
Se in generale si riuscisse ad andare più in profondità, nel caso della lettura di un pezzo giornalistico a scorrere con gli occhi un paio di righe sotto i titoli dell’articolo o del suo “lancio” sul web, si scoprirebbe che spesso il pensiero è più articolato della sua sintesi, più complesso dell’esca che incoraggia gli internauti a cliccare sulla notizia. Una categoria nella quale abbondano i “pigri”, coloro che neanche aprono il link per collegarsi alla notizia e finiscono così per confondere l’iperbole con la realtà.
Tornando a Umberto Eco, il resoconto del suo intervento nell’articolo pubblicato dal giornale torinese dice altro, e precisamente che l’illustre semiologo invita i giornali “a filtrare con un’equipe di specialisti le informazioni di internet perché nessuno è in grado di capire oggi se un sito sia attendibile o meno. I giornali dovrebbero dedicare almeno due pagine all’analisi critica dei siti, così come i professori dovrebbero insegnare ai ragazzi a utilizzare i siti per fare i temi. Saper copiare è una virtù ma bisogna paragonare le informazioni per capire se sono attendibili o meno”.
Nell’epoca delle rivelazioni “sensazionali” sui “danni” provocati da quel vaccino o sulla “pericolosità” di determinati alimenti, del “nessun giornale ve lo racconta” e del terrorismo mediatico che alimenta psicosi collettive, il richiamo di Eco a un maggiore rigore nella selezione delle informazioni che galleggiano nell’oceano di internet andrebbe invece accolto come espressione di buon senso. Altro che spocchia.
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