sabato 30 giugno 2018

All'Agape il premio "Don Mottola" 2018


È stato un pomeriggio emozionante, quello che con l’Agape abbiamo trascorso a Tropea. Si vive anche di soddisfazioni e il premio che la Fondazione “Don Mottola” ha voluto assegnare alla nostra associazione è per noi un grande riconoscimento e motivo di gioia. L’incontro, moderato da Vittoria Saccà, ha registrato gli interventi di Paolo Martino, presidente della Fondazione; di don Ignazio Toraldo, “fratello maggiore della famiglia oblata”; di don Sergio Meligrana, parroco di Brattirò, che ha sostituito don Enzo Gabrieli, postulatore della causa di beatificazione di don Mottola; di Sua Eccellenza monsignore Luigi Renzo, vescovo di Mileto, Nicotera e Tropea.
Questo premio per la nostra associazione vale tantissimo. Il Venerabile don Francesco Mottola è stato giustamente definito “una perla del clero calabrese”, per la sua attività finalizzate all’accoglienza e all’assistenza dei disabili: “Io sono una povera lampada che arde in cerca dei cieli”, diceva di se stesso. Ma quanta luce ha emanato questa povera lampada? Quanto amore ha dispensato? Don Mottola è stato un apostolo dell’impegno in favore degli ultimi e ha lasciato una traccia profonda, insegnamenti che oggi camminano sulle gambe di chi ne ha raccolto l’eredità. Vedere il nome della nostra associazione accostata ad una figura così luminosa della Chiesa, è stata un’emozione forte.
Ha ritirato il premio la nostra presidente, Iole Luppino, che per una curiosa coincidenza ha la mia stessa età dell’Agape, fondata nell’ormai lontano 1991. E se guardiamo dentro questo lungo periodo, non possiamo non vedere che questa “lunga storia d’amore” si è nutrita dell’impegno di tanti volontari, di tanti ragazzi e ragazzi, giovani e meno giovani che hanno portato avanti un messaggio di solidarietà e di amore per i più deboli nella comunità eufemiese.
Proprio per questa ragione il premio “Don Mottola” va diviso con tutti i soci che nei suoi 27 anni di vita hanno fatto parte dell’associazione; con i due precedenti presidenti (Luigi Surace e Pasquale Condello); con don Benito Rugolino, alla cui azione religiosa e spirituale si deve la costituzione dell’associazione; con i volontari che purtroppo non sono più tra di noi fisicamente, ma che di certo lo sono nello spirito per l’esempio di vita e di amore per il prossimo che ci hanno regalato.
L’Agape ha dato a molti di noi l’opportunità di impegnarsi nel sociale, coltivare rapporti di amicizia e condividere percorsi di vita, ma soprattutto ci ha regalato e continua a regalarci tante piccole gioie che riempiono la nostra vita di valori autentici. Siamo nati come “costola” del Centro comunitario Agape di Reggio Calabria, fondato nel 1968 da don Italo Calabrò, un’altra figura luminosa della chiesa calabrese, portatore di un messaggio di fratellanza universale: «Amatevi tra di voi di un amore forte, di autentica condivisione di vita; amate tutti coloro che incontrate sulla vostra strada. Nessuno escluso, mai!». È quello che cerchiamo di fare nel nostro piccolo e con le nostre piccole forze. Il riconoscimento di oggi ci conforta sulla bontà di quanto è stato finora realizzato e rappresenta uno stimolo a fare ancora meglio.










