domenica 28 ottobre 2012

Il giornalismo copia-incolla

Sostengo da tempo che tutti i giornali locali dovrebbero fare uno sforzo economico per assumere in redazione un giornalista che si occupi esclusivamente della supervisione dei contributi di giornalisti e collaboratori vari. Figura professionale che tra l’altro esiste e la cui importanza nell’economia di un giornale non va assolutamente sminuita. Sono innumerevoli i casi di giornalisti famosi che hanno iniziato come correttori di bozze. Partendo dal gradino più basso, Eugenio Balzan arrivò addirittura alla direzione amministrativa e alla comproprietà del “Corriere della Sera”, negli anni in cui il giornale di via Solferino era diretto da Luigi Albertini.
Ciò eviterebbe lo spettacolo che si presenta agli occhi dei lettori con la pubblicazione di strafalcioni ortografici e sintattici raccapriccianti e, francamente, inammissibili. Se poi il correttore di bozze fosse anche un discreto lettore di libri (dotato di un minimo di cultura generale) e un fruitore attento alle dinamiche e alle modalità della comunicazione sul web, il giornale farebbe bingo.
Quanto meno non incapperebbe nella figuraccia occorsa a Calabria Ora. Il giornale diretto da Piero Sansonetti, nell’edizione di oggi, ha infatti dedicato uno speciale di tre pagine (I Quaderni di Calabria Ora) ai novant’anni della “marcia su Roma”. A pagina 14, Quel che resta a 90 anni da quella marcia, articolo di Giuseppe Cantarano. A pagina 15, due interviste: la prima, di Marco Cribari, al presidente de “La Destra” Francesco Storace (“Negarla? È antistorico”); la seconda, di Camillo Giuliani, allo storico Giovanni De Luna (Fu vera rivolta solo nel ’25). Il capolavoro (si fa per dire) è però a pagina 16, interamente riservata alla ricostruzione della “marcia” (La capitale sotto tiro). Insospettito dalla mancanza della firma dell’autore in calce all’articolo, ho voluto prendermi la briga di fare una veloce verifica. Come sospettavo, l’articolo è tagliato/ copiato/ incollato dalla voce “marcia su Roma” presente su Wikipedia, “l’enciclopedia libera e collaborativa”, redatta sostanzialmente dagli internauti e cliccatissima sul web. Pezzi interi sono copiati e incollati, altri modificati soltanto nel raccordo tra un taglio e l’altro (l’articolo online è infatti più lungo di quello del quotidiano calabrese).
La deontologia, in questi casi, prevede la citazione della fonte e il virgolettato, ma per ragioni facilmente intuibili non “fa figo” citare Wikipedia, molto utilizzata (ahinoi) dagli studenti per le loro ricerche, ma sulla cui autorevolezza è bene non mettere la mano sul fuoco.
Il giornalismo copia-incolla è la metafora di un’epoca che ha messo sull’altare l’approssimazione, la superficialità e la strafottenza. Tempi tristi.

martedì 23 ottobre 2012

Lettera a G.

