lunedì 31 dicembre 2018

Il Natale di solidarietà dell'Agape 2018



Il Natale di solidarietà dell’Agape ormai da anni impegna i volontari in tre iniziative molto sentite, rivolte ai soggetti più deboli e svantaggiati della comunità eufemiese. La prima ha avuto luogo il 22 dicembre presso la Residenza Sanitaria Assistenziale “Mons. Prof. Antonino Messina”, con la quale sin dalla fondazione si è instaurato un rapporto molto stretto, fatto di visite durante l’anno e di appuntamenti fissi quali la Via Crucis nel periodo pasquale, la Giornata del Malato e, appunto, il pranzo di Natale. Calda e affettuosa come sempre l’accoglienza del personale della struttura, che ha allestito la sala e preparato il pranzo, poi servito agli anziani anche dai volontari dell’Agape. Graditissima la presenza del parroco don Marco Larosa e quella dei bambini delle seconde classi della scuola elementare “Don Bosco”, accompagnati dall’insegnante Rina Bagnato, che hanno reso magico il pomeriggio con le canzoni e le poesie dedicate al Natale. È stato emozionante vedere la stessa allegria sui volti di bambini ed anziani, immaginare lo scorrere del tempo e il filo rosso che lega passato e futuro.
 
Giorno 24 è stata invece la volta delle visite domiciliari agli anziani e agli ammalati del paese, con la consegna di un ricordino natalizio. L’occasione per stare un po’ insieme, scambiare qualche parola, fare compagnia. Ed è sempre emozionante sentire ogni anno una frase (“vi stavo aspettando”), che infonde calore e gratifica più di ogni altra cosa.
 
Infine, il 29, l’appuntamento importantissimo della “Tombolata di solidarietà”, al quale la comunità eufemiese ha risposto con la consueta e generosa partecipazione. I proventi della serata consentono infatti all’associazione di “vivere” e di realizzare durante l’anno significative azioni di solidarietà: dalla consegna di buoni alimentari a nuclei familiari in condizione di disagio economico al sostegno delle spese di qualche visita specialistica di soggetti con disabilità, all’organizzazione della colonia estiva per i disabili. Sant’Eufemia è una comunità molto sensibile e solidale. La grande partecipazione che la tombolata registra ogni anno costituisce per l’Agape e per il suo presidente Iolanda Luppino un incoraggiamento per continuare ad operare nel campo della solidarietà, per riuscire a regalare un sorriso o dare un minimo di sollievo a chi vive in condizioni di difficoltà materiale e morale.
 

