domenica 24 dicembre 2017

’A pulicia rizza



Aveva il passo lento ma deciso di chi sapeva come affrontare le salite e le discese senza fare cadere il peso che portava sulla testa. Ma non era una bagnarota e dentro il cuverchiu che sistemava con cura sopra la corona di stracci, perché non pendesse a destra o a sinistra, in avanti o indietro, non c’erano alici né palamiti dello Stretto. Non si sentiva volare una mosca, tutto era silenzio e solitudine. Lei e quel corpicino sistemato alla meglio sotto qualche coperta caritatevole. Bambini appena nati e subito volati in cielo, morti pochi giorni dopo il parto o nello spazio di qualche mese, il tempo di una selezione naturale che era feroce ma accettata dalla società con rassegnato fatalismo.
Ogni famiglia aveva le sue piccole vittime, da ricordare – chi ne aveva la possibilità – tirando ogni tanto fuori dal cassetto la classica fotografia post-mortem: sembravano dormire con quegli occhi chiusi. Stroncati da infezioni aggravate dalla malnutrizione, dal morbillo o dalla pertosse, dalla bronchite o dalla polmonite, dalla difterite o da un imprecisato ’ngagghiu letale nei primi anni di vita. Neonati battezzati “in acqua” dall’ostetrica o dal medico, affidati poi alla pietà di questa pulce di donna dalla zazzera fitta e riccia per il tragitto di una dolente via crucis. Oppure piccoli che facevano in tempo ad arrivare davanti al sacerdote, ad avere padrini e madrine “scelti” tra chi era presente. Era questa la ragione del primato dei sangiovanni tra i frequentatori più assidui della chiesa, loro che consideravano la sagrestia una seconda casa.
Aveva il passo sicuro ’a pulicia rizza. Le campane che suonavano “a gloria”, non “a morto”, annunciavano l’arrivo in Paradiso di un angioletto, l’arrivo di un’anima soffiata via da un corpo che non aveva conosciuto il peccato.
Un’andatura costante che non aveva niente da invidiare alla cadenza regolare dei portantini dei funerali delle congregazioni, quattro spazzini con la tunica bianca addetti al trasporto della piccola bara sistemata sopra una lettiga. Più che il ritratto manzoniano dei monatti, la rievocazione delle varette della Processione dei Misteri. D’altronde, proprio gli spazzini del paese, nella rappresentazione sacra, portavano a spalla il corpo del Cristo morto: l’Innocente.
Innocente come i bambini spostati dalla bara messa a disposizione dalla congregazione per il funerale alla cassettina di tavole inchiodate dal falegname sul posto e calata in uno degli angoli dell’ampia area del cimitero a loro destinata.
Una stradina, “vico Innocenti”, con la strage dei bambini voluta da Erode ricordava anche questi piccoli fiori recisi. Ma oggi “vico Innocenti” non esiste più e la pulicia rizza, con la sua storia di pietà, è un ricordo lontanissimo e di pochi.

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