sabato 26 settembre 2020

Forza Peppe

 


Perché proprio a te, Peppe? Perché? Me lo sono chiesto dentro quella chiesa vuota di te. Di te che c’eri sempre, ogni anno, per la ricorrenza dei santi Cosma e Damiano: i santi medici, i santi delle guarigioni. Non sono riuscito a darmi una risposta, come mi succede con tante altre domande ultimamente. È un 2020 di interrogativi angoscianti e dentro ci sei finito pure tu, tuo malgrado. 
Penso che sia ingiusto, ma poi chi lo sa più cos’è che non dovrebbe mai accadere. Accade e basta, come un fulmine scagliato da un dio malvagio che brucia ogni cosa, anche le scarne convinzioni di un tempo. E quando colpisce, la vita cambia in un attimo. 
Viviamo insieme a te questo tempo sospeso, in apnea, accostandoci al mistero della vita in punta di piedi, senza fare rumore. Come te, che hai sempre vissuto delle tue piccole e semplici cose: quelle che, in fondo, sono le uniche a contare qualcosa in questo caravanserraglio. Passi silenziosi che fanno rumore proprio quando si bloccano. 
Il Paese Vecchio è un microcosmo dentro un microcosmo. Lo era in particolare negli anni della tua infanzia: concentrato tra il Calvario, la piazza e la Matrice, l’orfanotrofio e la chiesa, la scuola elementare. Già, la scuola elementare con i suoi mitici maestri, dei quali ancora si parla con affetto e riverenza. Gli anni del maestro unico e del saluto della classe in piedi, della preghiera e dei giochi dei mimi o dell’elastico, del pigiama indossato sotto la tuta per stare più caldi, delle merende divise con i compagni di classe, del refettorio e del dolce preparato per i bambini dalla moglie del bidello, della condivisione di gioie e dolori, come in un’unica grande famiglia. Dove sono finiti tutti quei bambini? Dove siamo finiti? 
E cosa fai ora, tu che macinavi chilometri a piedi o in bicicletta? Eppure “c’è un’altra salita da fare”, ci sono “cento e più chilometri alle spalle e cento da fare”. Ci sono i tuoi genitori da assistere, come hai sempre fatto. Ricordi? Ti chiamavamo “Peppe due chilometri”, perché la distanza della tua abitazione dal liceo era tanta: tu la percorrevi ogni mattina a piedi ed eri il più puntuale di tutti. 
Sai, tempo fa avevo deciso di intervistare tuo padre, uno dei pochi che ricorda la Varia che si organizzava a Sant’Eufemia. Grazie ad un amico comune ero riuscito a fissare un incontro che poi non c’è stato. La vita è così: quando ti sembra che vada da una parte, svolta all’improvviso. 
Però spero di riuscire a raccoglierla questa testimonianza, a patto che tu sia presente. 
Ad ogni notte segue il giorno, ad ogni temporale la schiarita: ti aspetto.

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