Dura la vita dei poeti, quando gli amici “pretendono” un paio di versi o addirittura la dedica di un intero componimento per le occasioni “meritevoli” di essere celebrate. Lo sapeva bene Pietro Milone (1867-1933), popolare e amatissimo poeta-libraru di Palmi, molto apprezzato dai frequentatori della sua legatoria, i quali potevano deliziarsi ascoltando le satire composte per raccontare la vita quotidiana di Palmi. Personaggi e avvenimenti di un’epoca ormai lontana, il cui ricordo – fatto anche di dolore e di miseria – sopravvive anche grazie ai versi di Milone: E quandu m’arricordu/ la fami c’assaggiai/ mi fazzu meravigghia/ comu ancora campai!
Milone fu un artigiano di rime rimaste per lo più inedite, fino a quando, su insistenza di amici ed estimatori, non furono pubblicate nella raccolta Picci e Zannelli (1922). Un’opera, ricordò il professore Angelino Trimboli nel discorso ufficiale pronunciato nella Casa della Cultura di Palmi l’8 novembre 1981, in occasione della “solenne cerimonia” organizzata per presentare l’edizione fuori commercio della ristampa del volume, che «non dovrebbe mancare nella biblioteca di chi ha studiato, anzi dovrebbe essere il libro di tutti quelli che rappresentano il mondo del lavoro: gli agricoltori, gli artigiani, i muratori, i popolani, perché a loro è rivolta la poesia di Milone».
Nel medaglione biografico scritto per il volume Uomini da ricordare. Vita e opere di Palmesi illustri (2000), Bruno Zappone sottolinea il carattere autodidattico della formazione letteraria di Milone e il piccolo miracolo realizzato nella sua bottega: «Fu così che essa diventò un vero laboratorio d’arte, non a caso chiamata la Zanichelli di Palmi, tanto che poi diventò il ritrovo abituale di artigiani, medici, avvocati e gente di qualsivoglia rango, dove si trascorrevano piacevolmente intere giornate ad ascoltare battute, versi e poesie in vernacolo composte ed improvvisate dal giovane Milone».
Osservatore attento di ciò che succedeva nella sua Palmi, della quale conosceva vizi e virtù, Milone amava sferzare senza essere mai volgare, né rancoroso: Scrivu pe’ m’arridimu/ dicendu a veritati; zanniu cu ‘’ncarchidunu/ senza malignitati.
C’era poi un aspetto gioviale, che aveva una derivazione caratteriale e che si riversava nei versi composti per alcuni eventi particolari. Non poche erano ad esempio le giovani coppie che si rivolgevano a lui per avere il privilegio di una sorta di epitalamio da declamare nel corso del ricevimento nuziale. La ristampa di Picci e Zannelli ne contiene due: Spusarizziu Badolati-Suriano, del 1926; Pe lu matrimoniu Cardone-Palermo, del 1928. Praticamente sconosciuto è invece l’opuscoletto Pe lu matrimoniu Perelli-Fimmanò, che contiene i versi composti da Milone per il matrimonio tra l’ingegnere Giuseppe Raffaele Francesco Perelli – trentaquattrenne nato a Cittanova da Vittorio Emanuele Perelli e Rosa Zampogna – e la “gentildonna” (come riporta, alla voce professione, l’atto del matrimonio officiato dal podestà, il maggiore e cavaliere Annibale Rechichi) Giuseppina Carmela Fimmanò, figlia ventiduenne del medico di Sant’Eufemia d’Aspromonte Vincenzo Fimmanò e di Fiorina Rositani, nonché nipote di quel Michele Fimmanò (1830-1913) che fu per oltre sessant’anni politico influentissimo in tutto il circondario di Palmi.
L’iniziale “rimbrotto” per il disagio che arrecavano a Milone gli inviti ai matrimoni (Stu ’mbitu mi lu fannu,/ dinnu, p’ ‘a simpatia,/ ma je’ lu sacciu, ’u fannu/ ca vonnu ’a poesia!), è seguito dalla consapevolezza di non potersi sottrarre (Lu fattu è ca su’ tutti/ amici vecchi, cari;/ ndi pozzu fari a menu,/ mi pozzu dinegari?/ Eccu, potiva siri/ pe’ mm’ nci dicu no/ a l’amicu Perelli,/ a figghia ’i Fimmanò?), ma anche da un pizzico di dispiacere per l’amica “Pina”, che avrebbe seguito lo sposo a Milano (Sulu mi dispiaci,/ ca si ndi vai luntanu,/ luntanu assai di cca:/ Nentimenu a Milanu!). Ma se le cose erano andate così, evidentemente quella era la “via pe jiddha destinata”.
Al poeta palmese non resta quindi che augurare ai due giovani il meglio: Pecchì su’ boni, affabbuli,/ gentili, affezzionati;/ du’ animi, du’ cori/ nta unu, ’ncatinati./ Mi l’unisci nu sulu/ penseru ’nta la vita;/ anfina c’ànnu hjatu/ mi sunnu sempri anita./ No mmi sapi lu cori/ nuddha amarizza mai;/ mi sunnu sempri leti…/ no mmi cianginu mai/. Pe’ m’ànnu – ora e sempri –/ ogni grazia di Deu,/ tuttu quantu disia/ lu loru e… ’u cori meu!
*La fotografia che ritrae il poeta palmese è tratta da: Pietro Milone, L’uomo il poeta, Tipografia Zappia, Reggio Calabria 1983.
giovedì 25 febbraio 2016
I versi del poeta Pietro Milone per il matrimonio della nipote di Michele Fimmanò
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