lunedì 25 giugno 2018

Il trionfo della post-verità



Tempi duri per chi non ha in tasca una verità assoluta, che non ha bisogno di essere argomentata per imporsi su un pubblico sempre più refrattario al metodo del confronto tra idee contrapposte, in una cornice di rispetto delle regole basilari per ogni civile discussione. I ragionamenti sono orpelli del passato, tempo perso in un mondo che va di fretta e che richiede presenza scenica, anche a costo di smentire domani ciò che si è sostenuto oggi: è molto più semplice cavarsela con gli striminziti caratteri di un tweet all’ora, restando comunque sul pezzo dell’eterna competizione per la visibilità.
La mancanza di contraddittorio consente ad ogni utente di essere custode di una verità (la propria) che non ha bisogno di essere supportata da riscontri fattuali, perché suo habitat naturale sono le emozioni. Ma la verità è fatta di sfumature che non tutti sono in grado di cogliere, può essere addirittura ingannevole come quella di Sciascia: «La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità». Richiederebbe, in ogni caso, uno sforzo dialettico dal quale oggi la comunicazione sui social sfugge con calcolo premeditato. Il confronto può avere come conseguenza la revisione del pensiero, la sconfessione di una verità strumentale ma utile alla propria affermazione. In una realtà di compartimenti stagni, incomunicabili tra di loro, non conviene: per il politico-comunicatore le priorità sono marcare il territorio e tenere unito l’esercito dei difensori della propria verità.
L’epoca della post-verità concede inoltre ad una schiera sterminata di utenti la possibilità di trovare nei social uno strumento di riscatto personale; l’occasione di uscire dal grigiore del proprio anonimato sentendosi protagonista di un’opera nientemeno purificatrice, tanto necessaria quanto osteggiata dagli impalpabili poteri forti, dalla casta, da tutta una serie di personaggi inclusi apoditticamente nella categoria del “nemico”. Chiunque può veicolare notizie, la deontologia professionale è un ricordo del passato che nulla può di fronte a ragioni superiori: aiutare l’umanità a diventare soggetto consapevole, scoperchiare le falsità messe in circolazione dalla solita stampa prezzolata.
L’irresponsabilità e la sostanziale impunità offrono un vantaggio non irrilevante agli avvelenatori di pozzi e ai divulgatori di fake news che sguazzano nello stagno fetido dei sentimenti primordiali. Uno studio su Twitter pubblicato dalla rivista scientifica “Science” avverte che «le notizie false hanno sempre la meglio sulla verità, raggiungono più persone, penetrano più in profondità nei social network e si diffondono molto più rapidamente delle notizie vere». Sette volte su dieci una bugia ha più possibilità di essere ritwittata rispetto a una notizia vera, fondamentalmente perché essa provoca nell’utente un’emozione maggiore (indignazione, sorpresa) rispetto alla reazione che si ha di fronte a notizie non “forti”, in qualche modo ordinarie. In definitiva, i social amplificano la falsità a discapito della verità ed il guaio – questa la conclusione ripresa dal settimanale “Internazionale” – è che «nessuno (esperti, politici, aziende tecnologiche) sa come cambiare questa tendenza».
Non siamo messi affatto bene.

domenica 17 giugno 2018

Topolino, solo un fumetto?



Un mio vecchio professore raccontava spesso che a suoi figli faceva leggere Topolino, perché era un fumetto utilissimo come una lezione di grammatica e di sintassi, scritto in italiano perfetto e ricorrendo ad un lessico sempre appropriato. Una regola generale afferma che, per imparare a scrivere, è necessario leggere tantissimo. Per cominciare, Topolino è il meglio che si possa trovare in circolazione. So anche di adulti che continuano ad appassionarsi alle avventure di Topolino, Paperino, Zio Paperone e di tutta l’allegra brigata ideata da Walt Disney: autore che, tra l’altro, sui social contende ad Alda Merini la palma di aforista più citato. Questo per dire dell’attualità del personaggio.
A un certo punto della mia vita ho abbandonato il fantastico mondo di Topolino e dei molti altri fumetti divorati nel corso dell’adolescenza. Questa occasione però era ghiottissima: il numero speciale per i 110 anni dell’Inter… cercato disperatamente in edicola e, dopo tre mesi, ricevuto grazie al miracolo di un’anima pia. – Eureka! – esclamerebbe per la gioia Archimede Pitagorica!
Ed eccomi qua, in questa piovosa mattina di un giugno novembrino, alle prese con le glorie nerazzurre del passato e del presente in versione Disney: il portierone Poldo, capitan Zampetti, bomber Icarduck e l’allenatore Spallucci. Finire “paperizzati” non è cosa da poco, non per tutti, come è stato ammesso da chi ha avuto questo privilegio: Vasco, Mina, Pippo Baudo, Mike Bongiorno, Jovanotti, Fiorello e altri.
Leggere Topolino riporta all’autenticità dei giusti. Come nella storia della cittadina Magnacopia Prosperosa, che l’alchimista Ilarione della Cupiditate trasforma in Frignonia Gemebonda per il mancato rispetto della parola data. O in quella ambientata ad Orobomis, dove Barny stringe con Gaglioff un patto che lo rende ricco ma lo costringe a vivere nascosto. «Oh, una bella vita davvero, Barny! Sempre a nasconderti! Ne è valsa la pena?» – le parole del fratello “buono”, che non ha alcun dubbio su cosa conti davvero nella vita: «Non è il denaro che cerchiamo, fratello, ma la conoscenza».
Proviamo a trasferire dalle vignette alla realtà il senso di questi messaggi: sicuro che si tratti di un “semplice” fumetto?