Ti ho visto poco fa: eri su un manifesto, attaccato a un muro. Proprio ieri, a pranzo, si parlava di te, di quanto manca la tua allegria, quel modo unico di stare in compagnia, la conversazione “pirotecnica” (bravu pe’ ’na vita!), la gestualità che era essa stessa parola, il racconto di storie incredibili. O soltanto di una filastrocca in dialetto, una qualsiasi del tuo inesauribile e comicissimo repertorio. Ecco, se c’è una cosa che rimpiango, è di non averti mai detto di “passarmele”, di farmele scrivere e conservare.
Dicono che il modo migliore per ricordare chi non c’è più sia farlo con il sorriso sulle labbra. Magari quello che tu sempre riuscivi a strappare, a chiunque. Come quella volta che, chissà in quali pensieri assorto, dimenticai di servirti il cucchiaio accanto al bicchierino del caffè (ché nella tazza non ti piaceva). Aspettasti un po’, guardandomi in silenzio, dopo di che, senza scomporti minimamente, girasti il caffè con l’indice!
Il bar di mio padre è stato, per me, il dono irripetibile dell’affetto (da bambino) e dell’amicizia (da adulto) dei suoi amici. Privilegio tremendo, con il passare degli anni. Mimmareddu, ma anche Marieddu e Loigeddu: la conosco bene quella voce, per questo mi viene difficile sorridere, ora. Forse un anno è troppo poco. Forse davvero soltanto il tempo riuscirà a riempire un po’ di vuoto.
Potrei raccontare centinaia di aneddoti. Le storie sul periodo che trascorresti in Germania, da giovane emigrato: eins, zwei, drei, quando volevi insegnarmi i numeri in tedesco. L’episodio, inverosimile (ma con te era sempre difficile capire dove finisse il gioco e dove iniziasse la realtà), della foto della tua pancia esposta per due mesi in non so quale museo.
O di quando andavamo a caccia. In realtà, io ero un elemento scenografico, non avendo mai sparato un colpo di fucile né allora, né dopo. Però a dodici, tredici anni era una gara tra fratelli per stabilire a chi toccava alzarsi alle 4.00 l’indomani mattina. La lampadina accesa per fare capire che eravamo pronti, il caffè caldo e poi sulla macchina (la tua golf modello preistorico o la 127 di mio padre). Il freddo, l’attesa, il ritorno, le tipiche pose da cacciatore, il giro in paese per zittire tutti gli spraticuni che si spacciavano per cecchini infallibili.
Ricordi che si accavallano. Quella passata con l’organetto e la tua ospitalità. La sacralità della preparazione delle polpette e quel tuo tratto caratteristico di “imboccare” l’ospite, di dedicare a due come a trenta commensali un’attenzione particolare, una cura di parole e bocconi, il sollievo di ore e ore di spensieratezza. Perché il tempo, con te, di certo non era un’entità assoluta.
Il racconto sulla vita degli animali – “Piero Angela può venire a lezione da me” – e il religioso silenzio con cui seguivi i documentari alla televisione. La descrizione dell’accoppiamento delle api, racconto fantastico di una quarantina di minuti che ci fece ridere fino alle lacrime. L’adorno, che ti piaceva osservare con il cannocchiale “mentre teneva stretto nel becco un insetto”.
Mi è capitato di sognarti, ma mai il sogno o la fantasia possono avvicinarsi alla realtà di quella volta che mi portasti nel tuo orto per farmi raccogliere una busta di mandarini. “Li devi assaggiare”, mi avevi detto. Ci andammo subito dopo pranzo. Venne a recuperarmi mio padre a notte fonda, dopo non so quanti litri di vino, soppressate e formaggio consumati con il pan biscotto, io, tu e un amico passato per caso da lì e prontamente da te sequestrato. Che poi – si sa com’è quando si sta in compagnia – i mandarini non facemmo in tempo neanche a raccoglierli.

giovedì 18 ottobre 2012

Chi cerca, (non sempre) trova

Sono stato di recente alla biblioteca comunale di Polistena. Fornitissima, in possesso di volumi dei quali neanche la biblioteca nazionale di Firenze è dotata. Un’eccellenza? La classica mosca bianca nel panorama desolante dei servizi culturali offerti a queste latitudini? Avremmo voluto che fosse così. Le condizioni ci sarebbero. E però.
C’è sempre un però nelle vicende concernenti quel che di buono la nostra terra potrebbe offrire. Un “però” che ho scoperto un paio di settimane fa, al momento della richiesta per la consultazione di due testi che l’OPAC (On-line Public Access Catalogue) indica in possesso della sola biblioteca di Polistena.
L’impatto è surreale. Si entra nei locali della biblioteca e la prima sensazione è di smarrimento. “Staranno effettuando un trasloco”, la mia prima considerazione. Dappertutto, scatoloni pieni di libri e oggetti del museo civico di Polistena, provvisoriamente sistemato nelle stanze della biblioteca (statue, mobili, reperti vari). Sommersa, la postazione dell’impiegata comunale: gentilissima e garbata, visibilmente dispiaciuta per la condizione in cui si trova ad operare.
Abbiamo cercato, insieme, i libri. Invano. Come cercare un ago in un pagliaio. Scaffali sovraffollati, oltre ogni logica. Due, tre file di libri accatastati, dei quali diventa difficile leggere il titolo, se non dopo averli tirati tutti fuori dalla loro sede. Libri per terra, fuori e dentro scatoloni pieni zeppi, privi di un numero di inventario o di una qualsiasi collocazione. Ricerca vana, dunque. Non mi è rimasto altro da fare che lasciare il mio recapito telefonico, per cui sarò avvisato se e quando i due volumi saranno rintracciati.
Da quel che ho capito, biblioteca e museo civico dovrebbero essere trasferiti nel Palazzo Sigillò, appena (quando?) termineranno i lavori di restauro e la struttura diventerà il “Palazzo della Cultura” di Polistena. Fatto sta che, nell’attuale condizione, la biblioteca non ha alcuna utilità poiché un patrimonio librario (circa 60.000 volumi, con un’eccellente sezione “Calabria”) ed emerotecario equiparabile, per certi versi, a quello della biblioteca “Pietro De Nava” di Reggio o alla “Domenico Topa” di Palmi, nel “buco” in cui si trova non è di fatto fruibile. Un vero peccato.

