martedì 30 luglio 2019

Dalla biblioteca ferdinandiana di Reggio Calabria alla "De Nava", il busto e la sala "Visalli"



Sono tre gli articoli del decreto “per lo stabilimento di una pubblica biblioteca in Reggio” firmato il 31 marzo 1818 dal re delle Due Sicilie Ferdinando I di Borbone e dal guardasigilli marchese Donato Antonio Tommasi. Nei primi due veniva stabilito il nome (biblioteca ferdinandiana) ed il sito (palazzo arcivescovile di Reggio Calabria, presso piazza Duomo). Nel terzo si specificava che la sua direzione sarebbe stata affidata ad un bibliotecario – che aveva anche l’obbligo “di dare ogni settimana due lezioni di biografia letteraria e di bibliografia” – scelto di comune accordo con l’arcivescovo di Reggio e con l’intendente della provincia (il progenitore del prefetto).
La biblioteca ferdinandiana, composta anche da una sezione di “libri e manoscritti patrij”, avrebbe riunito tutti i volumi dei padri filippini del capoluogo e quelli del seminario, realizzando così il proposito del sovrano di offrire ai propri sudditi “i mezzi, onde attendere alla cultura dello spirito”. La biblioteca è stata nel tempo più volte trasferita. A partire dal 1928 è ospitata nella villa “Pietro De Nava”, accanto alla quale nella seconda metà del Novecento è stato costruito un nuovo edificio, oggi sede centrale della biblioteca comunale “De Nava”.
Tra le tante donazioni che compongono il suo ricco patrimonio bibliografico, particolarmente significativa è quella effettuata dalla vedova di Vittorio Visalli, lo storico nato a Sant’Eufemia d’Aspromonte il 15 ottobre 1859 e deceduto a Reggio Calabria il 27 giugno 1931: circa 1.500 volumi, consultabili nel catalogo “Donazione Vittorio Visalli”. Le carte utilizzate per la stesura delle opere dedicate al Risorgimento calabrese sono invece conservate presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria (“Fondo Visalli, 1815-1893”).
A riconoscimento dei “meriti di storico e di educatore” dell’illustre eufemiese, all’interno della biblioteca “De Nava” il 29 dicembre 1932 fu collocato un busto in bronzo di Visalli, commissionato dal podestà reggino Pasquale Muritano. E proprio a Visalli è inoltre dedicata una delle attuali sale di lettura aperte al pubblico.

*Link utili su questo blog:
- Vittorio Visalli, da Sant’Eufemia al pantheon degli storici;
- L’epigrafe di Visalli, lo stupore di Mico;
- Garibaldi fu ferito. I fatti d’Aspromonte nella ricostruzione di Vittorio Visalli;
- Il terremoto del 1894 in una lettera di Vittorio Visalli;
- Vittorio Visalli, anche poeta.