venerdì 21 dicembre 2018

Schegge di 2018

Non è un bilancio. Mette tristezza fare bilanci. Sanno di conclusione, di definitivo, di irreversibile. Mentre la vita è un continuo divenire e ogni esperienza si incastra nel già vissuto: obiettivi da raggiungere, incontri, situazioni che confermano o modificano l’approccio con il mondo che ci circonda proiettandoci nel futuro che auspichiamo, temiamo, inseguiamo. La vita è un affascinante percorso a tappe. Ogni tappa rivela fatica, gioia, dolore. È tutta vita, da ascoltare anche quando la subiamo.
Cosa resterà, dunque, di questo 2018? Cosa mi resterà?
Il libro, certo. Il poeta e scrittore cubano José Marti sosteneva che “ci sono tre cose che ogni persona dovrebbe fare nella propria vita: piantare un albero, avere un figlio e scrivere un libro”. Sono tre azioni che profumano di domani, di un tempo che non vivremo e che non sapremo, ma nel quale forse ci saremo ugualmente.
La ricompensa per gli anni dedicati alla ricerca è una sensazione molto soggettiva, di “utilità” per una comunità che non può essere tale senza una memoria storica da condividere e da tramandare. Si tratti del libro sui soldati eufemiesi nella Grande guerra o degli articoli per il blog su Tito Fedele, Francesco Marafioti, Francesco Antonio Colella, Nino Fedele, Mimì Occhilaudi, Vincenzo Pietropaolo, i Wood o “il custode di vite”.
La ricompensa è negli incontri e nelle parole scambiate grazie a questa attività con persone che non conoscevo, con gli amici di sempre, con i ragazzi del liceo “Fermi”.
Bisogna avere cura della memoria. Una donna straordinaria come Liliana Segre ce lo ricorda con parole che tutti dovremmo ripeterci come un mantra, per non darla vinta – nel suo caso, ma il discorso ha un carattere più generale – ai criminali che hanno staccato dal selciato di una via della capitale le pietre d’inciampo con i nomi degli ebrei deportati e gasati nei campi di sterminio nazisti. Per questo non è stata per niente una buona notizia constatare che nella Giornata dei Musei della Calabria, alla quale aveva aderito anche il Piccolo Museo della Civiltà Contadina di Sant’Eufemia, le visite si sono contate sul palmo di una mano.
Occorrerebbe essere più presenti, partecipare al di fuori dello specchio deformante di social che frequentiamo con assiduità. Siamo sempre pronti ad esprimere la nostra opinione su tutto, in un mondo che sembra racchiuso nei trenta centimetri che vanno dai nostri occhi al display di un computer o di un telefonino. Pretendiamo di possedere la verità sulla tragedia del piccolo Alfie, sul dramma di Nadia Toffa, sulle infinite occasioni di “dibattito”: politica, medicina, economia. Utilizzando spesso toni aggressivi, vergognosi, imbarazzanti, che denotano un clima di preoccupante imbarbarimento. Non c’è materia sulla quale non sentiamo di potere (e dovere, in un certo senso) esprimere la nostra opinione.
Sappiamo tutto. Sappiamo tutto e invece non sappiamo niente. Siamo persino entrati nella testa di Pietro Tripodi, qualcuno ha addirittura sentenziato che potesse essere pericoloso. Senza immaginare che nella borsa che portava sempre con sé c’era la sua felicità. Ciò che a molti è potuto sembrare incomprensibile, era la sua vita. C’è poco da capire e meno da spiegare: massimo rispetto per un uomo che è passato accanto a noi senza disturbare e che senza disturbare è andato via.
Intanto si emigra come non accadeva da tempo. Un’emorragia di forze sane, preparate, con le carte in regola per affermarsi e per fare la differenza in tutti i campi. «Ce ne andiamo – scriveva Franco Costabile nel 1964 – senza sentire più/ il nome Calabria/ il nome disperazione». Ora come allora incapaci di reagire al dramma sociale di una terra che non riesce a dare una possibilità ai propri giovani e, in definitiva, a se stessa.

venerdì 14 dicembre 2018

Quelli che sono da “stendy novescion”


Diversi anni fa avevo dedicato agli strafalcioni grammaticali e sintattici più diffusi l’articolo “L’italiano, questo sconosciuto”. Da allora la situazione è peggiorata e, ahinoi, l’ulteriore sviluppo delle piattaforme social, ogni giorno, impietosamente ce lo ricorda. Nonostante, ad esempio, la scaltrezza di qualche originale giustificazione al consueto uso del condizionale al posto del congiuntivo: «Ho sbagliato a cliccare i tasti». Chapeau per la prontezza di riflessi!
D’altronde – ci informa Lercio – anche l’Accademia della Crusca, avvilita, ha alzato bandiera bianca di fronte ad uno degli errori più diffusi: «Scrivete qual è con l’apostrofo e andatevene affanculo».
Non tornerò pertanto su quanto già scritto. Chiedo però l’aiuto del genio eterno di Enzo Jannacci per mettere in fila, sulle note della celebre “Quelli che”, una selezione delle perle pescate qua e là nel 2018.
Sì, questo è un post da cantare, oh yes!

Quelli che hanno il vizio del gioco e si sono ridotti “all’astrico”
Quelli che hanno paura del “terramoto”
Quelli che “pultroppo” si muore
Quelli che muoiono nel “Niugersi”
Quelli che fanno le “condoglianse”
Quelli che “si dispenza” dalle visite
Quelli che vorrebbero vivere alle “Awai”
Quelli che tifano per una “scuatra” di calcio
Quelli che vanno in palestra e pubblicano la foto con la didascalia “wuork in progress”
Quelli che pregano Sant’Eufemia “Vergine e Madre”
Quelli che “avvolte” non trovano una spiegazione
Quelli che invece capiscono che “il senzo cera”
Quelli che “l’oro” lo sanno come va il mondo
Quelli che vanno “a daggio”
Quelli che sono da “stendy novescion”
Quelli che questa canzone potrebbe continuare “al infinito”… oh yes!

