli occhi bassi della sconfitta. Senza rimpianti, le lacrime asciutte di chi comprende il senso dell’ineluttabilità. Anche il nodo in gola è meno acre. Per chi resta è un dolore sordo, da interpretare. Pensieri cattivi che si vogliono scacciare lontano, come nuvole spazzate dal vento; ed è inutile piangersi addosso. Non è più tempo di lamenti, né di rabbia.
Nessuno che li trattenga; nessuno che sia capace di lanciare lo sguardo al di là del proprio miserabile orizzonte. Terra persa, terra maledetta. Con i suoi tramonti mozzafiato, con il suo mare colore del vino, con i suoi alberi puntati contro il cielo. Terra bella e maledetta. Che non sa afferrare un braccio, che non sa dire “restate”.
È la sconfitta dell’amore. È una condanna ai ricordi e alle videochiamate, sul comodino i sassolini della spiaggia e le fotografie di una favola triste.
Tra poco sarà inverno, la stagione delle lunghe notti. Chissà quanto ancora durerà questo buio, se mai passerà.

martedì 3 settembre 2019

La discarica della discordia



La Gazzetta del Sud di oggi dà notizia della lettera che come gruppo consiliare “Per il bene comune” ieri abbiamo depositato presso il protocollo del Comune. Le vicende della discarica “La Zingara” sono note a tutti; molti nodi, a nostro avviso, sono rimasti irrisolti e sono giustamente causa di forte preoccupazione: proprio per questo crediamo che sia necessario uno sforzo di trasparenza da parte di tutti gli attori e il coinvolgimento della nostra comunità, altrimenti anche questa – come quella dello svincolo – sarà l’ennesima decisione presa passando sopra le teste della popolazione. Di seguito, il testo completo della lettera indirizzata al sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte e, per conoscenza, al presidente del consiglio comunale e a tutti i consiglieri.

Gentile Sindaco,
ormai da diverso tempo si susseguono voci preoccupanti relative alla prossima apertura della discarica “La Zingara”, ricadente nel territorio di Melicuccà, ma situata pericolosamente nell’entrata del nostro comune. Come lei ben sa, tale eventualità è fonte di giustificata apprensione tra i nostri concittadini, per le possibili nefaste conseguenze ambientali. Già in passato, le popolazioni di Sant’Eufemia e di Bagnara Calabra manifestarono con forza la propria contrarietà: oggi quelle paure riemergono prepotentemente, a fronte di una decisione che la Regione Calabria ha assunto di concerto con l’ATO di riferimento, come emerge anche da recenti notizie di stampa (Il Quotidiano del Sud, 30 agosto 2019).
Abbiamo apprezzato la Sua ferma e contraria presa di posizione, in occasione della riunione tenuta il 30 luglio presso il Dipartimento Ambiente e Territorio della Regione Calabria, presente l’Assessore regionale all’Ambiente, il sindaco di Melicuccà, il vicesindaco del comune di Reggio Calabria, il consigliere regionale Giuseppe Pedà, i dirigenti del dipartimento.
Sui temi della difesa dell’ambiente e della tutela della salute dei nostri concittadini non possono esserci divisioni. Proprio per questo motivo Le chiediamo di farsi promotore di un’iniziativa (un incontro o un consiglio comunale aperto) che coinvolga le realtà associative della nostra comunità e la sua popolazione, per fare il punto della situazione e per valutare quali eventuali azioni possiamo tutti insieme intraprendere per difendere il nostro territorio.

I Consiglieri comunali
Domenico Forgione
Pasquale Napoli