Vittorio Visalli

sabato 20 luglio 2019

Viaggi sulla Luna



Mio nonno lo considerò un sacrilegio: «Ora viene la fine del mondo. La Luna non si deve toccare. È là, per i fatti suoi… perché l’uomo va a violare la sua tranquillità?». Più o meno le stesse parole ascoltate da un’anziana signora a corollario della consueta riflessione sulle stagioni che non sono più quelle di un tempo, una piovosa mattina d’agosto di qualche anno fa: «Da quando sono andati sulla Luna, si sciasciaru tutti i cosi».
D’altronde, ad un livello più “letterario”, un anno e mezzo prima dello sbarco dell’uomo sulla Luna, in una lettera a Italo Calvino la scrittrice Anna Maria Ortese aveva manifestato la tristezza e il fastidio (“e nella tristezza c’è del timore, nel fastidio dell’irritazione, forse sgomento e ansia”) che provava quando sentiva parlare di lanci spaziali e di conquiste dello spazio: si trattava di una violazione incomprensibile dello “straziante desiderio di riposo, di ordine, di beltà”. Opinione non condivisa da Calvino, il quale nella sua risposta sottolineava: «Chi ama la luna davvero non si accontenta di contemplarla come un’immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più».
E pazienza, quindi, se il 20 luglio 1969 l’uomo ne avrebbe profanato l’inviolabilità, a distanza di oltre quattrocento anni da Astolfo in cerca del senno perduto da Orlando, dopo il tradimento di Angelica. Un viaggio sul carro alato del profeta Elia, a differenza degli astronomi nel film muto Viaggio nella Luna, di Georges Méliès (1902), i quali compiono l’impresa a bordo di una navicella a forma di proiettile incredibilmente somigliante al modulo di comando dell’Apollo 11. Celeberrima la scena dell’allunaggio (diventata sigla del programma di RaiTre “Fuori Orario”), con il proiettile che, scagliato in orbita da un cannone, si conficca in un occhio della Luna abitata dai Seleniti.
Ad ogni modo, la Luna conserva intatto il suo fascino. “Silenziosa”, come ricorda il Poeta, là in alto continua a raccogliere i nostri travagliati pensieri e “forse” intende “questo viver terreno/ il patir nostro, il sospirar, che sia”.

mercoledì 17 luglio 2019

Conversazione su Camilleri



Azzurra Ridolfo fa parte di “Ali di Carta”, un gruppo culturale di Brolo (Messina) composto “per il momento” – precisa – da sole donne, che opera per la promozione della cultura attraverso la presentazione di libri, l’organizzazione di incontri-dibattiti, l’allestimento di rappresentazioni teatrali. “Ali di Carta” considera la riflessione e il confronto dialettico condizioni imprescindibili per la crescita civile di una comunità. In collaborazione con l’amministrazione comunale di Brolo e con la libreria “Capitolo 18” di Patti nel giugno del 2018 ha curato l’iniziativa “Un arancino con Camilleri”, che ha sviluppato il tema “Andrea Camilleri: scrittore siciliano e fenomeno pop”. La sinergia con l’Istituto alberghiero di Brolo ha inoltre consentito, in quell’occasione, l’omaggio “I sapori siciliani nei romanzi di Camilleri”. Ad Azzurra Ridolfo ho posto alcune domande sul “fenomeno” Camilleri.


Quando hai “conosciuto” Andrea Camilleri e qual è stata la tua prima impressione? 
Ho “scoperto” Andrea Camilleri nel 1995 leggendo “Il Birraio di Preston”. Mi trovavo a Palermo ospite di un’amica. Sulla sua scrivania scorsi il volumetto blu della Sellerio: il nome dell’autore, lo confesso, mi giungeva del tutto nuovo. Ad attrarmi furono il titolo e le lodi sperticate della mia amica che non riusciva a celare l’incontenibile soddisfazione di beccarmi in fallo. Quello stesso pomeriggio acquistai “Il Birraio di Preston”, “La stagione della caccia” e “La bolla di componenda”.

Cosa rappresenta per un siciliano Camilleri?
Camilleri della Sicilia porta addosso movenze, ammiccamenti, tratti somatici, linguaggio, espressioni. Per un siciliano Andrea Camilleri è “casa”. La Sicilia Camilleri se l’è sempre portata nel cuore o, come amava dire, nel taschino sinistro della camicia. Sul cuore. Quando lo ascolti parlare o leggi i suoi libri, riconosci luoghi, profumi, sapori, suoni familiari. È come se fosse un parente o il vicino di pianerottolo a cui puoi suonare alla porta, per chiedere il sale quando già bolle l’acqua per la pasta. È riuscito a sdoganare l’insularità facendola decollare verso l’universalità. Ha raccontato la Sicilia più vera e bella, quella delle tradizioni, dei sentimenti, dei paesaggi mozzafiato, della cucina.