sabato 8 dicembre 2018

I leghisti calabresi e il carro dei vincitori



Non mi sorprendono i sei bus che partiranno dalla Calabria per partecipare, sabato 8, alla manifestazione in sostegno della Lega di Matteo Salvini. Così come non mi ha sorpreso il pienone registrato qualche giorno fa, alla manifestazione leghista di Roccella Ionica su “Giovani e politica”.
Nel Sud e in Calabria è sempre stato così, sin dai tempi dell’ascarismo giolittiano. In un bel racconto (“Masse e potere”, in: “Il popolo delle cantine e altri racconti della Caulonia di un tempo”), Ilario Ammendolia narra la storia di Ciccillo, nato ai primi del Novecento. Il nostro protagonista era appena un ragazzo quando nella cittadina si sparse la voce che dalla stazione ferroviaria (da raggiungere a piedi alla marina) sarebbe passato il principe ereditario, il futuro Umberto II. Vestito a festa dalla madre, anche lui assistette con altre centinaia di persone al passaggio del figlio di Vittorio Emanuele III: sindaco con tanto di fascia tricolore e cilindro sulla testa, carabinieri in alta uniforme, magistrati, gnuri e gente comune. Un’attesa frustrata dal ritardo del treno, che quando arriva rallenta appena ma non si ferma, per la delusione del sindaco, che aveva preparato due pagine di discorso, della banda musicale e dei cittadini accorsi: solo un veloce saluto con la mano portata alla visiera. Anni dopo sarebbe stata la volta del Duce. Anche in quella circostanza tutto il paese viene mobilitato: tutti vestiti in camicia nera o nelle divise delle organizzazioni fasciste ad accogliere l’Uomo della Provvidenza. E anche quella volta un passaggio rapido: il treno rallenta e subito riparte. Finita la guerra è la volta dei pullman per la DC di De Gasperi, per il PCI di Togliatti, per i monarchici di Lauro.
«Ogni volta – considera Ammendolia – la gente partiva a salutare il “Salvatore” di turno. Poi tutto tornava come prima». Ormai vecchio e stanco Ciccillo, che in gioventù aveva partecipato a tutte le manifestazioni, va anche a vedere Fanfani, all’epoca presidente del consiglio dei ministri, in visita al centro storico. Tuttavia, “un tarlo gli rodeva il cervello”: la constatazione di una “sostanziale continuità” tra vecchie e nuove generazioni, entrambe – ogni volta – esaltate e organizzate per acclamare il politico di turno “eccezionale”, colui che avrebbe risolto ogni problema. Ma che puntualmente non risolveva un bel niente, lasciando tutti con l’amaro in bocca.
Un Ciccillo vissuto negli ultimi 25 anni avrebbe probabilmente acclamato il Berlusconi “unto del Signore”, come molti in Calabria hanno fatto finché Sua Emittenza è stato l’elemento centrale della politica nazionale. Successivamente sarebbe impazzito per Renzi. Ho bene impresse nella memoria, per averle vissute da (allora) segretario del Pd di Sant’Eufemia d’Aspromonte, le primarie che incoronarono l’uomo di Rignano segretario nazionale e le successive regionali, che contrapposero Mario Oliverio e Gianluca Callipo nella candidatura a governatore. In entrambi i casi ci fu la straordinaria mobilitazione di un elettorato tradizionalmente e platealmente di destra a supporto di Renzi e di Callipo. Nel primo caso, perché l’exploit renziano era nell’aria e il berlusconismo allo sbando: insomma, personaggi in cerca d’autore se ne videro parecchi. Nel secondo caso, perché il Pd nazionale fece di tutto per stoppare una candidatura che godeva di ampi consensi, ma che risultava indigesta al giglio magico: ricordiamo tutti le pressioni per non fare svolgere le primarie e decidere il candidato a Roma.
Oggi Ciccillo è leghista, non ci sono dubbi: è stato al convegno di Roccella e sabato sarà a Roma. Niente di nuovo sotto il sole. Questo è il momento di Salvini: quelli più in buona fede si affidano al nuovo “salvatore”, quelli più furbi prosaicamente si schierano con il vincente di turno. Questi ultimi, in genere, sono quelli che decidono le elezioni: alcuni cambi di casacca e distinguo dell’ultimo periodo, dalla Sila all’Aspromonte, non fanno altro che confermare la tendenza atavica degli ascari nostrani ad accodarsi al potente del momento, in cambio della propria sopravvivenza e di qualche briciola. Il popolo, come Ciccillo, va avanti e indietro dalla stazione, con in mano il fazzolettino da sventolare.

