Scampoli di estate, valigie quasi pronte e quella tristezza che assale chi deve andare. Certo, c’è anche chi non vede l’ora di lasciarsi alle spalle “quattro case e un forno” e i “quattro gatti” che ci abitano. Accompagnando magari la partenza con una buona dose di ingenerosità (chi sta fuori, spesso, lo fa sulle spalle di chi, a casa, compie enormi sacrifici): “ma che ci torno a fare qua?”.
Già, perché tornare? Ci sono infinite ragioni per mettere quanti più chilometri possibile tra sé e un piccolo paese che ha poco da offrire, soprattutto ai giovani. E ancora di meno a una ragazza.
Pochissimo lavoro, spazi di socialità quasi inesistenti, molto tempo libero che diventa tempo sprecato, non avendo granché da fare. Parcheggiate in qualche Università, per una laurea che spesso è a pieni voti, ma desolatamente inutilizzabile. Il passaggio da ragazza a zitella è brevissimo, dalle nostre parti. Dura il tempo del corso accademico. Fino a quando si studia, si ha un alibi. Dopo, diventa tutto più difficile. Valla a trovare una giustificazione, se a venticinque-trenta anni non lavori, non sei sposata e nemmeno prossima al matrimonio.
Ho ricevuto una email che spiega questo duplice stato d’animo. Lo sradicamento che vive chi torna due-tre volte l’anno in paese, con quella “paura” di diventare un “estraneo” anche alle persone care, quando la frequentazione diventa saltuaria e il rapporto si allenta. E poi la difficoltà ad essere donna, qui. Anch’io penso che occorra “il triplo della fatica”, anche se fortunatamente non è sempre così.
Sottopongo a voi l’email che ho ricevuto. Spero anche di riceverne altre, su qualsiasi tema. Il blog è a disposizione di chiunque abbia qualcosa da dire e intenda qui condividerla.
Vuoi sapere che cosa provo quando lascio la mia casa?
Lasciare la mia casa è sempre un po’ pesante, un po’ straziante.
Lasciare la mia casa è un po’ come entrare in coma e riuscire a svegliarsi solo alla fine del viaggio con gli occhi ancora un po’ pieni di lacrime e un nodo in gola che è meglio non vedere nessuno per qualche ora.
Lasciare la mia casa è un po’ come spogliarsi dell’abito più bello: sai che devi toglierlo ma vorresti tenerlo, ancora un po’.
Lasciare la mia casa è un po’ come rimanere orfani. E ti senti sperduto e spaesato e, pur non essendolo, ti senti solo, almeno per un po’.
Lasciare la mia casa è un po’ come perdere l’infanzia e il suo sapore, senza sapere come.
Lasciare la mia casa è un po’ come sparire e avere la paura nel cuore di diventare estraneo per quelle persone care, anche solo un po’.
Lasciare la mia casa è sempre un po’ un dovere da mantenere per credere di farcela, anche soltanto un po’.
Lasciare la mia casa è sempre una certezza e una speranza: so di ritornare, magari per un po’, spero di restare, molto più di un po’...
Se solo ci fosse anche solo una possibilità di restare a casa mia la sfrutterei senza pensarci perché amo la mia terra e vorrei fare qualcosa per cambiarla. Ma voglio anche riuscire a fare qualcosa della mia vita... Essere donna qui è pesante, ci vuole il triplo della fatica.
mercoledì 29 agosto 2012
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3 commenti:
"Un paese dovrebbe esistere anche solo per lasciarlo" (Pavese)
La luna e i falò, uno dei miei romanzi preferiti. Dovrò sempre ringraziare la mia professoressa di lettere al liceo, che per Cesare Pavese aveva una vera e propria devozione.
:-)))))))))) http://www.youtube.com/watch?v=ZTUAOsUqJQo
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