giovedì 14 giugno 2018

Un giochino per conoscere meglio il mondo


L’inserto del “Corriere della Sera” #buonenotizie di questa settimana presenta un quiz interessante per verificare cosa sappiamo a proposito di temi importanti quali la sostenibilità, l’ambiente e i diritti. Ne ripropongo i risultati, con la speranza di fare cose utile a coloro che hanno voglia di approfondire questioni anche spinose sulla base di dati ufficiali e il più possibile “asettici”, scevri cioè della vis polemica che spesso caratterizza il dibattito politico nostrano.

VITA SULLA TERRA. Ogni minuto nel mondo vengono distrutti 18,7 milioni di ettari di foreste, l’equivalente di 27 campi da calcio.
POVERTÀ. Nel 2016 l’82% della ricchezza prodotta è andata all’1% della popolazione mondiale. Più nello specifico, 8 miliardari possiedono la stessa ricchezza di metà della popolazione mondiale, mentre 3,7 miliardi di persone (la parte più povera della popolazione) non hanno aumentato la propria ricchezza.
SALUTE E BENESSERE. Dal 1990 ad oggi si è registrata la diminuzione di oltre il 50% delle morti infantili “prevenibili” (meno 45% la mortalità materna). Tuttavia, ancora 6 milioni di bambini muoiono di prima di avere compiuto cinque anni.
ENERGIA. Paraguay, Uruguay, Islanda, Costa Rica e Norvegia producono quasi il 100% della loro elettricità facendo ricorso a fonti energetiche rinnovabili. Circa il 60% delle emissioni di gas serra è dovuto alla produzione di energia “non verde”.
UGUAGLIANZA DI GENERE. Nonostante la politica delle quote “rosa”, le donne occupano soltanto il 23,7% dei seggi parlamentari. Nel settore privato, occupano meno di un terzo delle posizioni dirigenziali e dei quadri intermedi.
ACQUA. Circa il 40% della popolazione mondiale vive in una condizione di carenza di acqua, una percentuale destinata ad aumentare con il rialzo delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici.
STRANIERI. Nel 2105 i migranti hanno prodotto 6.700 miliardi del Pil mondiale (più di 3.000 rispetto a quello che avrebbero prodotto nel proprio paese di origine).
CITTÀ SOSTENIBILI. Sono 330 milioni le famiglie nel mondo (1,2 miliardi di persone) che non hanno la possibilità di avere un’abitazione sicura e ad un prezzo accessibile. La carenza abitativa è destinata a crescere del 30% entro il 2025.
AGRICOLTURA. Foreste e biodiversità sono minacciate, il cambiamento climatico aumenta i rischi di siccità e inondazioni. Globalmente l’11% (una persona su nove) della popolazione è denutrita: l’altra faccia della medaglia è la condizione di sovrappeso che caratterizza il 40% degli abitanti nel mondo: uno su dieci è addirittura obeso.
LONGEVITÀ. Nel 2105 sono stati registrati quasi 500.000 centenari nel mondo, più di quattro volte rispetto al 1990. Dai dati disponibili i paesi con un maggior numero di centenari sono, nell’ordine: Stati Uniti, Giappone, Cina, India e Italia.

