Possono girarci e rigirarci attorno quanto gli pare. Spaccare il pelo in quattro dopo averlo trovato nell’uovo. Accampare tutti i sentimenti di riconoscenza e di devozione di questo mondo. Insistere con la tiritera delle toghe rosse e dell’ineluttabilità delle barricate contro il golpe giudiziario. Rispolverare la blasfemia costituzionale dell’asservimento della magistratura al governo, in spregio alla classica tripartizione dei poteri.
La sostanza del voto alla Camera del 5 aprile però non cambia. Trecentoquattordici deputati hanno ritenuto legittima la richiesta di sollevare davanti alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione nei confronti dell’autorità giudiziaria (Procura della Repubblica e giudice per le indagini preliminari di Milano) per spostare il processo “Ruby” dal Tribunale di Milano al Tribunale dei ministri, sulla base di una motivazione che sta rendendo l’Italia ridicola agli occhi del mondo intero. Quando Berlusconi telefonò in questura per chiedere il rilascio della minorenne marocchina, stava esercitando le sue funzioni istituzionali di premier, in quel momento preoccupatissimo per la possibile crisi diplomatica che poteva scoppiare con uno stato estero. Già, perché il presidente del consiglio, vecchio credulone, aveva dato credito alla fanfaluca di un’avvenente giovinetta che si era dichiarata nipote del leader egiziano Mubarak. E poiché Berlusconi agiva nell’esercizio delle sue funzioni di premier, suo giudice naturale è il tribunale dei ministri.
Altro che facce di bronzo. Qua non è rimasta nemmeno la faccia. E nessuno che consideri un orizzonte più distante delle scadenze giudiziarie del premier. O che dica la verità sull’unica vera, reale e spudorata ragione: impedire lo svolgimento del processo, visto che il Tribunale dei ministri per procedere ha bisogno dell’autorizzazione della Camera dei deputati. Sì, ciao: come non detto.
Non rappresenta un bel segnale per la democrazia la possibilità che sia la maggioranza parlamentare a stabilire la verità dei fatti. Secondo quella stessa logica populista che vede nell’eventuale condanna di Berlusconi il sovvertimento del voto popolare. Come se il consenso elettorale possa garantire a chicchessia l’impunità. Quel che diranno gli storici del futuro sull’era berlusconiana non è possibile saperlo, anche se non sembra complicato intuirlo. Per il presente, non è forse inutile conoscere i nomi dei deputati calabresi che hanno avallato questa castroneria: Francesco Nucara, Santo Versace, Giovanni Dima, Giancarlo Pittelli, Jole Santelli, Lella Golfo, Giuseppe Galati, Michele Traversa, Ida D’Ippolito, Antonino Foti (tutti del Pdl), Elio Belcastro (“Iniziativa responsabile”) e Aurelio Misiti (ex Idv, ex Mpa). Così, tanto per avere un’idea nel caso che un giorno si possa nuovamente scegliere tra diversi candidati e non limitarsi a ratificare una lista di nominati.
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2 commenti:
hai fatto bene a scrivere i nomi dei calabresi,ma temo che anche altri "nominati" in questa stessa situazione avrebbero avallato questa castroneria.
Mi scusi, quanto costa una poltrona??? No, glielo chiedo perchè magari ne regalo una ad ognuno dei nominati visto che ci tengono tanto...
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