In che rapporto sta Camilleri con altri grandi siciliani protagonisti della letteratura italiana? 
In un rapporto di assoluta parità. Lo collocherei nel nutrito stuolo di scrittori siciliani che hanno fatto grande la letteratura italiana: De Roberto, Buttitta, Bufalino. Agrigentino, innovatore, costruttore di trame, di grandi personaggi e sfondi pittoreschi come Pirandello; penso all’amicizia che lo legò a Sciascia, al loro rapporto franco, diretto, oserei dire, “impetuoso”; ai loro confronti che sfociavano spesso in accesi litigi senza, tuttavia, intaccare mai la stima reciproca. Si scontrarono spesso sul linguaggio, sull’uso dell’italiano. Quello limpido e accurato di Sciascia, restava perplesso di fronte alla lingua “shakerata” di Camilleri, nella quale l’italiano si unisce al siciliano in una amalgama potenzialmente difficile, rischiosa, azzardata che, però, alla fine, si rivela vincente dando vita a un registro linguistico nuovo e originale che riesce a esprimere compiutamente il sentimento contenuto nel concetto. I suoi libri sono come dei cocktail perfettamente dosati. Penso anche all’amicizia con Simonetta Agnello Hornby, di cui è stato mentore e sostenitore. La stima della scrittrice nei confronti del Maestro è palpabile nello stile linguistico dei suoi romanzi trasudanti di “sicilianità”, termine che lei non apprezza ma che a me dice tanto, e di termini siciliani. Lo scorso giugno, con il gruppo culturale di cui faccio parte, “Ali di Carta”, in sinergia con la libreria Capitolo 18 di Patti, organizzammo un pomeriggio con Camilleri per omaggiare quello che a nostro avviso rappresentava uno dei più importanti scrittori contemporanei. In quella occasione Simonetta Agnello Hornby ci rilasciò un’intervista esclusiva in cui raccontò del “suo” Camilleri, della loro amicizia, della generosità del maestro verso gli scrittori e, in generale, gli artisti emergenti. Una testimonianza preziosissima.

Quali sono le ragioni del “fenomeno” Camilleri e in che cosa consiste lo “stile” Camilleri? 
Camilleri ha internazionalizzato la lingua siciliana, ha creato il vigatese, un miscuglio originalissimo di italiano, siciliano, agrigentino, e “camillerese”. Una scelta nata dalla sua difficoltà a rendere l’essenza dei sentimenti utilizzando l’italiano. È riuscito ad abbattere muri linguistici apparentemente invalicabili, ad arrivare a milioni di lettori in tutto il mondo. Il vero miracolo, a mio avviso, sta nel fatto che anche nella traduzione in altre lingue, il vigatese restituisce ad un pubblico internazionale le sensazioni espresse nella lingua radicata in un territorio delimitato. Uno scrittore italiano, nato in Sicilia, che si porta dietro la sua sicilianità e che da questa prospettiva guarda al mondo partendo dal particolare, spaziando verso l’universale, perché “la Sicilia è infinita, arriva da per tutto. Basta portarsela in tasca”.

Tre aggettivi per descrivere l’uomo e lo scrittore Andrea Camilleri.
1) Impegnato. Io credo che Camilleri abbia svolto in maniera egregia il suo ruolo di intellettuale curioso, attento osservatore e commentatore della contemporaneità di cui ha sottolineato l’involuzione umanitaria e democratica. I suoi moniti affinché si arresti il pericoloso declino culturale e sociale attualmente in atto resteranno l’eredità più grande per le generazioni a venire.
2) Fantasioso. La fantasia, instillatagli dalla nonna Elvira in tenerissima età, è una costante nella vita di Camilleri. Le sue opere spaziano dalla poesia ai romanzi storici, dai polizieschi ai copioni teatrali, alla letteratura per bambini. E per essere così poliedrici, oltre ad una immensa cultura di base, credo ci voglia un’enorme fantasia.
3) Ironico. Guardare al mondo con il sorriso sulle labbra, sapere raccontare i fatti trovando sempre il lato comico, anche delle vicende più drammatiche, alleggerire senza mai perdere di credibilità e di sostanza, credo che sia un dono che gli dei hanno concesso a pochi eletti. Camilleri era uno di questi.