*Il Quotidiano del Sud, 8 dicembre 2018 (“Lettere e interventi”).

mercoledì 5 dicembre 2018

Essere volontario


«Il volontariato costruisce comunità resilienti» è il tema scelto dall’Onu per celebrare la 33ª Giornata internazionale del volontariato, che in Italia ha avuto oggi il suo evento principale a Roma, con l’incontro organizzato dal Forum Nazionale del Terzo settore, da Csvnet e dalla Caritas Italiana: «Quando le persone fanno la differenza. Il volontariato che tiene unite le comunità».
Resilienza, ovvero la capacità di reagire di fronte ai traumi, di resistere agli urti della vita e di riprendere il cammino. In Italia sono oltre 5 milioni i volontari, impegnati in 340.000 tra organizzazioni, enti, associazioni: si occupano di assistenza agli anziani, ai disabili, ai soggetti che vivono in condizione di disagio sociale ed economico; promuovono i beni culturali e la tutela dell’ambiente. Si sporcano le mani e sono presenti dove spesso lo Stato non riesce ad arrivare, perché è distratto o perché non può contare su risorse adeguate.
A volte mi chiedo cosa significhi per me essere un volontario. Le domande alle quali è più difficile rispondere sono quelle che ci riguardano personalmente. Forse perché essere volontario è un sentimento e i sentimenti dipendono molto da circostanze che non sempre è facile preventivare né controllare, che cambiano e ci cambiano come è successo a me grazie a questa esperienza che dura da vent’anni. Sono stato in posti in cui mai pensavo che sarei stato in vita mia (Lourdes), semplicemente perché in quel momento servivo là. Credo che ci sia una buona dose di “utilità” nelle cose fatte da un volontario, che va ben oltre la retorica del “lasciare il mondo un po’ migliore”, della ricerca della felicità, del “si riceve più di quanto si dà”. Almeno, per me è così e ogni occasione è un’emozione diversa, per quanto forte.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha oggi ricordato che “il volontariato è un antidoto alle chiusure e agli egoismi che possono generarsi di fronte a momenti di difficoltà personale o collettivi”. Nell’essere volontario c’è, di fondo, un approccio alla vita fondato sulla consapevolezza di avere dei doveri nei confronti della propria comunità, che si traduce in senso di responsabilità. Il volontario non è un buono, nel senso che non è un santo: ha pregi e difetti esattamente come coloro che non fanno volontariato. Ecco perché, in teoria, tutti possono fare volontariato. Si sforza però di osservare la vita con occhi attenti o, meglio, di guardare “le” vite che molti fingono di non vedere.
Non so se questa sensibilità può condurre alla salvezza personale e, sinceramente, non credo neanche sia questo il punto. L’aspetto importante è la disponibilità del volontario a dedicarsi all’altro, in quello che Mattarella ha definito “uno spazio importante del protagonismo civico, prezioso alleato nella ricostruzione del desiderio di impegno politico e civile”.

martedì 4 dicembre 2018

Le rughe del sorriso


Carmine Abate ha impiegato tre anni per scrivere “Le rughe del sorriso”. Ed è sorprendente constatare come il suo ultimo romanzo irrompa con forza nel dibattito attuale attorno al tema dei migranti e dell’accoglienza. I grandi scrittori hanno la capacità di leggere in anticipo la direzione che prende il mondo: lo fanno per noi senza ideologismi, con la potenza evocativa del loro racconto. Capire che i numeri sono persone, questo è lo sforzo di umanità che occorrerebbe fare, a maggior ragione davanti ad una problematica così complessa: «Le storie necessarie – considera l’autore – ti vengono a trovare quando sono mature come un frutto, reclamano che tu le assapori, anche se sono amare, s’intrufolano dentro di te per coinvolgerti e aspettano la tua versione dei fatti, sapendo che ogni storia cambia a seconda di chi la racconta e di chi l’ascolta».
Un romanzo provvidenziale, che giunge in un passaggio storico delicato: non solo Riace e Mimmo Lucano, non solo i progetti di accoglienza, finiti sotto l’attacco di chi alimenta la paura sociale per tornaconto politico. L’odissea di Sahra, Faaduma e Maryan ha valore paradigmatico, è la condizione disumana, brutale, di tutti i migranti che sbarcano sulle nostre coste e dei tanti che muoiono durante il viaggio, nel deserto o in mare.
Non siamo più di fronte ad una situazione eccezionale, l’esodo biblico al quale stiamo assistendo è un fenomeno epocale ma ordinario, inarrestabile, e la società contemporanea è chiamata a farci i conti, comunque la si pensi. Non è sufficiente girarsi dall’altro lato, né pensare di fermare un’onda alzandoci contro un muro, perché l'onda quel muro lo abbatterà. Nei ringraziamenti finali l’autore cita una frase dello scrittore Alessandro Leogrande, scomparso l’anno scorso: «Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte. Sedersi per terra intorno a un fuoco e ascoltare le storie di chi ha voglia di raccontarle, come hanno fatto altri viaggiatori fin dalla notte dei tempi».