Queste le “fredde” cifre di una situazione caratterizzata da fenomeni economici e sociali complessi, che vanno governati con lungimiranza. Le risorse naturali non sono infinite e siamo in miliardi a dovere convivere e vivere dignitosamente su questo mondo che l’uomo sta cercando in ogni modo di distruggere.

lunedì 4 giugno 2018

La pacchia


Gli immigrati sono i nuovi ebrei, la feccia del mondo sulla quale scaricare l’istinto animale di una società in sofferenza. Nei momenti più bui della storia dell’umanità, per giustificare odio e violenza si è sempre cercato un capro espiatorio. Oggi il capro espiatorio è il colore della pelle di chi non ha niente, se non la forza delle proprie braccia pagata a 2-3 euro l’ora. Quelli che “rubano il lavoro agli italiani”.
Della vicenda di Sacko Soumalia so quello che ho letto sui giornali o facendo un giro nella rete. Forse stava rubando vecchie lamiere da una fabbrica in disuso per potere sistemare alla meglio il suo fatiscente alloggio del ghetto di San Ferdinando, una struttura che grida vendetta al cospetto di Dio. O forse era un sindacalista che lottava per migliorare le condizioni lavorative e di vita dei propri compagni sfruttati nella piana di Gioia Tauro.
Dal mio punto di vista è irrilevante. Quel che conta è che è stato ucciso un ragazzo di 29 anni con un colpo di fucile sparato da 60 metri; ed io penso che in una società appena appena “umana” non dovrebbero esistere cecchini che sparano per uccidere altri uomini. Penso anche che a Gioia Tauro un cecchino non avrebbe preso la mira contro un ladro bianco, magari calabrese: la vita di un negro non vale niente, solo partendo da questo assunto si può comprendere la barbarie del gesto.
Ieri il “Corriere della Sera” ha pubblicato un’intervista all’ex ministro dell’Interno Marco Minniti che andrebbe incorniciata. Non esiste altra via che quella della ricerca di un punto di sintesi tra le ragioni della sicurezza e quelle del rispetto dei più elementari principi di umanità.
La propaganda elettorale permanente nella quale viviamo, alimentata da una studiata strategia mediatica, non ci permette di fermarci per riflettere sulla complessità del fenomeno migratorio. Soffiare sul fuoco dell’odio di un elettorato impaurito e arrabbiato è politicamente redditizio. Ma poi ci sono responsabilità di governo urgenti e ineludibili, ai quali non si può dare risposta a colpi di tweet o di video-messaggi privi di contraddittorio: anche perché i migranti continuano ad arrivare. La questione è come affrontare le problematiche connesse ad un esodo inarrestabile: e questo c’entra poco con “gli stranieri che delinquono”.
Le semplificazioni vanno bene in campagna elettorale, meno quando si tratta di governare. Alimentare tensioni è da irresponsabili. Un ministro dell’Interno non può e non deve essere irresponsabile: non può permetterselo, né può esprimersi come l’avventore di una bettola.
Due anni fa mi trovavo ricoverato all’ospedale “Riuniti” per un piccolo intervento. Nella notte furono portate diverse donne, sbarcate nel porto di Reggio Calabria con altre centinaia di disperati che avevano affrontato il viaggio dall’Africa stipate nel vano motori. Avevano ustioni su tutto il corpo, soprattutto alle gambe e alla schiena, tanto che non riuscivano a stare sdraiate sopra il lettino. Uno strazio. Le vedevi tutto il giorno piegate sulla pancia, appoggiate nella parte centrale del materasso, come se stessero affacciate ad una finestra. La finestra della libertà, dalla quale affacciarsi con gli occhi gonfi di paura e di sofferenza, nel petto la speranza di una vita migliore. La “pacchia” no, nei loro occhi quella non si leggeva.