venerdì 10 gennaio 2020

La cura


Ero poco più che un adolescente quando cominciai ad ascoltare Franco Battiato nelle musicassette EMI. All’inizio mi incuriosiva questo personaggio singolare, anche se non riuscivo a cogliere tutti i riferimenti culturali che le sue canzoni suggerivano. Mi affascinavano la profondità del pensiero e l’eclettismo di una produzione improntata sulla sperimentazione artistica. Intuivo che i suoi testi contenevano più livelli di lettura anche quando l’orecchiabilità del brano poteva trarre in inganno, come nelle celeberrime “Centro di gravità permanente” e “Bandiera bianca”. Tutto questo mi bastava: è stato il punto di partenza per entrare in mondi a me sconosciuti; mi ha suggerito letture e domande sul mondo, sugli uomini e sul rapporto con il divino.
Mi è venuto in mente questo mio “incontro” con Battiato, ascoltando per caso alla radio “La cura” (album: “L’imboscata”, 1996). Con la tristezza nel cuore per le condizioni di salute che hanno determinato il ritiro di Battiato dalle scene e alimentato le voci di una misteriosa malattia che ne avrebbe intaccato le facoltà mentali. La più atroce delle condanne per chi ha cercato di spingere la mente oltre i gretti accadimenti terreni e materiali.
Ho chiuso gli occhi e ho cercato di concentrarmi sui versi composti da Battiato e dal filosofo Manlio Sgalambro, per “respirarli” a pieni polmoni. Non so se “La cura”, come qualcuno sostiene, sia la più bella canzone d’amore italiana. Graduatorie di questo genere sono antipatiche. Come si fa a stabilire se sia più bella di “Caruso” (Dalla), “La costruzione di un amore” (Fossati), “Vorrei” (Guccini), “Sempre e per sempre” (De Gregori)? Si potrebbe continuare a lungo.
“La cura” non è una semplice canzone d’amore. Tratta dell’amore nella sua forma più alta e universale, quella capace di elevare lo spirito e di condurre l’uomo alla scoperta della sua vera essenza, temi che Battiato ha sviluppato attraverso lo studio delle dottrine religiose orientali e la pratica del sufismo. Se il verso “tesserò i tuoi capelli come trame di un canto” è un inno d’amore, “percorreremo assieme le vie che portano all’essenza” richiama il misticismo già affrontato nel brano “E ti vengo a cercare”.
Per qualcuno, l’io narrante della canzone è Dio stesso. Sarà Dio a prendersi cura dell’artista, un “essere speciale”. Lo proteggerà da paure, turbamenti, ingiustizie, inganni, fallimenti. Gli porterà il silenzio e la pazienza. Percorrerà al suo fianco le vie che portano all’essenza. Gli donerà le leggi del mondo.
Mentre le parole libravano nell’aria, pensavo a Battiato oggi. Forse sofferente, forse “non presente a se stesso”: o forse, finalmente al di là del tempo e dello spazio, nella condizione di pace inseguita per tutta la vita.

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