Chissà cosa penserebbero i deficienti che hanno fatto largo sfoggio di idiozia, ululando contro un ragazzo di vent’anni “colpevole” di essere un italiano di colore, dei dirigenti del Colosimi, la società di Prima categoria del cosentino che ha tesserato e trovato un lavoro e una casa all’ivoriano Coulibaly Tiemoko, giunto in Calabria al termine di un’odissea costata la vita al padre, a piedi attraverso l’Africa e su un barcone sballottato dalle acque del Mediterraneo.
Pretendere dai sedicenti “Ultras Italia” che hanno fischiato Mario Balotelli l’acume di Albert Einstein alla domanda sulla razza di appartenenza (risposta: “umana”), sarebbe davvero troppo. Per chiarire meglio il pensiero elaborato dall’unico neurone attivo, hanno pure esposto due striscioni significativi: “No alla nazionale multietnica” e “Non ci sono neri italiani”.
Alla base del pregiudizio che alimenta le pulsioni più recondite e abiette dell’animo nei confronti del “diverso” (sia esso nero, omosessuale, ebreo, zingaro e così via), vi è spesso non la mera malvagità, quanto quella che Hannah Arendt ha definito la “banalità del male”, l’inconsapevolezza cioè del valore etico dei comportamenti individuali. Questa considerazione non deve però affatto spingere all’indulgenza. Così come non deve costituire un alibi per attenuare le responsabilità.
Il problema, gira e rigira, è sempre lo stesso: lo stadio è una terra di nessuno dove, nonostante gli innegabili progressi compiuti negli ultimi anni, si può violare la legge con buone probabilità di farla franca. Molte curve sono ormai diventate un covo di beceri che pretendono “onore” e “rispetto”, invece del disprezzo che a ragione va riservato a chi espone striscioni con svastiche e simboli runici, fischia i giocatori di colore, esprime solidarietà per dei delinquenti ai quali è stato giustamente proibito di andare allo stadio.
Da più parti si inneggia al “modello inglese”. D’accordissimo. Ma la repressione, da sola, non può funzionare in un Paese che fa della certezza della pena un optional. Ci vogliono stadi nuovi e privatizzati, con tutti i posti numerati e controllabili con facilità. Solo in questo modo le società sportive diventeranno realmente responsabili della propria tifoseria e gli stessi gruppi ultras sarebbero costretti ad una maggiore attenzione nell’accettare le adesioni, come accade in tutte le associazioni. È per l’insieme di questi motivi che, in Inghilterra, tutti si sentono responsabili di ciò che accade all’interno di uno stadio e se un tifoso urla un insulto, lancia un oggetto, o soltanto si alza dal proprio seggiolino, viene immediatamente bloccato dai suoi stessi vicini.
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3 commenti:
ottimo condivido in pieno.
sempre acuto ed efficace...lo stadio è un po' l'immagine di questa nostra società...niente regole, libero sfogo alla "pancia", niente rispetto ma denigrazione dell'altro.
triste ma vero...
come vorrei che sta gente di merda si ritrovasse senza un soldo e dovesse emigrare su una zattera per settimane
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