sabato 1 dicembre 2018

L'erezione del mignolo


- Oggi ho un mal di testa incredibile. La testa mi sta scoppiando. Cosa puoi darmi?
Bel problema, soprattutto se tu non sei né un medico, né un farmacista: purtroppo, sei soltanto un barista. Per mal di gola e chiusura delle vie respiratorie però sei preparato.
- Prendi queste caramelle alla menta. Già quelle nella confezione blu vanno bene, quelle nella confezione nera sono più forti, “liberano” che è una meraviglia.
- Bruciano molto?
- Ah, guarda: uno sturalavandini.
Vai a capire, poi, perché l’effetto balsamico dovrebbe “bruciare”. Misteri da bar, osservatorio privilegiato per lo studio della sorprendente varietà della natura umana. Che può manifestarsi in diversi modi: con i discorsi ripetuti all’infinito e le stesse cose ripetute ogni giorno, tutti i giorni. Con i problemi gravi e seri che possono sembrare sciocchezze; mentre problemi lievi, insignificanti, possono diventare ragioni di vita. Un mondo capovolto, fatto di gesti e rituali incomprensibili, curiosi, spesso originali nella loro irrazionalità.
Il mignolo teso in alto come una lancia da giostra, mentre pollice e indice portano alla bocca la tazzina del caffè, fa ormai parte della letteratura baristica internazionale. «Via er mignolo!»: raccomandava Nando Moriconi. Non molto ascoltato per la verità, ma con le dita è sempre complicato trovare un compromesso. Lo sapeva bene il conte Mascetti: «Lo vedi il dito? Lo vedi che stuzzica?».
Il mignolino in erezione, quindi: ma non solo. C’è chi accompagna ogni sorso con un “ah” di benessere, ad esempio. Un leggero sbuffo. Tre, quattro, cinque “ah”: e sono soddisfazioni per il barista. C’è invece chi bagna il bordo della tazzina con un po’ di caffè, per disinfettarlo. La prudenza in questi casi non è mai troppa. Chi invece non si fida delle proprietà disinfettanti del caffè e quindi si aggroviglia in gesti acrobatici, per poggiare le labbra sulla parte della tazzina meno toccata – si presume – dagli altri consumatori: proprio sopra il manico, più raramente nel tratto opposto. Chi invece no, nella tazza no: «Il caffè nel bicchierino di vetro ha un altro sapore». Chi l’acqua prima, per sciacquare; chi l’acqua dopo, per lavare. E poi i migliori: quelli del caffè lungo, “perché è più lento e fa meno male”; o del caffè macchiato, “che lo stempera” e, neanche a dirlo, “fa meno male”. Ma la dose di caffeina assunta dipende esclusivamente dalla quantità di caffè contenuta nella tazzina: più caffè uguale più caffeina. Elementare, Watson!
Non solo caffè, comunque. Interessante il metodo di “sgasare” le bibite aggiungendo e girando nel bicchiere una punta di zucchero: la glicemia sentitamente ringrazia. Così come andrebbero studiate anche le diverse tecniche di tenere la bottiglia della birra: piantata in cima alla pancia, e la potenza scenica del risultato dipende dalla circonferenza della pancia; oppure sotto un’ascella, mentre le braccia sono conserte sulla pancia di cui sopra. Senza dimenticare il tocco di classe dello schiocco della bottiglia con il pollice.
Ad ogni modo, il farmaco per sconfiggere il mal di testa al bar esiste: poche gocce di limone nel caffè non zuccherato. Un rimedio naturale infallibile. Se non ci credete, provate a chiedere al vostro medico curante.