giovedì 11 luglio 2019

Il mio 11 luglio 1982



Pochi giorni dopo quell’11 luglio avrei compiuto nove anni. Per un bambino di nove anni i calciatori non sono uomini, ma supereroi. Come Superman o Batman, di quella genia insomma.
Non era iniziato bene il mondiale degli azzurri. Tre pareggi striminziti contro Polonia (0-0), Perù (1-1, gol di Bruno Conti), Camerun (1-1, gol di Ciccio Graziani) e il passaggio al secondo turno, in un girone di ferro contro l’Argentina di Maradona e Ardiles e il Brasile di Falcao e Zico (ma anche di Socrates, Junior, Cerezo). La critica e gli italiani sparavano quotidianamente contro gli azzurri. Per la prima volta nella storia del calcio italiano fu adottato il silenzio stampa. A parlare con i giornalisti, soltanto il capitano Zoff e l’allenatore Bearzot, entrambi friulani, entrambi taciturni.
Come spesso accade all’Italia quando si affaccia sul baratro, la squadra si compattò attorno al commissario tecnico e riuscì a realizzare l’impresa: 2-1 all’Argentina (Cabrini e Tardelli); 3-2 al favoritissimo Brasile (tripletta di Rossi); 2-0 alla Polonia in semifinale (doppietta di Rossi).
Il mio idolo nerazzurro in quel mondiale era Oriali, i cui polmoni e la “vita da mediano” sarebbero stati in seguito celebrati da Ligabue. Ma quando venivano chiamati in causa davano il proprio contributo Marini, Altobelli e il diciottenne Bergomi, lo “zio” che nascondeva la sua età dietro due incredibili baffoni neri e che disputò da veterano la finale. Ma c’erano anche i mostri sacri bianconeri Zoff, Scirea e Gentile, Cabrini con la sua modernità, il genio di Conti, il fiuto di “Pablito” Rossi e su tutti, almeno per me, Tardelli, per il quale stravedevo nonostante la Juve.
Ad ogni partita il “Bar Mario” registrava il pienone. Dopo la vittoria con il Brasile avevo rischiato di impiccarmi con la tenda mentre correvo fuori per esultare. Portai per giorni i segni sul collo e le ginocchia sbucciate. Quell’11 luglio sembrava di stare in curva. I più piccoli a gambe incrociate per terra, gli altri dietro, seduti nelle sedie o in piedi. Il televisore era un Phonola 28 pollici issato a un metro e mezzo d’altezza sopra due banchi, per consentire anche ai più distanti di vedere qualcosa.
Non facemmo nemmeno in tempo a recriminare per il rigore fallito da Cabrini, che il solito Rossi ci portò in un sogno dal quale ci svegliammo dopo l’urlo di Tardelli e il sigillo di “spillo” Altobelli. Indimenticabile il labiale del presidente della Repubblica Sandro Pertini, accorso a Madrid per la finale, dopo il terzo gol: «Non ci prendono più» (e altrettanto indimenticabile la storica partita a scopone sull’aereo presidenziale: Pertini e Zoff contro Bearzot e Causio, con la coppa del mondo appoggiata sul tavolo).
«Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo!» con la voce emozionatissima di Nando Martellini al triplice fischio. Poi uno scatto velocissimo verso l’uscita e a piedi fino a piazza Municipio, con le bandiere al vento e il cuore che andava a mille.

sabato 6 luglio 2019

Chissà che pensieri fai



Chissà che pensieri fai
se hai pensieri
nella bolla di sonno senza sogni
discorsi senza parole
viaggi senza passi.

Non è più la tua
quest’attesa di vetro
che ci separa,
di qua e di là della barriera
vita e morte.

Un sussurrare stanco
ferisce
dei giorni lenti
la quiete
e il muto presagio.


*Photo @marioforgione