mercoledì 10 ottobre 2012

L'alba di un nuovo giorno

“Vogliamo che Reggio Calabria possa trovare la serenità e possa riprendere il suo cammino. Saremo molto vicini alla città di Reggio Calabria: come governo abbiamo deciso di mettere a disposizione tutti gli strumenti necessari e possibili per fare risorgere questa città, per dare a questa città delle risorse importanti, compatibilmente con i mezzi che abbiamo a disposizione. Questo è un atto di rispetto per Reggio Calabria”.
[Anna Maria Cancellieri – ministro dell’Interno]


Non c’è da gioire.
Lo scioglimento dell’amministrazione comunale di Reggio Calabria per “contiguità” con la ’ndrangheta è una ferita lacerante, che brucia nelle carni delle istituzioni e della società civile. Un primato non certo invidiabile (non era mai successo per un comune capoluogo di provincia), “addolcito” dalla presentazione come atto preventivo, non sanzionatorio, e dal riferimento alla brevissima esperienza di Arena, con esclusione dell’era Scopelliti. Dura da digerire, in ogni caso. Sul piano politico, appare arduo trovare punti di discontinuità in quel “modello Reggio” che ha scandito l’ultimo decennio a Palazzo San Giorgio.
Non c’è da disperarsi.
Il provvedimento governativo non è il frutto delle invenzioni giornalistiche dei “nemici di Reggio”. Il complotto non esiste. Esistono le 250 pagine di relazione della commissione d’accesso; esistono le 3.000 pagine di allegati. Lo scioglimento è stato deciso dopo una lettura attenta di questo corposo materiale, non sulla base di una presunta ostilità del governo centrale nei confronti di Reggio. Un marchio indelebile, quindi, ma anche l’opportunità, per tutti, di ripartire con umiltà, serietà, trasparenza.
Né gioia, né disperazione.
Ma l’alba di un nuovo giorno. E diciotto mesi per fare chiarezza e stabilire, una volta per tutte, chi possa realmente essere considerato “nemico” e chi “amico”. Nei fatti, non con gli slogan.

lunedì 8 ottobre 2012

Gianluca e Camilla

Come si fa a non perdonare uno che chiede scusa davanti a tutta Roma?
Già sono tempi abbastanza tristi, per tirare su il morale serve qualche bel lieto fine, un "e tutti vissero felici e contenti", come in quei film strappalacrime in cui tutto si risolve nell'ultima scena, con lui (o lei) che riappare quando ormai sono finiti anche i fazzolettini, la sala è tutto un singhiozzare e tutti pregano che non si riaccendano le luci per non fare vedere occhi arrossati oltre ogni umana possibilità.
Forza Gianluca.
Forza Camilla.


giovedì 4 ottobre 2012

Epic Fail

Nel linguaggio dei social network, con Epic Fail (fallimento epico) s’intende un enorme sbaglio (qualcosa di simile a una figuraccia), immortalato in un video o in una foto. Ad esempio, certe scritte sgrammaticate che si leggono sui muri delle città.














O immagini buffe, incredibili, che suscitano istintivamente una fragorosa risata.















Qualcosa di simile è capitato con il post che ho pubblicato stamattina per rispondere a un fantomatico Rocco Cutrì. “Fantomatico” non perché Rocco non esista, ma perché non è lui l’autore del commento all’articolo Strettamente personale che aveva provocato la mia reazione.
Negli ultimi tempi sul blog registro, con maggiore frequenza rispetto al passato, incursioni incresciose. Per questo sono stato costretto a inserire la funzione “moderazione” nei commenti, che non pubblico se contengono attacchi o offese anonime nei confronti di chicchessia. In questa circostanza, sono stato tratto in inganno dal fatto che l’intervento era sottoscritto con nome e cognome, anche se per tutta la giornata di ieri ho avuto il dubbio che si trattasse di un troll (chi, su internet, pubblica messaggi provocatori).
Conosco Rocco, al quale ho pure avuto modo di esprimere (qui) il mio apprezzamento, ai tempi della sua esperienza amministrativa, e proprio per questo ero rimasto sorpreso e amareggiato. Purtroppo, non sono però riuscito a rintracciarlo, prima di postare l’articolo, per accertare al cento per cento che quelle parole fossero davvero roba sua. Errore da matita blu: mea culpa.
Ne hanno fatto le spese, involontariamente, anche Nino Creazzo e Carmen, intervenuti in mia difesa con parole abbastanza pesanti. Mea culpa, anche nei loro confronti.
Ho eliminato dal blog il post che avevo scritto stamattina e i commenti che hanno suscitato questo vespaio, a partire, ovviamente, da quello inviato dal simpatico usurpatore.
Nella foto sotto, eccomi nel momento in cui scopro di essere stato “trollato”, un attimo prima di sbattere contro la verità (è quella cosa di ferro orizzontale).